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 2013  settembre 20 Venerdì calendario

IL MARCHIO SONO IO

Pronti?
«Pronti a che?».
Come sarebbe «pronti a che»? A tornare in pista. Ci sono milioni di «Santoro addicted» che aspettano col telecomando in mano.
«Pronti veramente non si è mai. E poi sarà una stagione difficile».
Più del solito?
«Non vede? L’offerta di programmi simili a Servizio Pubblico si è moltiplicata. Concorrenza dappertutto». Soprattutto in casa. Su La 7 ci siete voi. Piazza Pulita di Corrado Formigli, la nuova trasmissione di Gianluigi Paragone, Lilli Gruber tutte le sere. Forse un po’ troppo.
«Il rischio di un effetto martellamento e di un rifiuto dell’overdose da parte del pubblico c’è. A meno che non riusciamo a trovare una identità narrativa forte, Come ogni anno sarà una scommessa».
L’identità è data anche dalla sua faccia. Tutti sanno cos’è una trasmissione di Santoro.
«E ci mancherebbe, dopo tutti questi anni. Questo genere di contenitore televisivo l’abbiamo inventato noi. Noi siamo il prototipo, il marchio autentico».
Gli altri tutta robaccia cinese?
«Ma no. Però tutti copiano quello che facciamo noi. Noi inventiamo e gli altri scopiazzano, fanno man bassa delle nostre trovate. Prenda i tubi».
I tubi?
«Ma sì. Tempo fa ho fatto una trasmissione insieme con la Fiom a Bologna, Tutti in piedi. La piazza aveva l’aspetto di un cantiere, pieno di impalcature di tubi Innocenti. Ho deciso di riprodurla anche per Servizio Pubblico, un po’ per simboleggiare una vicinanza più stretta tra la realtà esterna e lo studio. Ci ho messo anche qualche gru, pensi un po’. Oggi, appena accendi la tv, vedi tubi innocenti dappertutto, reticolati, impalcature. Sono diventati tutti operai».
L’omologazione delle scenografie non è simpatica, men che mai lo è l’omologazione dei contenuti. Diciamo la verità. Siamo tutti terrorizzati, noi spettatori, di ritrovarci la Santanchè fin dalla prima puntata di Servizio Pubblico. Prometta che non ci farà questo.
«Capisco. Be’, questo sarà un problema anche della Santanchè».
In che senso?
«Nel senso che il pubblico è un protagonista, un autore nascosto. Se ci si accorge che la presenza di un determinato personaggio incide sugli ascolti, allora si cercano altre strade. Anche fare il pubblico è un lavoro. E poi c’è un altro problema».
Sarebbe?
«Che il pubblico si è abituato a consumare storie che sono molto legate all’agenda politica prevalente. Se realizzi un’inchiesta che non appartiene a questa agenda, fai molta fatica a ottenere l’attenzione della gente. Il che non toglie ovviamente che questo genere vada coltivato. E speriamo che il nostro editore, Cairo, si innamori di questo filone narrativo».
Un momento, però. Lei mi sta dicendo che finché il pubblico la vuole, lei gli da la Santanchè. Quando si sarà stancato la buttiamo a mare. Dovrebbe essere lei a decidere se la Santanchè, alla quale a questo punto fischieranno gli orecchini, dice cose interessanti o stupidaggini.
«Ma questo è evidente. Il mio compito è di seguire e interpretare le tendenze del pubblico e, come teorizzano i grandi del teatro, tradirlo, cambiare strada al primo cenno di stanchezza. Non certo essere il semplice megafono dei suoi umori».
Lei sa che molti le contestano la famosa trasmissione con Berlusconi e Travaglio. La accusano di aver fatto esattamente da megafono al capo della destra italiana resuscitando un cadavere politico.
«Che sciocchezze. Io ne vorrei altre dieci di serate come quella. La critica italiana è spesso stupida e sempre politicizzata. Insomma, se Berlusconi oggi, con una sentenza definitiva a 4 anni, è ancora un problema italiano, la colpa è di Santoro? La verità è che una parte della sinistra immaginava possibile andare a fare le elezioni da sola, e d’altro canto la destra non ha altri leader, o Berlusconi o niente. Uno può anche immaginare un mondo senza Berlusconi, senza Santoro e senza Travaglio. Però ci sono, che ci vuoi fare? Ammazzarli?».
Magari qualcuno lo vorrebbe. Ma torniamo alla necessità di intercettare i momenti di cambiamento nel Paese. Secondo lei viviamo uno di questi momenti?
«Assolutamente si. Il Paese è stanco delle vecchie storie, dei vecchi protagonisti che si ripetono, sempre uguali. La gente è alla ricerca di nuove storie e nuovi interpreti. Ma non è così facile trovarli o inventarli. E non lo fai con la tv. Non è che se prendi un politico emergente, gli metti i gradi del generale e lo mandi in onda, il Paese si ferma a guardare. I leader non si costruiscono così».
Ma scherza? Molti non sono affatto d’accordo. E, per esempio, sostengono che se Renata Polverini non fosse diventata a suo tempo ospite fissa di Ballarò, quando mai sarebbe diventata presidente della Regione Lazio? Con le conseguenze che sappiamo, tra l’altro.
«Non sono d’accordo. Sicuramente, senza la platea di Ballarò la Polverini non sarebbe arrivata dov’è arrivata. E però, se ha vinto le elezioni nel Lazio, qualche ingrediente da spendere doveva pur averlo. Anche la deprecata Santanchè qualcosa ha».
Che cosa?
«Be’, negli Stati Uniti hanno Sarà Palin e noi la Santanchè».
Potrebbero andare insieme a caccia di renne nella tundra dell’Alaska.
«O la Mussolini». Santoro, ma cosa dice?
«Ma sì. La sua partecipazione ai reality le ha forse sottratto credibilità. Ma se non si lascia trasportare dal guittismo, la Mussolini è spesso capace di esprimere gli umori che allignano nella pancia di un certo Paese».
Guardi che sono buoni tutti a dire «castriamo i pedofili» e strappare così un po’ di applausi. Sono questi i nuovi leader? Quelli che se stai facendo un ragionamento in un talk show ti azzannano alla gola andandoti sulla voce e impedendoti di parlare urlando come invasati?
«Ecco, questo è un punto interessante. Il proliferare dei talk show ha fatto saltare le più elementari regole del confronto in tv. Queste trasmissioni sono diventate un tavolo in cui ognuno mette i piedi nel piatto dell’altro, ci si lancia pezzi di pollo, con annesso piagnisteo “perché lei mi interrompe quando io non l’ho mai interrotta?”».
Parole sante.
«Bisogna ritrovare un modo educato di stare a tavola».
Niente più rutti?
«Qualcosa del genere. Noi ci stiamo lavorando. Stiamo cercando il sistema per far si che il dibattito torni a modi civili».
Se ci riesce le fanno un monumento.
«Non sarà facile. Nel Pdl, soprattutto, a parte qualche intellettuale tipo Gaetano Quagliariello, che rispetta sempre i suoi interlocutori, molti coltivano il mestiere del guastatore».
È uno stile scelto deliberatamente.
«Certo. Ma è subalterno. Non ti porta alla leadership. I guastatori sono comprimari. Il risultato di questo stile è che gli spettatori capiscono che quelli sono guerriglieri, ma il leader è sempre un altro».
Però, dice lei, tutto sta per cambiare.
«Io sono convinto che tra un anno vivremo una situazione completamente diversa, in politica e anche in televisione».
Be’, guardi nella palla di vetro e ci descriva questo scenario in arrivo.
«La tv anticipa sempre i cambiamenti della società. Sono già in atto cambiamenti importanti, rispetto al tradizionale duopolio Rai-Mediaset. Se Berlusconi esce davvero di scena dovremmo per esempio avere maggiore e più allegra concorrenza dell’offerta televisiva. Forse il peso della politica e degli interessi organizzati diminuirà. Nuovi imprenditori troveranno il coraggio di entrare sul mercato. L’ascesa di Matteo Renzi nel Pd è sotto gli occhi di tutti, così come il tramonto di Berlusconi nel Pdl, forse la fine del modello del partito proprietario che ha condizionato vent’anni di vita politica italiana. Basta?».
Veramente non basta mai.
«Si deve fare una bella eutanasia alla politica virtuale, quella che non ha alcun contatto con il territorio. E rigenerare la classe dirigente a partire proprio dai comuni e dalle realtà territoriali. È quello che da l’impressione di voler fare Matteo Renzi, per esempio».
Ecco che prende forma il «santorismo».
«Che sarebbe il santorismo?».
Il modo di stare al mondo di Michele Santoro e l’ispirazione che motiva le sue trasmissioni, la sua visione del mondo e della società, i suoi valori.
«Ah be’, se mi parla di valori, ci sto. Sono quelli che mi ha insegnato mio padre. L’attenzione agli altri, agli umili, ai deboli, a coloro che subiscono un torto. Insemina, il senso della giustizia».
E la reazione ai torti.
«Sì, anche la reazione alle prepotenze».
Allora ci si vede giovedì.
«Sì, giovedì».