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 2013  settembre 13 Venerdì calendario

L’ENNESIMA POLTRONA PER IL SIGNORE

DELLA CASTA –
L’uomo giusto al posto giusto. La decisione del presidente Giorgio Napolitano di nominare il 75enne Giuliano Amato giudice costituzionale al posto dell’uscente 76enne Franco Gallo, non risponde solo alla logica di prudente ringiovanimento delle istituzioni, e non va ridotta alla pur gettonatissima interpretazione del risarcimento dovuto a un vecchio sodale del presidente che in primavera ha trovato i veti Pd a sbarrargli la strada prima verso il Quirinale e poi verso Palazzo Chigi.
L’approdo di Amato alla Corte costituzionale (15 membri così scelti: 5 dal Quirinale, 5 dal Parlamento e 5 dalla magistratura), proprio nel momento in cui Silvio Berlusconi chiede alla Suprema corte di esentarlo dagli effetti della legge Severino, sancisce in modo esplicito quell’antico rapporto di complicità tra il potere politico e la Corte di cui la carriera di Amato è simbolo. Una galoppata infinita tra Prima, Seconda e Terza Repubblica l’ha portato a essere braccio destro di Bettino Craxi a Palazzo Chigi (1983-1987), presidente del Consiglio (1992), presidente dell’Antitrust (1994-1997), ministro delle Riforme (1998), del Tesoro (1999), dell’Interno (2006-2008) e presidente dell’Enciclopedia Treccani, della Fondazione Italiani Europei e del circolo tennis di Orbetello (per limitarsi agli incarichi più significativi). Ma i momenti chiave della carriera del “dottor sottile” sono scanditi da sottilissime questioni costituzionali.
LA PRIMA se la ricorda bene anche Napolitano. Quando Amato scrisse i testi dei due cosiddetti “decreti Berlusconi” che restituivano l’agibilità dell’etere alle tv Fininvest oscurate dai pretori, fu l’allora capo dei deputati comunisti a tuonare contro un provvedimento “indubbiamente incostituzionale”, ma nel voto dell’aula sulla costituzionalità, i 60 franchi tiratori della maggioranza diagnosticati dal combattivo Napolitano furono compensati dal soccorso dei missini, che dieci anni dopo sarebbero stati sdoganati da B.: “I missini hanno salvato il decreto, in una logica di lotta distruttiva nei confronti del servizio pubblico”, tuonò Napolitano. Poi le loro strade tornarono parallele come sempre. Un giorno L’Espresso chiese a vari politici di dare un consiglio a Craxi premier: “Si guardi dai comunisti” disse Amato; “Si guardi dai democristiani”, disse Napolitano. Adesso tutti e due si guardano dal Pd, sintesi delle loro fobie di 30 anni fa.
NEL 1992 AMATO diventò premier e Napolitano presidente della Camera. Naturalmente era all’ordine del giorno l’urgente riforma della Costituzione e già i due, 21 anni fa, vagheggiavano scorciatoie. Amato disse in Parlamento, a proposito dell’immancabile Bicamerale: “I presidenti delle due Camere stanno valutando la possibilità di costituire la nuova commissione con un atto bicamerale non legislativo. Questo semplificherebbe molto le procedure di costituzione, consentendo anche un notevole risparmio sui tempi”. Una procedura “eccellente”, recensiva Amato. Sottigliezze.
Il capolavoro costituzionale venne pochi giorni dopo, con il famigerato prelievo dello 0,6 per cento dalle giacenze dei conti correnti bancari. C’era da salvare la lira, messa in ginocchio dalla decisione di Amato di mettere in liquidazione l’Efim con i suoi 13 mila miliardi di debiti. E ai poveracci che hanno così pochi soldi da non poterli investire in titoli fu praticato l’asporto di 5.250 miliardi di lire. Un’operazione clamorosamente contraria agli articoli 3, 47 e 53 della Costituzione (uguaglianza, tutela del risparmio, progressività delle imposte). Tre anni dopo la Corte costituzionale, visto che lo Stato non aveva soldi per restituire il maltolto, opinò che lo scippo di Amato “incide sui depositi con un’aliquota invero di contenuta entità, tale da non potersi ragionevolmente considerare ablativa del patrimonio del soggetto”. Invece la medesima Corte ha ritenuto fortemente ablativa la mossa di Giulio Tremonti che nel 2010 tagliò le pensioni sopra i 90 mila euro, tra cui quella di Amato, e gli stipendi dei magistrati, a cui sono agganciati quelli dei giudici costituzionali. E così, opinando che “le decurtazioni dello stipendio, incidendo sullo status economico del giudice, creerebbero una sorta di dipendenza del potere giudiziario dal potere legislativo ed esecutivo” (gli aumenti invece no?), i giudici costituzionali ripristinarono il quantum con tanto di arretrati anche per se stessi. Alla faccia degli esodati e delle altre vittime delle leggi retroattive.
C’È DA DIRE che Amato sembra Gastone Paperone: dove si siede piovono soldi. Per essere stato quattro anni all’Antitrust è riuscito a farsi dare, a 59 anni, una pensione di 22 mila euro lordi al mese, che si aggiungono ai 9 mila del vitalizio parlamentare. Adesso arriva lo stipendio da giudice costituzionale (appena aumentato dai giudici costituzionali), che è pari a quello del magistrato più pagato (il primo presidente della Cassazione) maggiorato del 50 per cento. Fanno 427 mila euro annui, pari a 13 mensilità da 32 mila. Così Gastone ha raddoppiato lo stipendio, e tutti pensano che a 63 mila euro al mese anche loro avrebbero un forte senso delle istituzioni.