Silvia Dai Pra’ , Il Fatto Quotidiano 16/9/2013, 16 settembre 2013
VACANZE IN ALBANIA, L’ULTIMO PARADISO DELL’ITALIANO MEDIO
Dov’è che vai?”, il primo motivo per cui vale la pena di andare in Albania è il gusto di vedere le facce della gente, mentre annunci la tua meta per le vacanze: uno sguardo, e già hai capito tutto – rigurgiti leghisti, imperituri pregiudizi. Sono passati più di vent’anni dall’apparizione della nave Vlora nel porto di Bari; sedici, dall’anno dell’“anarchia albanese” e dai pattugliamenti furiosi nel Canale d’Otranto; dieci, almeno, da quando la presenza sempre più massiccia di migranti di altre nazionalità ha relegato gli albanesi a un gruppo minoritario sul nostro territorio: eppure, l’albanese cattivo continua ad aggirarsi, spettrale, negli incubi dell’italiano medio.
Ma siamo tutti italiani medi, lì, nell’hotel di Tirana: anzi, italiani medio-bassi, di quelli che, con la crisi, proprio non ce la fanno a pagarsi trenta euro al giorno per un ombrellone e due sdraio – quindi, tanto vale fare il viaggio all’incontrario: Brindisi o Ancona, e via, sul barcone, per raggiungere le coste più temute degli anni Novanta. Ci sono i ragazzi milanesi che si sbafano quelle quattro portate di pesce che in Italia mai potrebbero permettersi; e Florian, ventenne italoalbanese che fa lo zio d’America e parla solo di macchine costose e di posti di lusso, anche se poi, scopro, a Verona lavora al Pronto Pizza; c’è Fulvio, toscano che a furia di fumare si deve rifare diciotto denti, e “o fai un mutuo e te li rifai in Italia, o vai e vieni dall’Albania e te la cavi con qualche migliaia d’euro”; c’è Endri, trentenne che in Italia c’è cresciuto ma poi è tornato qui, a godersi i soldi guadagnati e a fare il gestore di un ristorante; c’è la professoressa del Nord con tre figli che viene ogni estate, c’è il cuoco di Durazzo che ha fatto l’alberghiero a Vicenza. E, mentre la tv passa Fantozzi sottotitolato in albanese, Tirana si rivela forse l’unica città estera in cui un italiano può campare bene senza conoscere una sola parola di una lingua che non sia quella materna – il paradiso per l’italiano medio, appunto, e morte ai pregiudizi.
Che poi, ad agosto, non ci sia molto da fare, potevamo aspettarcelo: puoi infilarti in una delle mille sale slot che costeggiano le vie, o cercare di azzeccare i fantasmatici orari di apertura dei musei e scivolare nel realismo socialista, oppure mangiare e bere, e tanto, e con piacere, e spendendo niente. Nel Blok – il quartiere dei ristoranti – ci sono locali smaccatamente belli, curati, modaioli: quelli in cui in Italia magari non entreresti perché troppo chic – ma, tanto, qui il cocktail che ti arriva al tavolo lo paghi un euro, la cena cinque, e crepi l’avarizia.
I furbetti dell’auto Il sogno proibito di avere l’autista
Poi, scoprirò che i più furbi, quelli che all’arrivo avevano già programmato tutto (di solito grazie a un vicino o a un collega albanese, ndr), si sono presi l’autista e si sono fatti scorrazzare lungo tutto il paese a un prezzo assurdamente basso: però, vuoi mettere l’avventura di guidare tra sorpassi a destra, tir contromano, autostrade che finiscono nel nulla e autobus che inchiodano in curva? Le città sono piene dei nostri vecchi autobus arancioni, le strade sono costellate di autolavaggi (Lavazho sarà l’unica parola in albanese che vi rimarrà per sempre impressa), la costa è assediata di ombrelloni, sembra di essere ad Ostia: ma, dopo Valona, la strada si trasforma in un valico di montagna, all’improvviso sei a mille metri, a picco sul mare, sul monte Llogara, fantastico. Osservi il panorama con un unico, grande interrogativo: se in Albania vivono tre milioni di persone e gli albanesi che stanno all’estero sono più del doppio, non è che ad agosto si saranno dati appuntamento tutti qui, su queste coste?
Tra Valona e Saranda, però, ci sono i piccoli gioielli della costa: Qeparo, Borsch, Lukova, con l’acqua trasparente, le calette nascoste, le spiagge semivuote - cosa fondamentale, questa, visto che, non appena c’è qualcuno, questo qualcuno affitterà una moto d’acqua e passerà la giornata a fare le sgommate a tre centimetridallariva-evoilimalediretetirandofuori i pregiudizi di una prozia leghista, prima di scoprire che parlano greco, o italiano. Ma anche albanese, eh: stessa faccia stessa razza, e pazienza.
Ksamil, invece, nell’estremo Sud, unanimamente considerato il “gioiello d’Albania” si abbatte su di noi con la stessa forza devastante con cui mani umane sembrano essersi dedicate a distruggerlo: una spianata di ecomostri terminati, non terminati, o lasciati crollare, semplicemente. Qui l’italiano non lo sanno, ma c’è la rampante generazione dei dieci-quindicenni che gestisce la comunicazione nei locali, con un inglese perfetto che merita un complimento alle scuole dove, a sentir loro, hanno potuto impararlo. Le spiagge potrebbero essere belle, ma non in agosto, quando ci sono milioni di persone disseminate in quattro metri per quattro: e il gesto di raccogliere i mozziconi di sigaretta per non inquinare, che noi abbiamo imparato da un paio di anni, è tenero, quasi struggente, davanti alle bottiglie che galleggiano in acqua e a una mamma che lascia a riva il pannolino sporco di suo figlio. Lì vicino, però, c’è il sito archeologico di Butrinto, Girocastro e, con un’avventurosa deviazione nelle strade dell’interno, Berat - una città-fortezza incontaminata, con tante case bianche che le valgono il nome di “città dalle mille finestre”. È lì che conosco Jonida, un’operatrice di uno dei tanti call center italiani dislocati in Albania, una di quelle che, quando ci chiamano per proporci un’offerta, ci fa pensare “che strano accento”: qualcuno, quando al telefono rivela di dov’è, ancora ci rimane male, mi dice, ma lei, laureata in Giornalismo, coi suoi quattrocento euro di stipendio, è la prima della sua famiglia che può permettersi di restare in patria, senza emigrare, come tutti i suoi, nella bassa lombarda.
Tornando a Tirana, tra Suv tirati a lucido nei Lavazho e vecchietti col carretto trainato dagli asini, incrociamo due moto contromano in autostrada, che procedono tranquille. Prima di partire, esprimo l’ultimo desiderio: cinque portate di pesce a quindici euro - e il cuoco che ha fatto l’alberghiero a Vicenza, come dolce, mi prepara pure focaccia e Nutella.