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 2013  settembre 20 Venerdì calendario

IL RUOLO DELLA DC CILENA PRIMA E DOPO IL GOLPE DEL ’73

In questi giorni, i media, nei commenti al colpo di stato cileno del settembre 1973, hanno spesso trascurato di approfondirne i precedenti. Ampi settori della sinistra cilena, su stimolo di elementi che avevano scavalcato il presidente Allende, ricercarono una «scorciatoia» che portasse le classi meno abbienti a una maggiore giustizia sociale attraverso la «rivoluzione del proletariato». I consiglieri cubani a Santiago e il regalo di un kalashnikov fatto da Castro a Allende durante una visita, furono visti come un esplicito segno di questo impegno. Nella destra era sorto il timore di un imminente sbocco rivoluzionario popolare. Le pubbliche dichiarazioni di esponenti di sinistra sulla necessità di ricorrere alla forza per conquistare il potere, le voci sull’acquisto di armi da parte dei movimenti armati radicali di sinistra, anche con gli aiuti in danaro provenienti dall’estero, le ripetute «espropriazioni popolari» di fabbriche e terreni agricoli che i giudici non volevano o non potevano restituire ai legittimi proprietari, le famose liste Z di proscrizione — vere o false che fossero — delle personalità di destra da eliminare, la crescente attesa di una rivoluzione popolare che avrebbe tolto ai «padroni» i loro averi per ridistribuirli ai meno abbienti, avevano generato nella destra cilena, e tra i nostri connazionali, l’attesa di un imminente evento che avrebbe messo a rischio la loro incolumità e i loro beni, al quale occorreva opporsi. Vi fu così una «corsa» tra gli ambienti più radicali dei due schieramenti, che sfociò prima nel caos politico, economico e sociale, poi nel colpo di stato militare dell’11 settembre e, ahimè, in una durissima repressione, inammissibile sia nei Paesi retti da dittature di destra, che in quelli retti da regimi di sinistra, qualunque sia la sua motivazione.
Emilio Barbarani
emilionarbarani@gmail.com
Caro Barbarani, lei scrive sulla base di esperienze fatte durante il periodo trascorso all’ambasciata italiana di Santiago immediatamente dopo il golpe, e la sua lettera è quindi particolarmente interessante. Aggiungo, per completare il quandro, che durL ei scrive sulla base di esperienze fatte durante il periodo trascorso all’ambasciata italiana di Santiago immediatamente dopo il golpe, e la sua lettera è quindi particolarmente interessante. Aggiungo, per completare il quadro, che durante gli anni che precedettero la risicata vittoria di Allende nelle elezioni presidenziali del 1970, l’’Italia e, in particolare, la Democrazia cristiana, avevano puntato sul Partido Demócrata cristiano di Eduardo Frei. Quando questi vinse le elezioni nel settembre 1964 e divenne capo dello Stato, nei circoli cattolici italiani si diffuse la speranza che il Cile avrebbe offerto al continente latino-americano la prospettiva di una via cristiano-sociale allo sviluppo. Nel 1967, durante una visita ad alcuni Paesi dell’America meridionale (Brasile, Argentina, Perù, Venezuela), Giuseppe Saragat e Amintore Fanfani, presidente della Repubblica e ministro degli Esteri, vollero fare sosta a Santiago per tre giorni. Ebbero incontri con Frei al palazzo della Moneda, parteciparono alla festa nazionale (i Dias de patria), conobbero alcuni militari ed ebbero l’impressione che quelli cileni, a differenza di tanti loro colleghi latino-americani, fossero meno inclini a interferire nella politica nazionale.
Sollecitata dall’’interesse di Fanfani per l’America Latina (aveva insegnato in Brasile negli anni Trenta), la Dc italiana si considerò madrina dell’esperimento Frei e prese i fratelli cileni sotto le sue ali. Per qualche tempo vi fu persino la convinzione che le democrazie cristiane latino-americane e la dottrina sociale della Chiesa avrebbero rotto finalmente il circolo vizioso del continente: influenza yankee, multinazionali nord-americane, rivolta delle plebi urbane, populismo dei caudillos, colpi di Stato militari, castrismo e guevarismo, terrorismo dei gruppi rivoluzionari.
L’’illusione durò sino alla vittoria di Allende nelle presidenziali del 1970. Ma è utile ricordare che il candidato di Unidad Popular giunse primo con una percentuale molto modesta (36,3%). Come previsto dalla Costituzioni per i casi in cui nessun candidato avesse avuto la maggioranza assoluta, la scelta spettò al Congresso. La Democrazia cristiana avrebbe potuto votare il candidato conservatore, Jorge Alessandri, giunto secondo con il 34,9% dei voti, ma la sua ala progressista volle votare per Allende. Al nuovo presidente, Frei chiese alcune garanzie costituzionali e gli assicurò così il suo appoggio. Ma dopo qualche mese cominciò a delinearsi il forte scontro fra moderati e massimalisti descritto nella sua lettera, e Frei, almeno in una prima fase, fu favorevole al golpe. Con quale imbarazzo della Democrazia cristiana italiana, caro Barbarani, lei può facilmente immaginare.
Sergio Romano