Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 20/09/2013, 20 settembre 2013
LA LINEA DURA VERSO GLI ANARCHICI «TERRORISMO» LE FIAMME AL BANCOMAT —
Anche un’organizzazione «priva di centro decisionale, caotica e nello stesso tempo orizzontale, dove nessun gruppo imponga la propria autorevolezza», può diventare una «associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico», sulla scia delle bande armate degli anni Settanta. E poco importa che sia «informale», fatta di «mille singoli o gruppi che non si conoscono tra loro». Basta l’adesione a un progetto collettivo, e la decisione di attuarlo attraverso azioni sia pure simboliche. Lo dicono gli stessi militanti, nelle loro rivendicazioni: «Il percorso informale internazionale trova forza nell’azione diretta, nel sentirsi vicini ogni momento agli altri in lotta, anche mentre si compie un’azione di sabotaggio o di distruzione... Con le nostre armi a disposizione, incendiarie o esplosive, attaccheremo tutto il sistema di potere, centralizzato e non, da ogni lato dove più nuoce senza ripensamenti».
Con questa premessa, l’incendio di un bancomat o una tanica di benzina lasciata davanti a un portone possono diventare un «attentato con finalità terroristiche o di eversione». Accusa pesante, che contempla pesanti condanne, piovuta su due giovani della provincia di Roma di 29 e 26 anni, arrestati ieri su ordine di un giudice che li considera due soldati della Fai/Fri, la Federazione anarchica informale/Fronte rivoluzionario internazionale; una sigla a disposizione di chiunque aderisca al progetto, con la quale ad esempio è stato firmato dal «Nucleo Olga» di Genova, il 7 maggio 2012, il ferimento del dirigente dell’Ansaldo Roberto Adinolfi.
Per i magistrati i due ragazzi ammanettati ieri, incensurati e impiegati in lavori saltuari, sono autori, con altri complici non tutti individuati, di una dozzina tra attentati, furti, incendi e danneggiamenti realizzati in ossequio al programma anarchico di attacco al sistema istituzionale. A loro carico i carabinieri della Sezione anticrimine del Ros di Roma hanno raccolto elementi che vanno dalla presenza delle macchine sui luoghi delle azioni alle impronte digitali e genetiche trovate su alcuni reperti.
Nella ricostruzione dell’accusa, la dozzina di micro-attentati avvenuti tra il novembre 2010 e il dicembre 2012 sono inseriti nella campagna lanciata a livello internazionale dalla Fai/Fri, ripresa dai due anarchici dei Castelli romani con scritte sui muri, esposizione di striscioni, sfondamenti di vetrine, danneggiamento alle pompe di benzina, lancio di bottiglie molotov. Come sarebbe accaduto il 22 dicembre 2011, quando due attentati incendiari colpirono, a Frascati, le sedi della Deutsche Bank e della Banca popolare di Sondrio. L’attacco fu rivendicato da un volantino firmato «Fai-Individualità sovversive anticivilizzazione», nel quale si dichiarava «solidarietà e supporto ai prigionieri», nonché alle «Cellule e individualità informali in tutto il mondo». Secondo gli investigatori del Ros era una «risposta di adesione» ai pacchi-bomba inviati pochi giorni prima in vari Paesi europei dalla «Cellula Free Eat e Billy», dal nome di due anarchici detenuti in Indonesia.
Sostiene il giudice che proprio la richiesta e l’adesione alla solidarietà internazionale rappresenta «la reale minaccia di nuove azioni nei confronti di obiettivi individuati o da individuare», tra cui gli attentati addebitati ai due giovani dei Castelli. Che peraltro, nei loro incontri e dialoghi osservati nei pedinamenti e ascoltati dalle microspie dei carabinieri, si muovevano con «modalità perfettamente aderenti a quanto previsto dal documento d’area Ad ognuno il suo - 1.000 modi per sabotare questo mondo», adottando precauzioni e tecniche per evitare di essere seguiti e intercettati.
Senza riuscirci, evidentemente, visto che le cimici del Ros hanno captato frasi come: «Qualsiasi cosa ti succede (...) mi chiudo in un silenzio che mi possono anche spaccare la faccia tutto il giorno (...) non parlo neanche sotto tortura, neanche coi macchinari medievali … cioè io mi aspetto l’arresto tanto (...) mi chiudo in un silenzio tombale». Oppure: «Comunque già da prima abbiamo dato l’esempio», riferendosi, ritengono gli inquirenti, agli attentati compiuti e ad altri che stavano progettando. E ancora, in una fase di tentati reclutamenti: «I miei marcano male... marcano proprio da centro sociale», facendo risaltare — accusano gli investigatori — «una mentalità che trascendeva quello che ci si poteva aspettare da un militante che aderiva solamente alle normali dinamiche antagoniste e anarchiche, però di "piazza"».
Giovanni Bianconi