Margherita Zannoni, Focus 20/9/2013, 20 settembre 2013
RITUALI DEL GUSTO
La pizza, i biscotti nel latte, il caffè: ognuno di noi ha un proprio personalissimo modo di gustare il cibo. Che lo rende più buono. Durante una serata con gli amici, Kathleen Vohs, psicologa sociale e docente alla CarisonSchool of Management dell’Università del Minnesota, rimase delusa nel vedere che il tappo della bottiglia di vino che stava per aprire era a vite e non di sughero: «Ho perso tutto il rituale di scartare la pellicola, inserire il cavatappi, sentire la tensione del tappo e, infine, il botto» ha raccontato. Così, ebbe persino la sensazione che il vino fosse meno buono. Un esempio dei tanti piccoli rituali legati al consumo di cibo e bevande che la studiosa, insieme al suo team di ricercatori, ha deciso di indagare attraverso una serie di esperimenti pubblicati su Psychological Science.
FISSI E RIPETUTI. Obiettivo: capire perché, e come, il modo di mangiare un alimento può influenzare la nostra percezione del sapore. I rituali possono essere molto diversi fra loro. Alcuni hanno un significato sociale, come fare un brindisi o spegnere le candeline di una torta di compleanno; altri religioso, come ringraziare per il pasto quotidiano. Ma ce ne sono molti del tutto personali che spesso si compiono senza neppure rendersi conto che agli estranei potrebbero apparire bizzarri: c’è chi taglia il cibo sempre in un certo modo prima di iniziare a mangiarlo (ad esempio, toglie tutto il bordo della pizza), chi inzuppa i biscotti lo stesso numero di volte, chi “seziona” gli snack prima di consumarli (ad esempio, divide in due i biscotti imbottiti per assaggiarne prima il ripieno), chi rimescola le bevande oltre il necessario, chi non rinuncia a un’apparecchiatura con tutti i crismi neanche per uno spuntino. Comportamenti inutili? Niente affatto: rendono il cibo decisamente più piacevole, che si tratti di cioccolata come di cibi meno allettanti (infatti uno dei risvolti pratici di questi studi potrebbe essere proprio in ambito dietetico). I diversi esperimenti hanno dimostrato, tra le altre cose, che non servono cerimoniali lunghi e laboriosi per far scattare il condizionamento: basta eseguire comportamenti ripetuti in sequenze fisse, che si tratti di preparare la tavola, di accendere delle candele o di gesti senza significato. E se, fra il rituale e la consumazione si lascia passare un po’ di tempo, tanto meglio: la gratificazione sarà ancora maggiore.
TV AMMAZZA GUSTO. Tutti ricorriamo, più o meno consapevolmente, ai rituali. La stessa coordinatrice dello studio ha deciso di intraprendere questa serie di esperimenti incuriosita da sue piccole abitudini personali: «Ogni volta che ordino un caffè, prendo una bustina di zucchero e la scuoto, verso una piccola quantità di zucchero, mescolo e assaggio. Visto che così il caffè non è mai abbastanza dolce, aggiungo altro zucchero, fino a circa metà bustina» racconta, sempre perfettamente consapevole che lo zucchero iniziale non sarà sufficiente. «Potrei versare direttamente metà bustina» ammette. Eppure, con questi gesti il suo caffè sembra migliore. Dopo un rituale, anche delle semplici carote scondite possono diventare invitanti e appetitose. Vohs e colleghi lo hanno verificato in questo modo: hanno posto tre sacchetti di carote su un tavolo; poi, prima di assaggiare ciascuna carota, una per sacchetto, i partecipanti dovevano compiere una precisa sequenza di comportamenti insegnata loro dai ricercatori. Dopo le prime due carote, un questionario ha sondato le aspettative dei soggetti verso il terzo ortaggio: “Quanto piacere ti darà la prossima carota?”, “Quanto desideri un’altra carota?”. Chi aveva seguito i rituali dichiarò di volere l’ultima carota molto più di chi aveva compiuto solo gesti casuali e, in seguito, la trovò più gustosa. «Migliorando anche il piacere derivato da stimoli neutri (come le carote), i rituali potrebbero aiutare a cibarsi in modo più sano» suggerisce Vohs. L’opposto di ciò che avviene mangiando davanti alla tv o al pc. Infatti, quando si è distratti da un compito il sapore cambia: la psicologa olandese Lotte van Dillen, della Leiden University, ha rilevato che aspro, dolce e salato sono meno intensi e che, per compensare il gusto, ci si gratifica mangiando di più. Sulla stessa linea gli studi condotti da Vanessa Harrar dell’Università di Oxford, Protagonisti: le posate. I ricercatori hanno dimostrato che dimensioni, colore, peso e materiale di cucchiai e forchette modificano la nostra percezione dei sapori.
IL CUCCHIAIO GIUSTO. Per esempio, il cibo appare più salato se assaggiato da un coltello anziché da un cucchiaio o una forchetta; lo yogurt sembra più denso e dolce se assaporato con piccoli cucchiai di plastica che con altri più grandi e pesanti. In questo caso accade perché il cervello associa i cucchiaini agli alimenti dolci, per cui di solito si usano. E poiché la percezione del cibo è un’esperienza multisensoriale che oltre al gusto coinvolge olfatto e vista, ancora prima di mettere il cibo in bocca il cervello elabora un giudizio che influenza l’esperienza nel suo complesso, percezione dei sapori inclusa.
EFFETTO IKEA. Michael Norton della Harvard Business School, co-autore dello studio, ha indagato anche quello che lui definisce “effetto Ikea”: quando le persone si impegnano per fare o costruire qualcosa sovrastimano i risultati dei loro sforzi. Così, come un mobile montato da sé è più bello di uno già pronto, un piatto è più buono se lo si è cucinato con le proprie mani. «Dover lavorare di più per ottenere del cibo lo rende più apprezzabile» conferma Alexander Johnson della Johns Hopkins University (Usa): in una delle sue ricerche ha visto che persino i topi preferiscono premere una leva pesante che dispensa loro cibo più “scadente” (poco calorico) di quello che potrebbero ottenere con una leva meno impegnativa. Tutto ciò spiega perché le miscele pronte per torte, negli anni ’50, non incontrarono il favore delle consumatrici fino a quando i produttori non capirono che era necessario lasciar aggiungere un proprio tocco alla ricetta (magari solo un uovo o dello zucchero).
TORTA DELLA NONNA. Anche il cibo preparato da altri, però, può avere un valore aggiunto, se è fatto o offerto con amore. Kurt Gray, psicologo dell’Università del Maryland, ha riscontrato che ricevere in regalo delle caramelle con un biglietto: “Le ho scelte apposta per te. Spero che ti faranno felice”, le rende più buone di quanto non risultino se viene fatto pensare che siano state scelte a caso. Per questo, il sugo della mamma o la torta della nonna sono insuperabili. E, in fondo, l’impegno è la chiave di lettura che spiegherebbe anche l’importanza dei rituali: «Quando le persone eseguono un rituale si sentono più profondamente coinvolte in quello che stanno facendo ed è questo che potenzia il piacere dell’esperienza gustativa» spiega Vohs. È come se, per effetto dell’impegno psicologico richiesto dal rituale, il cibo acquistasse maggiore valore: un investimento di energie personali che poi rende il gusto più intimamente appagante.