Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  settembre 20 Venerdì calendario

LA «DEMOCRAZIA» DI KHAMENEI

Con le timide ma significative aperture del Presidente Rouhani e l’ombra della Guida suprema Ali Khamenei, l’Iran mette alla prova la sua capacità di controllare dissensi interni e infrangere l’isolamento internazionale. L’uscita di Ahmadinejad prelude forse a una nuova stagione, meno urlata e di contrapposizione, anche se per alcuni si tratterebbe solo di cambiamenti di facciata, resi evidenti dalla «democrazia islamica» iraniana che circoscrive alquanto il potere degli organi eletti. Poche espressioni come «democrazia islamica» sono state citate, utilizzate, discusse e criticate nei Paesi musulmani e in Occidente. Con forti contrapposizioni tra chi vi legge un binomio possibile e chi invece dei concetti contrastanti. Dalla Rivoluzione islamica del 1979 in Iran vige un ordinamento con istituzioni democraticamente elette: un presidente e un parlamento, tra l’altro con presenza femminile. Ma nell’ordinamento sciita dell’Iran, pensato e definito dal fondatore Khomeini, parlamento e presidente non sono i vertici dello stato. Ogni atto parlamentare deve essere vagliato dal consiglio dei Guardiani, che fa riferimento alla Guida suprema, oggi Ali Khamenei, che ha l’ultima parola su tutto. L’autorità ultima spetta perciò a colui che conosce meglio di ogni altro ayatollah o mullah la tradizione, scelto esclusivamente per le sue conoscenze religiose. E raccoglie in sé la leadership dell’Iran e degli sciiti iraniani. Qui come altrove il concetto di democrazia islamica si regge su un equilibrio precario e paradossale: combinare suffragio universale e credenziali religiose, con le inevitabili divergenze su dove vada posto questo limite. Ed è in Iran che questo equilibrio appare da sempre precario, stretto tra grandi partecipazioni popolari e speranze frustrate, tra presidenti della Repubblica di personalità diverse e Guide Supreme attente e consapevoli del loro ruolo. La partita tra Khamenei e Rouhani è in fondo appena iniziata. Fervido sostenitore di Ahmadinejad, e ricambiato, Khamenei non ha mancato di appoggiare strette autoritarie e di contenere tentativi di liberalizzazione, ricevendone in cambio legittimazione e appoggio. Rouhani non ha mai nascosto la sua vicinanza a Khamenei, benché la sua fama di moderato riemerga nei suoi primi atti. Potrebbe essere un equilibrio destinato a cadere o solo un gioco delle parti.
Roberto Tottoli