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 2013  settembre 20 Venerdì calendario

LA GUERRA PER L’EREDITÀ DI MANDELA

JOHANNESBUBG. Quando Nelson Mandela è tornato a casa dall’ospedale, domenica primo settembre, tra le voci che si sono rallegrate dell’evento si è levata anche quella del nipote Mandla. «È un giorno di festa per tutti noi» ha detto il trentanovenne capo tribale del clan dei Mandela. E subito dopo, nella dichiarazione scritta inoltrata alle agenzie di stampa, ha aggiunto: vedete, non è dunque vero che il nonno sia in stato vegetativo e che «per essere dichiarato effettivamente morto aspetti solo che venga staccata la spina alle macchine che lo tengono in vita».
Sembrerebbe una constatazione degna del signor di La Palisse, ma ad orecchie avvertite il significato è ben altro. Anche i quel momento di gioia, Mandla non s’è lasciato sfuggire l’occasione di sparare una bordata contro la zia Makaziwe, di vent’anni maggiore, impegnata in uno scontro frontale per essere lei – di fatto, sia pure senza il benestare degli anziani giù al villaggio – il vero nuovo capo dei Mandela. Mentre l’anziano padre della patria sudafricano, venerato in tutto il mondo, rimane in condizioni molto gravi e si appresta all’eterna serenità dei Campi Elisi, la sua famiglia litiga di brutto. Il clan è diviso da feroci lotte intestine, sostanzialmente per questioni di soldi. L’unica a restare con amore e dignità al capezzale del grande vecchio, l’unica che non rilasci dichiarazioni se non di gratitudine e speranza, è la terza moglie, la mozambicana Graca Machel, una persona straordinaria e rispettata da tutti. Tutti gli altri non sono né l’una né l’altra cosa.
Alla fine del giugno scorso, quando le condizioni del malato passarono da «gravi» a «critiche» e sembrò che egli fosse giunto alle sue ultime ore, lo scontro intestino deflagrò alla luce del giorno. Mandla fu trascinato in tribunale con procedura urgente da Makaziwe e un’altra quindicina di zie cugini, inclusa – per la sola e unica volta – anche Graca. Il Sudafrica, e il mondo, seguirono ammutoliti la vicenda. La causa riguardava il futuro luogo di sepoltura di Madiba, il nome clanico con cui Mandela viene universalmente chiamato.
Con il pretesto di rispettare le ultime volontà del vecchio eroe, espresse più volte ma mai in maniera formale, anche questa era in realtà una faccenda di soldi. Madiba vuole essere sepolto a Qunu, il villaggio dove trascorse l’infanzia. Ma Mandia tempo fa fece spostare nottetempo le spoglie di altri defunti di famiglia a Mvezo, il villaggio natale, una manciata di chilometri più in là. D fatto è che a Mvezo Mandia ha la sua residenza tribale, e ha convinto svariati imprenditori pubblici e privati a investirvi milioni di rand in previsione che quella, e non Qunu, diventi un giorno la meta dei pellegrinaggi sulla tomba di Nelson Mande]a. Un flusso costante – e pagante – di visitatori e turisti. Alberghi, un «centro della memoria» e altre strutture sono già in costruzione. Il giudice però ha dato ragione agli altri familiari, imponendo in fretta e furia che i resti dei parenti venissero riportati da Mvezu a Qunu, come effettivamente è avvenuto. Per convincerlo dell’estrema urgenza della questione, gli avvocati di Makaziwe avevano elaborato un documento nel quale si sosteneva che era imminente la decisione di «staccare la spina» al vecchio morente. Di qui, due mesi dopo, la battuta piccata di Mandia: ma quale spina da staccare, come vedete il nonno è addirittura tornato a casa.
Si era sperato allora che la sentenza potesse mettere la parola fine alle liti di famiglia. Mandia si incaricò di smentire. Convocò una conferenza stampa nella quale lavò pubblicamente i panni sporchi, anzi sporchissimi, di famiglia. Accusò il fratello minore Mbuso di essere il vero padre del figlio avuto dalla seconda moglie, la giovanissima miss dell’isola della Réunion Anais Grimaud, nel frattempo ripudiata e rispedita a casa. All’altro fratello Ndaba rinfacciò di essere stato concepito dal padre con una donna sposata che non era però sua moglie. Della zia Makaziwe ha detto che, essendo sposata Amuah, «dovrebbe piuttosto occuparsi delle beghe di quella famiglia lì».
Poi ha tirato in ballo un’altra vicenda giudiziaria, la causa intentata da Makaziwe e un’altra sorella, Zenani, (la figlia maggiore di Winnie, seconda moglie di Madiba), per il controllo di due finanziarie di famiglia, la Harmonieux Investment Holding e la Magnifique Investment Holding. Due cassaforti miliardario nelle quali confluiscono i proventi della vendita di opere d’arte e oggettistica legate al nome e all’immagine di Nelson Mandela. Madiba ne affidò la guida a tre suoi vecchi amici di fiducia, ma in aprile le due figlie hanno chiesto all’Alta Corte di Johannesburg di esautorarli, affidando le holding a loro. La sentenza non è stata ancora emessa. «Io dissi che non volevo entrare in questa storia» ha dichiarato Mandia in diretta tv, «e adesso zia Makaziwe e zia Zenani si sono vendicate» con la questione delle sepolture. Invano le maggiori autorità morali del Paese, a cominciare dall’arcivescovo emerito Desmond Tutù, lo hanno implorato di tacere.
Nelson Mandola ha avuto una vita straordinaria, eroica. Prima di diventare un’icona mondiale e uno degli uomini più grandi della storia, ne ha trascorso quasi un terzo in prigione per le sue idee. Non ha avuto il tempo di essere padre. Soltanto, in vecchiaia, un patriarca. Ha avuto tre mogli, due delle quali sono vive, sei figli, diciassette nipoti e – per il momento – quattordici pronipoti. Quando perse il suo primo maschio, Madiba Thembekile, morto in un incidente d’auto nel 1969, le autorità non gli concessero di andare al funerale. Fece appena in tempo a concepire le due figlie di Winnie, Zenani e Zindzi, e le ha ritrovate che erano già adulte. Poco dopo la sua liberazione, lui e Winnie si separarono; nel frattempo le prove delle infedeltà di lei (e dei suoi misfatti) erano finite su tutte le prime pagine. La terza generazione, salvo i più giovani, nati negli anni Novanta, l’ha conosciuta tutta quand’era già cresciuta. Dicono che il senso di colpa lo abbia reso troppo indulgente. Che sia stato da vecchio troppo prodigo di denaro, soltanto di quello, con tutti questi eredi. E che essi lo ricambino con uno smodato .interesse per il denaro, soltanto per quello. Ha concesso a Makaziwe e alla figlia maggiore Tukwini l’uso riel nome per etichettare i suoi vini. A due nipoti femmine le iniziali del titolo della sua vendutissima autobiografia, Long Walk to Freedom, Lungo cammino verso la libertà, per creare la linea di abbigliamento LWTF . Le stesse due, Zaxiwe e Swati, figlie di Zenani, sono protagoniste di un reality intitolato Being Mandela, nel quale passano il tempo a fare shopping e a dire che il nonno è tanto severo ma la nonna in compenso è tanto dolce.
Figli, figlie, nipoti si sono variamente venduti i diritti dei suoi compleanni per organizzare eventi a fine di lucro, come tornei di boxe e altre imprese tutte rivelatesi fallimentari. Di Mandia si è detto che ha ceduto i diritti sulle immagini del futuro funerale di Madiba alla tv pubblica sudafricana per tre milioni di rand, ma lui nega. La storia più bieca è quella del men che trentenne Zondwa, figlio della seconda figlia di Winnie, Zindzi. In società con Khuiubuse Zuma, nipote dell’attuale presidente sudafricano, rilevò nel 2009 la miniera d’oro di Pomodzi. Molte società con lunga e documentata esperienza di gestione mineraria concorsero; loro non ne avevano alcuna, e vinsero. Poi si vendettero gli impianti pezzo a pezzo. La Pomodzi Gold non riprese mai la produzione. Cinquemila e 300 minatori persero il lavoro e finirono in miseria, e con essi le loro famiglie. I giovani Mandola si proiettano cosi nel nuovo Sudafrica. TI vecchio, quello di Nelson, sembra essere durato soltanto il tempo di una generazione di eroi: adesso sta morendo.