f. mo., Corriere della Sera 20/09/2013, 20 settembre 2013
HA VINTO TUTTO NEL NOME DEL PADRE —
Quarantacinque anni dopo, un altro Moratti è pronto a lasciare l’Inter. Il 18 maggio 1968, lo aveva fatto Angelo Moratti, dopo aver vinto tutto, passando il testimone a Fraizzoli. Adesso tocca a Massimo, anche se il passaggio è più sfumato. Che il destino dell’Inter fosse legato ai Moratti era scritto nelle stelle: la signora Erminia Cremonesi, che avrebbe sposato Angelo, ripeteva: «Sono nata nel 1908, come l’Inter». Era stata lei a portare il marito a vedere per la prima volta l’Ambrosiana contro la Roma, anno 1934. Per questo non era stato sorprendente l’arrivo del primo Moratti, diventato uno dei più grandi petrolieri del mondo, alla guida dell’Inter il 28 maggio 1955, 15° presidente, dopo Masseroni. L’idea era quella di portare l’Inter in cima al mondo e per cinque anni la prevalenza della passione aveva portato risultati inferiori alle attese: undici allenatori fra esoneri e richiami (da Meazza e Campatelli a Frossi e Bigogno), grandi giocatori (Angelillo e Mario Corso), ma due terzi posti come migliori risultati.
Nella Milano del boom, Moratti cerca il tocco magico, che coincide con la decisione di portare in nerazzurro l’allenatore del Barcellona, Helenio Herrera. Addirittura un mago. L’incontro decisivo, a Imbersago, il 22 maggio 1960, una domenica sera, dopo lo 0-0 con l’Udinese, dà il via alla storia della Grande Inter, anche se Moratti dovrà aspettare il 1963 per vincere lo scudetto, dopo due stagioni avvelenate. Herrera, fra cartelli e proclami, strappa a Moratti un contratto da 40 milioni più premi doppi e nel 1961 convince a seguirlo anche Luisito Suarez (e Italo Allodi, il general manager preso dal Mantova, entra in società per renderla più forte). L’Inter paga 250 milioni al Barça, che completa le tribune del Camp Nou. Il mago rivoluziona i metodi di allenamento. Trova gli uomini per trasformare una squadra di calcio in un meccanismo perfetto: difesa insuperabile, costruita intorno a Picchi, il capitano; un terzino che attacca e fa gol, Facchetti; centrocampo di corsa (Tagnin/Bedin) e di genio (Suarez e Corso); un’ala velocissima (Jair); un attaccante immarcabile (Mazzola). Gioco verticale, tre scudetti vinti e due sfiorati, due Coppe dei Campioni, due Intercontinentali (1964 e 1965). Ma ci sono anche Lisbona (25 maggio 1967) e Mantova (1° giugno), dove l’Inter perde tutto. Dodici mesi dopo, è l’ora dei saluti.
Ci vuole coraggio a riprendere in mano l’Inter, il 18 febbraio 1995, ma Massimo Moratti ha ormai deciso che è venuto il momento di raccogliere l’eredità di Pellegrini. Era stato il padre, un giorno, a dirgli: «Dovresti stare qualche anno nel calcio perché non c’è nulla che aiuti di più a fare esperienza». Il momento arriva e per Moratti jr inizia a 50 anni una complessa opera di ricostruzione di una società e di una squadra in piena involuzione. Anche lui non vede l’ora di riportare l’Inter in alto: il colpo di genio, che ricorda quello del padre con Suarez, è l’ingaggio di Ronaldo (dal Barcellona), che cambia il corso degli eventi e sposta gli equilibri. Nel 1998 arriva il primo trofeo morattiano, la Coppa Uefa (a Parigi) e il secondo posto in campionato alle spalle della Juve, nel più tumultuoso campionato, con il rigore negato a Ronaldo a Torino. Nel 1999 acquista Vieri e si prende le censure dell’Osservatore Romano . Sono anni complicati, nei quali l’Inter arriva a sfiorare lo scudetto (2002 e 2003): «Vedevo come un muro contro il quale andavo a sbattere, e mi accorgevo che non sarei mai arrivato a vincere, perché c’era un disegno che me lo avrebbe sempre impedito». Moratti chiama Mancini e alla fine della seconda stagione (maggio 2006) esplode Calciopoli.
«Faremo una squadra così forte che vinceremo tutto», dice a Facchetti, già malato (se ne andrà il 4 settembre). L’Inter vince quattro scudetti consecutivi, dopo quello a tavolino del 2006, due con Mancini, due con Mourinho. Il 2010 è l’anno del triplete e dei record; la Champions League di Madrid è l’apice della parabola morattiana, ma anche l’inizio della fase discendente. Però l’Inter fa ancora a tempo a vincere titolo mondiale (18 dicembre 2010) e Coppa Italia (2011). Il resto è cronaca. Moratti guarda avanti, si prende le critiche dei tifosi, pensa che sia venuto il momento di fare un passo indietro. E apre agli indonesiani.
f. mo.