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 2013  settembre 20 Venerdì calendario

QUANTO SONO MICIDIALI LE ARMI CHIMICHE

Se gli accordi tra Stati Uniti e Russia del 14 settembre saranno messi in atto in maniera efficace, il regime siriano si troverà, entro la metà del prossimo anno, completamente privo del suo arsenale di armi chimiche. Si tratta, secondo molti, di un successo della diplomazia internazionale che, senza ricorrere alla guerra, è riuscita a imporre il rispetto di una norma internazionale: il divieto di usare armi chimiche (qui trovate un articolo del Post in proposito – Vedi sotto Articolo1).

Secondo molti altri gli accordi hanno ottenuto anche un ulteriore risultato: privare il regime siriano delle sue armi più micidiali, rendere il potere di Assad più traballante, compromettere la sua capacità di opporsi ai ribelli e di uccidere la popolazione civile siriana. Questa opinione è in parte influenzata dall’idea che le armi chimiche siano vietate proprio perché sono particolarmente micidiali ed efficaci nell’uccidere gli esseri umani – insomma, che siano un’arma di distruzione di massa, alla pari con quelle biologiche e nucleari. In realtà le cose non stanno proprio così, anzi.

I problemi delle armi chimiche
Per immaginare l’effetto delle armi chimiche sono state fatte diverse simulazioni e sono stati studiati diversi modelli. Una delle più famose è stata elaborata nel 1993 dall’Office of technological assessment del Congresso degli Stati Uniti. Secondo questa simulazione se una città con una densità tra i 3 mila e i 10 mila abitanti per chilometro quadrato venisse attaccata con una tonnellata di gas nervino (sparso da un aereo a meno di cento metri di altezza), in condizioni climatiche ideali potrebbero esserci fino a 8 mila morti (si tratta di una stima ritenuta oggi un po’ esagerata). Ma basterebbe una brezza leggera e i morti si ridurrebbero a un numero compreso tra 300 e 800.

Sia che siano agenti vescicanti, che si presentano sotto forma di nuvole opache di gas, sia che siano moderni gas nervini, che a temperatura ambiente sono liquidi e vengono rilasciati sotto forma di una specie di pioggia, le armi chimiche hanno tutte in comune un limite fondamentale: la loro efficacia dipende dalle condizioni atmosferiche.

Non c’è soltanto il vento di cui tener conto: è importante considerare anche le precipitazioni, la temperatura e la pressione dell’aria, se ci sono nuvole, se è giorno oppure se è notte (se ne parla a lungo su http://www.wagingpeace.org/articles/2001/11/00_harigel_cbw.htm Gert G. Harigel, uno dei numerosi esperti di armi chimiche che ne criticano l’inclusione tra le cosiddette “armi di distruzione di massa). Tutte queste limitazioni sono legate a un’altra fondamentale caratteristica che hanno tutte le armi chimiche: sono volatili e più dense dell’aria nella quale vengono disperse.

Si tratta di caratteristiche fondamentali: se fossero meno dense, tenderebbero a salire verso il cielo, senza produrre grandi danni. Se fossero meno volatili, non si disperderebbero e non causerebbero molti danni. I gas, o le “piogge” di nervino, tendono invece a cadere verso il suolo, ma sono influenzati dal vento che li può disperdere o spostare. Il nervino si adagia ovunque, produce dei vapori più pesanti dell’aria (la produzione di questi vapori dipende a sua volta dalla temperatura, dalla pressione e dall’umidità). I vescicanti, come l’iprite, si accumulano nelle buche, nei dislivelli e filtrano nel sottosuolo.

Questo ci porta a un altro “difetto” delle armi chimiche: si tratta di armi dalle quali è possibile difendersi (se ne parla a lungo in questo documento del MIT di Boston – anche qui si parla di togliere alle armi chimiche la definizione di “armi di distruzione di massa”). Raggiungere luoghi elevati – una collina, il tetto di un palazzo – può essere una precauzione sufficiente per evitare gli effetti dei gas di tipo più vecchio, come l’iprite o il cloro. Restare al coperto durante la pioggia iniziale e quindi raggiungere luoghi elevati dove i vapori non riescono ad arrivare, è una difesa possibile anche contro gli agenti nervini come il sarin – sempre di non essere colti allo scoperto: gli agenti nervini uccidono in pochi secondi (alcuni di questi consigli sono tratti dal sito dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche).

I militari hanno modi ancora più sicuri per difendersi. Tute per la guerra chimica, del costo di circa 150-200 euro, sono a disposizione di tutti gli eserciti del mondo, così come apparati per proteggere i veicoli. Questo tipo di difese rende immuni a qualunque arma chimica. Non esiste quantità di sarin o cloro che possa penetrare una moderna tuta NBC (Nuclear, bacteriological and Chemical, cioè che protegge da armi chimiche, batteriologiche e da radiazioni) e da o un veicolo militare protetto.

Le armi chimiche nella storia
Tutti questi difetti sono emersi chiaramente nella storia militare dell’ultimo secolo. I primi gas tossici soffocanti e vescicanti vennero usati nel corso della Prima guerra mondiale. Il gas, utilizzato per la prima volta nel 1915, doveva essere l’arma destinata a spezzare lo stallo della guerra di trincea, ma fallì clamorosamente il suo obbiettivo. Le armi chimiche si rivelarono un’arma incredibilmente poco letale: morirono soltanto il 3 per cento dei soldati che furono colpiti dai gas, a fronte di una media del 30 per cento dei soldati colpiti da altre armi. Si calcola che durante la guerra per uccidere un solo soldato sia stata necessaria un’intera tonnellata di gas.

Quelli della prima guerra mondiale erano gas “primitivi” e non efficaci come gli agenti nervini moderni. Negli ultimi decenni sono stati prodotti gas molto più letali, ma i loro risultati in guerra non sono stati migliori. Durante la guerra tra Iran e Iraq dei 27 mila soldati iraniani esposti ai gas ulceranti e soffocanti ne morirono “soltanto” 265. In tutta la guerra soltanto l’1 per cento dei morti (circa 5 mila, anche se alcune stime parlano di un numero molto maggiore) è stato causato dalle armi chimiche, la stessa percentuale della Prima guerra mondiale.

Tutti questi casi raccontano storie di eserciti che, anche quando non dotati delle migliori tecnologie per difendersi dai gas, erano pur sempre preparati ad affrontare minacce di vario tipo. Per nostra fortuna, nella storia ci sono stati pochi attacchi con gas contro una popolazione civile del tutto impreparata a reagire.

Il più grave di questi attacchi fu quello che subì Halabja, un villaggio curdo nel nord dell’Iraq. Intorno alle 23 del 16 marzo 1988, dopo due giorni di bombardamento con armi convenzionali, l’aviazione iraqena attaccò Halabja con ogni tipo di gas presente negli arsenali di Saddam Hussein. Ci furono 14 sortite aeree, ognuna composta da 7-8 aeroplani che sganciarono bombe contenenti armi chimiche. L’attacco durò cinque ore e i testimoni raccontano che il centro della città era avvolto in una nube di gas alta 40 metri formata da un misto di agenti nervini, gas mostarda, iprite e cloro. Il bilancio dell’attacco e del bombardamento con armi convenzionali che lo precedette fu di almeno 3.500 morti e 7 mila feriti.

Le armi chimiche sono state utilizzate anche in alcuni attacchi terroristici. I più famosi sono quelli compiuti nei primi anni ’90 in Giappone dalla setta Aum Shinrikyo. Un primo attacco con 3 chilogrammi di sarin causò 7 morti. Il secondo, compiuto all’interno della metropolitana di Tokyo, quindi in condizioni ideali per questo tipo di attacchi, causò 12 morti.

L’efficacia delle armi chimiche
Tony Cordesman, un ex membro del dipartimento della Difesa americana che ora lavora al Center for Strategic and International Studies, ha riassunto la questione durante un’intervista alla Cnn (http://edition.cnn.com/2013/08/27/world/meast/syria-chemical-weapons-red-line/index.html). «Gli attacchi con armi chimiche non sono necessariamente più orribili che l’utilizzo di armi convenzionali», ha detto Cordesman, «la letalità delle armi chimiche è sempre stata molto maggiore sulla carta che nella realtà».

Quando sono state usate in contesti militari le armi chimiche hanno sempre fallito il loro obbiettivo. Non sono riuscite a sbloccare lo stallo della Prima guerra mondiale e non sono riuscite a fermare le ondate umane dell’esercito iraniano durante la guerra Iran-Iraq. Come molti commentatori hanno fatto notare già all’indomani della firma dell’accordo tra Stati Uniti e Russia, è difficile pensare che in Siria le cose possano andare diversamente e che, per la prima volta, l’uso di armi chimiche riesca a spezzare l’equilibrio tra le due forze in campo. Negli ultimi due anni, l’esercito siriano si è dimostrato più che in grado di tenere a bada i vari gruppi ribelli utilizzando soltanto il suo vasto arsenale convenzionale.

L’unico utilizzo nel quale le armi chimiche si sono rivelate efficaci è stato lo sterminio di civili indifesi. Ma anche qui, le migliaia di morti di Halabja sono state causate dopo un raid aereo durato ore e in cui sono stati impiegati decine di aeroplani. È difficile sostenere che simili massacri di civili non possano essere compiuti con la stessa facilità, impiegando un numero minore di mezzi e senza ricorrere alle armi chimiche. La storia, purtroppo, ce ne ha fornito un lungo elenco.

In Rwanda in soli cento giorni nella primavera del 1994 vennero massacrati circa un milione di Tutsi senza che venisse utilizzata nessuna arma più complicata di una machete. A Srebenica, in circa 48 ore, tra l’11 e il 13 luglio del 1993, vennero uccisi più di 8 mila bosniaci usando solo armi da fuoco. Volendo restare in Siria, nel 1982 in poco più di due settimane si calcola che l’esercito siriano uccise fino a 40 mila abitanti della città di Hama, dopo un’insurrezione promossa dai Fratelli Musulmani.

Questi stessi dubbi erano stati espressi da diversi commentatori molti mesi fa, quando Barack Obama parlò per la prima volta delle armi chimiche come di una linea rossa che non doveva essere oltrepassata. Di sicuro l’accordo tra Stati Uniti e Russia è un successo per la diplomazia. Se gli esperti dei due paesi e della Nazioni Uniti riusciranno a tradurre in pratica gli accordi, individuando i depositi di armi chimiche e distruggendoli, sarà un trionfo ancora più grande. Quello che però queste vittorie non sembrano in grado di garantire è una maggiore sicurezza al popolo siriano.

Ma allora perché le armi chimiche sono vietate?
In parte per tutti i motivi che abbiamo detto: le armi chimiche si sono dimostrate meno efficaci di quanto i loro inventori si attendevano. È più facile resistere alla tentazione di utilizzare in guerra un’arma inutile rispetto a un’arma in grado di cambiare le sorti di un conflitto. Si tratta però di una spiegazione che non convince tutti gli esperti.

Secondi alcuni il motivo principale ha a che fare con il modo particolarmente orribile con cui uccidono le armi chimiche. Altri obbiettano che non c’è molto di peggio nei gas e nei danni a lungo termine che possono infliggere ai sopravvissuti rispetto alle mutilazioni che possono causare schegge ed esplosioni. Uno dei libri che hanno approfondito più il tema si intitola The Chemical Weapons Taboo, di Richard M. Price. Se non volete leggervi tutto il libro, su Google Libri è presente una lunga anteprima in cui Price (http://books.google.it/books?id=bWutpop3t4QC&lpg=PR9&ots=aBPgklShCp&dq=lethality%20of%20chemical%20weapons%20compared&lr&hl=it&pg=PP1#v=onepage&q&f=false) spiega che non c’è un’unica causa facile da spiegare in poche parole.

***
COMMENTI
Secondo me, comunque, nell’immaginario collettivo la ggente confonde le armi chimiche con quelle biologiche, ben più potenti. Anche per questo secondo me ci sono certe reazioni.
(Armilio)

A maggior ragione nei paesi come il nostro più avezzi ad approcciarsi al magico e all’emotività che non al razionale e allo scientifico.
(Orton_Zunt a Armilio)

De Luca, in questo tuo post menzioni solo il numero di morti che questo tipo di armi possono causare. In realtà, l’efficacia di questo tipo di armi è nel numero di potenziali feriti-invalidi che possono causare. Nei conflitti moderni, 1 ferito pesa molto di più di un morto: devi soccorrerlo, trasportarlo, curarlo, impiegando molte risorse. Nel caso dei militari, un ferito richiede l’attenzione di altri soldati (che così sono distolti dall’azione attiva), richiede logistica per essere portato in sicurezza e medici per essere curato. Non tutti gli eserciti sono attrezzati al 100% per la guerra NBC (quando ho fatto il militare io, avevo una maschera antigas in comproprietà con almeno altri 20 soldati, e se ero fortunato la cartuccia-filtro era nuova ma scaduta, vista l’età media delle attrezzature della caserma).
Nel caso dei civili, l’arma chimica provoca ondate di feriti (non tutti vittime dell’agente chimico) e caos (vedi i lacrimogeni che la polizia lancia a piene mani durante certi disordini).
Il motivo per cui USA ed altri le vogliono considerare "di massa", è appunto quello: pochi morti, ma molti feriti e tantissimo caos.
(Andrea Quaglia)

Nei conflitti moderni, 1 ferito pesa molto di più di un morto: devi soccorrerlo, trasportarlo, curarlo, impiegando molte risorse
che poi è alla base dell’evoluzione della tipologia delle mine antiuomo o delle bombe a grappolo.
E’ l’implementazione, in un’arma, dell’aspetto psicologico più devastante possibile.
Il commilitone fatto a completamente a pezzi e subito morto, non ti ferma più di tanto.
Ma quello che gronda sangue perchè gli è partita "solo" una gamba, pone molti problemi di ordine psicologico e "distrae" dal combattimento parecchi altri.
(Orton_Zunt)

Che tipo di ferite causa l’arma chimica?
(Dr Drake Ramoray a Andrea Quaglia)

Problemi apparato respitratorio, piaghe, cecità , danni neurologici etc etc.
(Giangio a Dr Drake Ramoray)

Solo una precisazione: oggigiorno, non si usano gli aerei, ma - come dimostrato nel caso di Damasco - razzi terra terra armati con testate chimiche, che hanno il vantaggio di concentrare i gas in un’area ristretta e hanno (sui civili indifesi) un impatto assai maggiore rispetto ad una testata convenzionale
(Redsmaug)

Attendo con trepidazione il prossimo articolo in cui si dimostra che in fondo le mine antiuomo non sono così micidiali come ci vogliono fare credere
(Beonerosso)

Infatti, secondo alcune ricerche, le mine terrestri sono responsabili soltanto del 10 per cento delle morti civili nei conflitti più recenti, a differenza del 64 per cento causato da fucili d’assalto.
A guardare i numeri nudi e crudi viene fuori che la peggiore arma di distruzione di massa al mondo è l’Ak-47.
(Davide Maria a De Luca beonerosso)

Le mine antiuomo costano poco e possono essere dispiegate in ampie zone, rendendo di fatto difficilissima la bonifica post conflitto se non a costi altissimi, rimanendo attive per anni e anni impedendo così l’utilizzo di ampi spazi di territorio, e colpendo in prevalenza civili anche a distanza di anni dalla fine del conflitto - l’errore di base del ragionamento è che non vengono vietate le armi in ragione del maggiore o minore numero di vittime che causano, ma in base ad un giudizio caso per caso sulle modalità e conseguenze dell’impiego dell’arma
(Redsmaug Davide Maria De Luca)

Ma quindi il tuo è un caso di benaltrismo bellico? "Sono ben altre le armi che andrebbero bandite"?
(Beonerosso a Davide Maria De Luca)

Come al solito, non mi permetto di proporre soluzioni. Mi limito a esporre dati e numeri ;)
(Davide Maria De Luca a Beonerosso)

Sì, ma in questo caso il parametro "numero di morti" non è necessariamente quello più significativo quando si parla del "perché" del divieto e della valutazione sull’impatto (vedi mio post sopra )
(Redsmaug a Davide Maria De Luca)

Non dico che il parametro "numero di morti" sia quello giusto per decidere cosa vietare e cosa no. Sinceramente non ho la minima idea di cosa sia meglio vietare, se i divieti funzionano o quale sia il modo migliore per evitare morti e conflitti.
Mi limito a dire che se vogliamo parlare delle armi che "causano più morti", le armi bianche e le armi da fuoco sono quelle che hanno il primato dalla fine della guerra di Corea ad oggi.
(Davide Maria De Luca a Redsmaug)

Mi riesce difficile pensare che qualcuno consideri le armi chimiche un male in base al numero di morti. Quali articoli di giornale facevano intendere questo? Non sarà il caso di uno strawman? La scelta della metrica applicata a problemi etici non è mai neutra.
(Beonerosso a Davide Maria De Luca)

Direi di vietare l’ak 47
(Salvo Valastro a Davide Maria De Luca)

Barry ha detto una cazzata con la storia della linea rossa. L’ennesima, e grandi menti si scomodano per trovarne una qualche giustificazione...invano.
(Capitan Farlock)

La prego, sig. De Luca, scriva tabù. Non taboo. Siamo in Italia.
(1uigi)

Hai proprio ragione ;)
(Davide Maria De Luca 1uigi)


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ARTICOLI CITATI

Articolo1
PERCHÉ UCCIDERE CON LE ARMI CHIMICHE È PIÙ GRAVE?– (Articolo di Luca Misculin del 12/9/2013)

Qualche risposta alla domanda che molti si sono fatti quando il loro uso episodico è diventato la svolta di una guerra da 100.000 morti-
Dopo essere uscite per alcuni anni dal dibattito politico e dall’interesse giornalistico, nelle ultime settimane si è tornati a discutere molto di armi chimiche, per via del presunto bombardamento del regime di Bashar al-Assad su due quartieri di Damasco, in Siria, la mattina di mercoledì 21 agosto. Nei mesi precedenti i ribelli avevano più volte accusato Assad di usare armi chimiche, e lo stesso aveva fatto un’inchiesta di Le Monde: a un certo punto il presidente statunitense Barack Obama aveva definito l’uso di armi chimiche una «linea rossa», che se oltrepassata avrebbe generato gravi conseguenze. Il 4 settembre Obama ha poi precisato che «è stato il mondo a stabilire questo limite» e non i soli Stati Uniti.

L’escalation verbale – forse anche militare – che ha generato l’attacco di Damasco ha fatto chiedere a molti perché aver ucciso un migliaio di persone con le armi chimiche abbia scosso la comunità internazionale più delle 100.000 persone uccise con armi convenzionali nel corso della guerra civile. Detto che quello sull’inazione dell’ONU è tutto un altro discorso, e molti sostengono che la comunità internazionale si sarebbe in assoluto dovuta muovere molto prima, la domanda è legittima e ha delle risposte.

Obama ha fatto riferimento a una serie di trattati – per ultimo la Convenzione di Parigi sulla Proibizione delle Armi Chimiche del 1993 – coi quali negli anni si è cercato di limitare o impedire la proliferazione degli arsenali di armi chimiche. A oggi si stima che sia stato distrutto circa il 78,57 per cento dell’arsenale chimico in circolazione, pari a 55.939 tonnellate di sostanze. La Convenzione è l’ultima espressione di un pensiero comune che si sviluppò a partire della Prima guerra mondiale nella comunità internazionle: l’utilizzo delle armi chimiche va limitato, se non vietato del tutto.

Secondo l’Organisation for the Prohibition of Chemical Weapons (OPCW), un’agenzia intergovernativa che si occupa del disarmo delle armi chimiche, quest’ultime vengono definite generalmente «sostanze chimiche contenute all’interno di un involucro, come una bomba o un proiettile». Secondo l’OPCW, in realtà, la definizione reale sarebbe più complessa: sulla carta moltissime armi “convenzionali” possono contenere sostanze chimiche, aggiunte poco prima del loro utilizzo. Le armi chimiche sono classificate in base all’effetto che producono sull’uomo: esistono quelle irritanti, vescicanti, soffocanti, velenose (letali), inabilitanti, insetticide, eccitanti e deprimenti.

Nonostante il numero dei morti causato da armi chimiche nei confilitti sia sempre stata una piccola parte rispetto al totale – nella Prima guerra mondiale e nell’attuale conflitto in Siria la percentuale è la stessa, cioè vicina all’1 per cento – il loro utilizzo è da molti considerato estraneo al “normale” comportamento bellico.

Un po’ di cose da sapere, prima
Nell’antichità l’uso di armi chimiche, sebbene fosse noto, era piuttosto raro: popolazioni come i Sumeri, i Greci, i Romani e i Cinesi hanno utilizzato con varia frequenza tecniche per avvelenare pozzi o le punte delle proprie frecce, oppure per soffocare i nemici con particolari sostanze tossiche generate da rudimentali reazioni chimiche. Nel Medioevo si diffuse la conoscenza di particolari composti sulfurei che venivano utilizzati durante gli assedi delle città, per asfissiare i nemici.

Con lo sviluppo della chimica moderna, i governi di varie nazioni dotarono il proprio arsenale di sostanze chimiche create artificialmente e sintetizzarono composti da utilizzare in guerra: l’esercito francese fu il primo a lanciare un gas lacrimogeno durante i primi mesi della Prima guerra mondiale, e da lì l’uso si diffuse in fretta. Nel corso della seconda battaglia a Ypres, in Francia, il 22 aprile 1915, l’esercito tedesco attaccò quello francese con del gas clorato: durante le battaglie nei territori al confine fra Francia e Germania, detto il fronte occidentale, si è stimato che furono utilizzate circa 50.965 tonnellate di gas tossici, fra cui cloro, fosgene e iprite. Quest’ultimo è considerato uno dei più dannosi per l’uomo: può penetrare i vestiti e creare piaghe nella pelle difficilmente curabili. Un’elevata esposizione all’iprite può provocare danni gravissimi all’apparato respiratorio e la morte.

Nel 1925, 38 nazioni firmarono il cosiddetto “Protocollo di Ginevra”, che divenne effettivo nel 1928: proibiva l’utilizzo di armi chimiche anche in contesti di guerra, ma non la sua produzione. Nonostante ciò, diversi paesi negli anni successivi violarono il protocollo.

Nel 1935 il dittatore italiano Benito Mussolini ordinò l’utilizzo di gas all’iprite durante la guerra coloniale che l’Italia stava combattendo in Etiopia. Cinque anni più tardi, nel 1940, il Giappone lanciò sul territorio cinese alcune bombe contenenti gas tossici: molte finirono sottoterra e nonostante il governo giapponese si sia impegnato a rimuoverle a proprie spese, fino al 2005 circa duemila cittadini cinesi sono morti in seguito al loro ritrovamento accidentale.

Nel corso della guerra fra Iran e Iraq, fra il 1980 e il 1988, il dittatore iracheno Saddam Hussein fece un largo uso di armi al gas nervino, una particolare famiglia di gas tossici che danneggiano gravemente il sistema nervoso di chi ne viene a contatto: vengono interrotte molte sinapsi che regolano il movimento della muscolatura volontaria, e a meno che la persona colpita non assuma un antidoto poco dopo la contaminazione, la morte arriva dopo pochi minuti e molte sofferenze. Nel marzo del 1988 l’esercito iracheno utilizzò il gas sarin, della famiglia dei nervini, per bombardare la città a maggioranza curda di Halabja, in Iraq: morirono fra le 3200 e le 5000 persone. Fu probabilmente l’episodio più famoso di utilizzo di armi chimiche in un contesto di guerra.

Perché le armi chimiche sono diverse
Fin dall’entrata in vigore della Convenzione di Parigi che le ha messe al bando, in molti hanno obiettato che il divieto di utilizzare armi chimiche è inconsistente o inefficace: le critiche più solide riguardano sia il fatto che si tratta pur sempre di un tipo di arma, pur con tutte le sue particolarità, e che quindi – anche vietandone l’utilizzo – la guerra si può fare in mille altri modi, sia che gli Stati Uniti vogliono vietarle perché strategicamente interessati a mantenere i conflitti sul piano della battaglia “convenzionale”, e quindi più facilmente controllabile: in altre parole, pur disponendo di una forza militare impressionante per grandezza e potenza del proprio esercito, una minaccia batteriologica sarebbe molto poco controllabile per gli Stati Uniti nonché per qualsiasi forza armata di terra. Questo però dice molto in realtà anche del perché le armi chimiche sono considerate così letali e pericolose, e quindi diverse dalle altre.

- Hanno un impatto indiscriminato e poco controllabile: possono diffondersi nell’atmosfera e ricadere successivamente sia su chi le ha utilizzate sia sulla popolazione civile. Al contrario delle armi convenzionali, dell’artiglieria, l’uso di armi chimiche può avere gravi conseguenze anche nel medio e nel lungo periodo.

- Sono armi particolarmente sleali: colpiscono «bersagli indiscriminati», spesso civili, provocano morti dolorose oppure lasciano pesanti conseguenze fisiche sui corpi dei sopravvissuti, non forniscono a chi è colpito la possibilità di difendersi o mettersi al riparo.

- Possono essere utilizzate da gruppi terroristici anche molto piccoli, spesso non servono nemmeno grandi risorse per produrle. Per questo motivo, secondo l’ex senatore americano Richard G. Luger, «le armi chimiche possono essere considerate la più grande minaccia a una nazione, più di un governo nemico, più di un’intera nazione nemica». Servono invece enormi risorse per smaltirle e dissolverle, altra ragione che le fa giudicare estremamente pericolose.

- Incoraggiano le forze militari a prendersela coi civili: con questo tipo di armi un esercito trova molto più semplice uccidere un numero elevato di civili, come azione di guerra, piuttosto che affrontare un esercito bene organizzato in campo aperto.

- Lo sforzo fatto per vietarne l’utilizzo è stato un buon esempio di cooperazione internazionale: negli anni Ottanta ci fu una grande mobilitazione per abolire l’uso delle cosiddette mine anti-uomo, e secondo il Washington Post l’obiettivo fu raggiunto perché – in parte – molti funzionari e diplomatici erano convinti che esisteva un precedente protocollo che aveva funzionato (quello di Ginevra, pur con le note eccezioni di regimi dittatoriali).

Le campagne simili
L’idea di mettere al bando un tipo di arma perché più letale e pericolosa delle altre, perché uccide con più facilità e maggiore crudeltà, non ha riguardato solo le armi chimiche. Negli anni molte grandi campagne di opinione, soprattutto pacifiste e antimilitariste, hanno chiesto – e in certi casi ottenuto – la messa al mando di vari tipi di armamenti proprio sulla base di questo principio.

Le mine antiuomo, un tipo di bomba che viene sotterrata ed esplode quando una persona ci cammina sopra, nel secondo dopoguerra furono largamente utilizzate in Mozambico, Afghanistan, Angola, Cecenia, Kurdistan e ex Iugoslavia, fra gli altri paesi. Sono considerate anch’esse armi “sleali” in quanto molto spesso finiscono per colpire civili e possono restare inesplose per anni (il 14 agosto di quest’anno sono morte sei persone in Cambogia, per via di una mina anti-uomo inesplosa). Nel 1997, dopo molti anni di manifestazioni e proteste in favore del divieto del loro uso, fu stipulato il “Trattato di Ottawa“, che ne proibisce la produzione, lo stoccaggio e l’utilizzo: 36 stati dell’ONU però non hanno firmato il trattato, fra cui gli Stati Uniti (non vuol dire che le usino). Al 2011, 87 paesi fra i 158 aderenti hanno completato la distruzione delle mine presenti nel proprio arsenale.

Le bombe a grappolo sono un altro particolare tipo di arma utilizzato nei bombardamenti aerei, nel quale una grossa bomba contiene molte “sottomunizioni” secondarie che spesso colpiscono civili oppure vengono parzialmente interrate. Sono state utilizzate in molti conflitti recenti, fra i quali quelli in Iraq, Afghanistan, ex Jugoslavia, Libano, Georgia, Libia. Il 30 maggio del 2008 venne firmata a Dublino la Convenzione contro le bombe a grappolo: anche in questo caso, la Convenzione ne vieta l’uso, la produzione e lo stoccaggio. Per il momento, 107 paesi hanno firmato la Convenzione e 76 l’hanno ratificata. Anche in questo caso grosse potenze militari come Stati Uniti, Russia, Israele e India non hanno firmato la Convenzione (come sopra, non vuol dire che le usino).