Stefano Feltri, Il Fatto Quotidiano 16/9/2013, 16 settembre 2013
IL VERO ALLARME È VENERDÌ L’EUROPA NON CREDE AL MIRACOLO
Il clima è cambiato e non è colpa soltanto di Silvio Berlusconi. In queste ore Enrico Letta si interroga se il governo sopravviverà al voto in Senato sulla decadenza del Cavaliere da parlamentare, ma il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni è molto più preoccupato di come farà l’Italia a scavallare la scadenza di venerdì, quando il Tesoro dovrà presentare i numeri aggiornati sullo stato dei conti pubblici, dando inizio a una sessione di bilancio per la stesura della legge di stabilità, il momento più difficile dall’autunno del 2011.
“IN QUESTI MESI c’è stata una certa benevolenza internazionale attorno a Letta, basata più sul feeling che su fatti concreti. Ma non si sa mai quando sui mercati i nodi vengono al pettine”, spiega Alessandro Leipold, ex del Fondo monetario internazionale oggi capo economista del Lisbon Council, un think tank. A giudicare dai mille segnali di questi giorni, il momento è arrivato: mercati e istituzioni europee stanno iniziando a vedere le carte di Letta, sapendo che dietro gli annunci e i compromessi di questi mesi c’è il vuoto.
Oggi arriva a Roma il commissario europeo agli Affari economici, Olli Rehn, per un’audizione parlamentare programmata da tempo. Ma che sarà l’occasione per far capire al governo e ai partiti cosa l’Europa si aspetta da loro. Non si tratta di auspici, ma di indicazioni operative per evitare una bocciatura disastrosa. Grazie alle nuove regole note come “two pack”, per la prima volta quest’anno il governo dovrà mandare a Bruxelles la bozza della legge di stabilità (la ex Finanziaria) per gli anni 2014-15-16. La Commissione la vedrà prima del Parlamento, soltanto in caso di approvazione Camera e Senato potranno iniziare il loro iter. Tra un mese esatto Letta e Saccomanni dovranno aver scritto questa bozza: non i vaghi propositi di mille altri documenti europei, tipo il Piano nazionale delle riforme, ma numeri e dettagli, soprattutto sulle coperture delle spese.
Il governo continua ad annunciare una legge di Stabilità generosa, promette di spendere il tesoretto teorico lasciato da Mario Monti, che ha indicato spese per interessi sul debito superiori di alcuni miliardi a quelle che dovrebbero risultare alla fine. Ma dall’esterno nessuno crede più alle promesse. Dopo l’avvertimento della Bce di Mario Draghi, che ha ricordato come l’Italia rischi seriamente di sforare il tetto del 3 per cento del deficit rispetto al Pil, si moltiplicano gli inviti a fare qualcosa di concreto.
IERI IL CORRIERE DELLA SERA di Ferruccio de Bortoli ha pubblicato come editoriale della prima pagina un durissimo commento di Lucrezia Reichlin, economista, molto ascoltata anche perché ben conosce la sensibilità della Bce (dove ha lavorato a lungo) e delle grandi banche (siede nel cda di Unicredit). Titolo: “Con la testa sotto la sabbia”. La Reichlin recupera il marziano di Ennio Flaiano che arriva a Roma e si stupisce dell’ostentato ottimismo delle autorità: “Perché non avvertono un senso di urgenza? Non temono di perdere il controllo delle finanze pubbliche, non li inquieta la prospettiva di dover chiedere aiuto all’Europa?”. I numeri sono noti anche a quelli che hanno fatto di tutto per ignorarli: recessione continua, con la stima del governo che venerdì sarà rivista da -1,3 a -1,7 nel 2013, debito al 130 per cento del Pil e, come scrive la Reichlin, “l’Italia non ha fatto niente per rilanciare la competitività”. Stessa diagnosi del Fondo monetario in un documento presentato venerdì su “Squilibri e crescita”. Cifre e concetti che saranno scritti anche nel rapporto annuale del Fondo che verrà reso pubblico proprio venerdì, il giorno in cui il Consiglio dei ministri dovrà iniziare il percorso della legge di stabilità. I contenuti del rapporto sono in gran parte già noti a Saccomanni, ma in momenti come questo contano anche le sfumature. La stampa finanziaria già sta creando un accenno di panico attorno ai nostri conti pubblici: secondo il Wall Street Journal di ieri “è tornato lo sconto Berlusconi”, quella penalità che ci rende più rischiosi della Spagna.
Letta avverte che lui e Giorgio Napolitano non possono essere gli “unici parafulmini” e posta su Twitter la foto di una boccetta d’acqua santa che un amico gli ha portato da Lourdes. Avrà bisogno di ogni goccia per affrontare questa settimana e le prossime che lo attendono.
APPESI ALLA FEDERAL RESERVE DOPO LA RINUNCIA DI SUMMERS –
In apparenza la rinuncia di Larry Summers alla presidenza della Federal Reserve, la Banca centrale americana, sembra una notizia positiva soltanto per il presidente Barack Obama: il nome dell’ex segretario al Tesoro democratico era controverso, molto amato e molto odiato, e quindi la sua uscita di scena rende più facile la successione a Ben Bernanke, in scadenza di mandato e di nomina repubblicana (anche se confermato da Obama una prima volta). La reazione dei mercati internazionali, non solo Wall Street ma anche le Borse europee, dimostra che invece la notizia ha rilevanza globale.
LA FAVORITA ADESSO è Janet Yellen, attuale vicepresidente della Fed. Gli altri nomi che circolano sembrano solo ipotesi, dall’ex Segretario al Tesoro Timothy Geithner, Donald Kohn, all’ex governatore della Banca d’Israele Stanley Fischer. Della Yellen non si sa molto, ma ai mercati interessa soltanto una cosa: è la vice di Bernanke, la speranza è quindi che condivida il suo approccio aggressivo alla crisi che in gergo tecnico si chiama “allentamento quantitativo”, quantitative easing. Tradotto: stampare una valanga di dollari per dare liquidità alle banche e comprare debito pubblico americano per tenerne basso il costo nel lungo periodo.
Bernanke, da professore a Princeton, era uno dei massimi studiosi della Grande Depressione e delle analisi di Milton Friedman, secondo cui il disastro era stato causato più dalla politica monetaria troppo restrittiva della Fed che dai crolli di Borsa. E quindi Bernanke ha agito di conseguenza: nel settembre 2012 ha avviato il secondo programma di quantitative easing, senza limiti. La parte principale: l’acquisto di 85 miliardi di euro di buoni del Tesoro ogni mese, un modo per ridurne il costo e per immettere denaro nel sistema, indebolendo il dollaro che quindi rende più competitive le esportazioni americane (perché meno costose per chi le compra in dollari). Adesso è arrivato il momento – forse – di iniziare a ridurre il doping iniettato nel-l’economia, anche se la disoccupazione è ancora oltre un punto percentuale sopra l’obiettivo della Fed, che è il 5,6 per cento.
QUANDO BERNANKE ha evocato la fine del sostegno straordinario, i mercati sono crollati per settimane. Mario Draghi si è subito affannato a chiarire in ogni modo che la Bce invece sarebbe rimasta accomodante, perché nell’Eurozona la crisi è ancora grave. Dopo aver corretto il suo disastro di comunicazione, Bernanke ha ricominciato a introdurre gradualmente il tema nel dibattito, ora ha anche una definizione, tapering, affusolamento, riduzione. Un eufemismo dietro cui ci sarebbe la decisione di ridurre di 10 miliardi di euro quegli 85 miliardi di acquisti mensili di titoli di Stato. Tra oggi e domani si riunisce il Fomc, il comitato direttivo della Fed, e si capirà che direzione prenderanno gli eventi.
Perché a noi interessa tanto tutto questo? La Bce ha i tassi quasi a zero (0,5), gli eventi di queste settimane hanno dimostrato che il costo reale del denaro, cioè il tasso praticato dalle banche a famiglie , imprese e altre banche, ormai dipende in modo diretto dalle scelte della Fed. Meno dollari in circolazione implicano debito più costoso, anche se quotato in euro. L’addio di Summers alla contesa ha rasserenato i mercati. Ma se domani i segnali dalla Fed dovessero essere verso una riduzione dello stimolo monetario, anche da questa parte dell’oceano si tornerà a ballare. Soprattutto sui mercati del debito pubblico, quelli in cui l’Italia resta il bersaglio preferito di chi vuole speculare al ribasso.