Stefano Feltri e Antonio Padellaro, Il Fatto Quotidiano 11/9/2013, 11 settembre 2013
“LE TANGENTI SAIPEM? IN QUEL SETTORE LA CORRUZIONE C’È”
Paolo Scaroni, 67 anni, guida l’Eni dal 2005, sta per concludere il terzo mandato come amministratore delegato ed è disponibile per un quarto. È indagato per corruzione internazionale nell’inchiesta della Procura di Milano su Saipem, una società partecipata dall’Eni. Domenica, alla Festa del Fatto Quotidiano a Marina di Pietrasanta, ha risposto alle nostre domande su energia, potere, scandali, Berlusconi e Bisignani. Ecco quello che ha detto.
Dottor Scaroni, qualche giorno fa lei era al vertice G20 di San Pietroburgo. Qual è il suo bilancio?
Ho partecipato solo al bilaterale Italia- Russia. Due idee semplici. La prima: sulla Siria, Russia e Stati Uniti sono su due fronti opposti, le conseguenze le stiamo già vivendo, il prezzo del petrolio è salito di 10 dollari da quando ci sono venti di guerra in Siria, anche come conseguenza di una Libia che non riesce a stabilizzarsi. Seconda idea: il mondo va un po’ meglio. Gli Stati Uniti crescono, l’Europa manifesta forse i primi segni di ripresa, la Cina non va giù. Ci sono punti di preoccupazione, soprattutto l’India, ma si guarda avanti con maggiori speranze rispetto a sei mesi fa.
Parliamo dei contratti “take or pay” che impegnano l’Eni a ritirare gas dalla Russia per decenni. Viste le condizioni capestro di quegli accordi, li state rinegoziando? E perché volete che lo Stato italiano vi paghi una parte di quanto ci avete rimesso?
Noi non chiediamo nulla a nessuno né lo abbiamo mai fatto. I contratti take or pay sono la base dell’industria del gas in Europa: chi compra il gas, si impegna a farlo per certi quantitativi all’anno che il venditore si impegna a fornire. Sulla base di questi contratti, di solito trentennali, si realizzano le infrastrutture per trasportare il gas, il cui prezzo si muove nel tempo seguendo quello del petrolio. Io ho ereditato contratti dell’epoca in cui Snam era monopolista e aveva la certezza di vendere il gas al prezzo a cui lo comprava più un margine. Ma ora c’è un gas, lo shale gas che l’America estrae dalle rocce, che non segue il prezzo del petrolio e costa meno del gas legato ai take or pay. Dunque: io voglio la garanzia della fornitura dei contratti take or pay, ma vorrei che il prezzo fosse adeguato alle quotazioni del gas che chiamiamo spot, cioè che non segue questi contratti. Ma va anche ricordato che io produco petrolio: se sale il prezzo del petrolio, gli utili che faccio sono molto maggiori dell’aggravio dovuto all’aumento del prezzo del gas. E se pago gas che non ritiro, lo posso comunque ritirare quando voglio nei prossimi 30 anni. E se non ci riesco mi prolungano il contratto.
Comunque, in Italia, il costo dell’energia resta elevatissimo.
Gli italiani pagano il gas allo stesso prezzo dei loro vicini francesi e tedeschi, perché è tutto gas importato. Certo, è carissimo: le imprese e le famiglie americane pagano il gas un terzo di quanto lo paghiamo noi europei. Molti investimenti pensati per l’Europa trasmigrano là per approfittare dei prezzi più bassi. E tutto questo è figlio dello shale gas: gli Usa hanno scoperto, praticamente dalla sera alla mattina, tra il 2007 e il 2008, di avere riserve di gas per i prossimi 200 anni e di non doverne più importare.
Poi c’è il problema della benzina, sempre più cara.
La benzina viene venduta seguendo le quotazioni dell’indice Platts, suimercati internazionali. Qui da noi è più cara che in altri Paesi perché abbiamo un sistema distributivo unico in Europa: in Italia ci sono 24 mila stazioni, in Inghilterra 9 mila, in Germania 14 mila. Più stazioni di servizio implicano più costi. La stazione di servizio in Inghilterra o Germania è aperta 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana e vende di tutto, prosciutto, giornali, sigarette. Quindi il benzinaio tiene bassi i prezzi del carburante per attirare clienti cui vende altri prodotti. Da noi, invece, le stazioni sono aperte poche ore al giorno, chiuse la domenica, e per via delle regolamentazioni non vendono altro che prodotti petroliferi. Se vogliamo ridurre quei 2-3 centesimi che, accise a parte, ci dividono dagli altri Paesi, dovremmo chiudere metà delle stazioni, dare la licenza per vendere tutto e lasciare che stiano aperte quanto vogliono. Vi assicuro che così i prezzi scendono.
Lei dice “accise a parte”. Ma un gruppo come l’Eni non potrebbe fare pressione perché siano ridotte?
Incidono per circa il 60 per cento sul prezzo finale della benzina. Protestiamo continuamente con il governo, non direttamente ma tramite l’Unione petrolifera: anche perché i consumi petroliferi stanno crollando verticalmente, a luglio 2013 si è venduto il 20 per cento in meno che a luglio 2008. Prezzi del petrolio alti, accise alte, economia che va male. Risultato: la gente va meno in auto.
Passiamo al caso Shalabayeva: la moglie del dissidente kazako rapita dalla polizia assieme alla sua bambina. Si è vista una sudditanza del governo italiano nei confronti di Astana. Che legame c’è con Kashagan, il più grande giacimento di petrolio scoperto negli ultimi decenni, su cui l’Eni ha tanto investito?
In Eni la Shalabayeva non l’abbiamo mai sentita nominare. È vero che il Kazakistan e il giacimento di Kashagan, che partirà nei prossimi giorni, per noi sono molto importanti. Ma i primi beneficiari di quel giacimento sono proprio i kazaki. Non vedo però un legame tra le due vicende.
Ma senza il Kashagan il governo italiano sarebbe stato così remissivo verso la diplomazia kazaka?
Io penso di sì. Noi non abbiamo fatto nulla e nulla ci è stato chiesto.
Il Kazakistan è uno dei Paesi in cui si indaga per presunte tangenti Eni. E il tema delle tangenti la perseguita, da quando patteggiò durante Mani Pulite per tangenti pagate dalla sua Techint in cambio di appalti Enel, l’azienda di cui diventerà amministratore delegato nel 2002. E oggi è indagato per corruzione internazionale nell’inchiesta Saipem, in quanto Ad dell’Eni che ha il 43 per cento di Saipem, e per gli incontri con il presunto prestanome del ministro al algerino che sarebbe stato corrotto. L’impressione è che in questi affari le mazzette siano la norma.
Non tornerei sul mio passato giudiziario, quando ho un pezzo di carta del Tribunale di Milano che mi dice che il reato è estinto, mi sento piuttosto rilassato. E pregherei anche voi di considerarlo estinto. Venendo al caso Saipem: ci preoccupa molto e ha fatto un danno enorme alla reputazione di Saipem e alla nostra. Quando ho visto che sono stati pagati 200 milioni di euro a una società di Dubai senza dipendenti, non posso dire se è una tangente, spetta ai magistrati, ho mandato via tutti, a cominciare da amministratore delegato e direttore generale. O meglio, ho scritto una lettera al presidente di Saipem, che è una società indipendente, con un suo cda e un suo collegio sindacale, dandogli un suggerimento: se fossi in te farei piazza pulita.
E visto che lei ha il 43 per cento...
L’azionista che ha il 43 per cento parla in assemblea. Avrei dovuto convocarne una, ma è una cosa complicata, e quindi ho preferito scrivere una lettera al presidente. E tutte le posizioni chiave sono cambiate. Ritengo sia il massimo che potevo fare.
Così lei conferma di comandare su Saipem, che è più o meno ciò di cui l’accusano.
Non comando, offro suggerimenti. Ogni volta che vedo Umberto Vergine, il nuovo amministratore delegato della Saipem, gli dico: “Umberto, tutto quello che ti dico sono suggerimenti di tuo zio, considerami così, sulla Saipem non comando niente, comandi tu”. La Saipem è una società autonoma, nel cda di Saipem c’era un solo consigliere Eni. Questo modo di vivere la Saipem è così da 20 anni perché l’azienda ha tra i suoi clienti Total, Exxon, Shell, che mai userebbero Saipem se sapessero che Eni conosce le tecnologie o segue le commesse. L’indipendenza è stata una delle chiavi del successo di Saipem.
Poi c’è il suo avviso di garanzia.
Mi sento rilassato e tranquillo. Io di mestiere incontro ministri del petrolio. Il ministro del petrolio algerino coinvolto nell’inchiesta l’avrò incontrato 20 volte. In uno di questi incontri, o forse due, era presente anche la persona che sarebbe alla fine della catena dei soldi. Ma non sono certo io che decido chi accompagna il ministro nei suoi incontri. Se lui mi dice: “Questo è il mio segretario particolare”, io non mi pongo problemi. Basare su questi incontri la tesi che io fossi al corrente di tutto, mi sembra un salto logico.
Ma è normale o no che in questi grandi affari girino tangenti?
Io ho fatto del contracting nella mia vita, la Techint era una specie di Saipem. Il mondo del contracting è, diciamo così, vicino al mondo delle tangenti: uno prende un contratto, riceve soldi e dà lavoro. Che nel contracting ripetutamente ci siano scandali è vero. E non dico che sia ineliminabile, ma capisco che succeda. Il mio mondo, quello del petrolio, è l’opposto: quando ricevo una concessione, tiro fuori miliardi di dollari di investimenti e dopo tre/cinque anni, riceverò petrolio. Quindi non c’è un flusso di denaro tra cliente e azienda, va dalla parte opposta. In Mozambico abbiamo fatto la più grande scoperta della nostra storia: dovremo spendere 50 miliardi di dollari prima di vedere il primo metro cubo di gas.
In Italia il problema delle tangenti è una ferita aperta, è stata fatta una razzia ai danni dell’economia e delle persone di questo Paese.
Avendo vissuto molti anni all’estero, io penso che questo Paese abbia una tendenza a delinquere sul terreno economico più alta che altrove. Ma non è prerogativa dei manager, lo fanno tutti gli italiani, ciascuno al suo livello: quando possono privilegiano il proprio interesse ai danni di quello dello Stato. Se a Londra chiami l’elettricista, non ti fa la domanda “Con fattura o senza?”. Dovremmo fare un po’ tutti una catarsi collettiva.
Torniamo all’energia. Si è detto che la Francia ha voluto la guerra in Libia per eliminare Gheddafi e ridurre il ruolo dell’Italia e dell’Eni.
Non so, e non credo, se c’erano interessi petroliferi dietro l’affrettata iniziativa francese. Ma noi siamo più forti di prima. Oggi siamo molto preoccupati del rafforzamento delle istituzioni in Libia, perché non vediamo un percorso virtuoso come vorremmo. Ma uscire da 42 anni di una dittatura che ha distrutto tutte le istituzioni, rende il futuro della Libia molto problematico. Invito tutti i governi a essere al fianco della Libia in questo momento difficile. Noi non ci occupiamo del sistema politico dei Paesi in cui lavoriamo, ma se si spara nelle strade dobbiamo riportare a casa i dipendenti e tutto si ferma.
A voi interessa la stabilità. Ma a volte è garantita dai dittatori, come Gheddafi.
Gheddafi l’avrò incontrato tre o quattro volte, il mio interlocutore era il ministro del petrolio. Ma era talmente eccessivo, che a quella pagliacciata a Roma con i cavalli e la tenda non sono andato.
Lei è considerato un manager vicino a Silvio Berlusconi, che ha tenuto sospeso il governo Letta per le sue vicende giudiziarie. Come si pone un manager come lei rispetto a questa sorta di ricatto?
Innanzitutto io, quando stavo in Inghilterra alla Pilkington, Berlusconi non l’avevo mai visto. Quando mi propose di fare l’Ad dell’Enel, l’avevo incontrato due volte. Dire che sono arrivato lì grazie a un pregresso rapporto con Berlusconi non è corretto. Non so se sono la persona più adatta per commentare questa intricata situazione politica. Ma tutti noi, inclusa l’Eni, abbiamo interesse ad avere un governo stabile. Anche se penso che i gradi di manovra di qualunque governo in questo Paese siano limitati: l’Italia è come un’azienda che ha così tanti debiti che non comanda più l’amministratore delegato, ma le banche creditrici.
Perché spendete così tanto per le pubblicità sui giornali italiani? 67 milioni di euro all’anno. Avete paura di quello che possono scrivere?
Se questa domanda me l’avesse fatta quando sono tornato dall’Inghilterra, non l’avrei capita. Solo noi pensiamo che si compri l’anima dei giornalisti con la pubblicità. Mai nella mia vita ho detto al nostro ufficio: “Togli la pubblicità”. Facciamo pubblicità per vendere gas ed elettricità, e ora che non abbiamo più il monopolio dobbiamo fare più investimenti.
Ci sono almeno due contro-esempi a questa spiegazione commerciale: la pubblicità al sito Dagospia e alla rivista della fondazione di Massimo D’Alema ItalianiEuro pei . L’interesse non sembra strappare clienti alla concorrenza, ma influenzare il racconto del potere e finanziare una corrente politica.
Non credo che siano cifre particolarmente elevate. Su ItalianiEuropei non sono in grado di rispondere, non sapevo che ci facessimo pubblicità. Ma su Dagospia ho fatto anche io la stessa domanda: mi hanno spiegato che è il miglior sito in Italia per rapporto tra numero di contatti e costo della pubblicità.
A Report invece i soldi li avete chiesti: 25 milioni di euro dopo una puntata di fine dicembre.
Abbiamo fatto una causa civile alla Rai. Noi misuriamo la nostra reputazione, dopo quella puntata per qualche mese è scesa, ora siamo tornati ai livelli precedenti. Ma siccome per tutelare la reputazione spendiamo soldi dei nostri azionisti, se qualcuno la lede chiediamo i danni. Io sono disponibile a rispondere in diretta a chiunque, su tutto. Quello che non mi piace è il taglia e cuci che viene fatto nei servizi di Milena Gabanelli, finisce per dare una visione distorta.
Visto che parliamo di comunicazione, ci spiega a che serve a grandi gruppi come l’Eni uno come Luigi Bisignani?
Conosco Bisignani dal 1975. Avere una persona intelligente, che sta a Roma, che conosce tutti, che ha le orecchie aperte, che legge tutti i giornali, è utile per uno come me che sta all’estero l’80 per cento del tempo. Per avere in un flash la situazione politica e mediatica del Paese. Che poi decida le carriere, bè, francamente io direi di no. Ma di certo non la mia.
Nel 2014 lei finisce il suo terzo mandato all’Eni. Preferisce un quarto mandato o fare il presidente delle Generali, azienda in cui ha già più di un piede?
Se mi pone questa domanda, con la scelta tra Eni e Generali, io dico un altro mandato all’Eni. Poi magari ho altre idee su altre cose. Ma non ve le voglio dire.