Mattia Feltri, La Stampa 20/9/2013, 20 settembre 2013
MARMI, ORI E NOSTALGIA IL CAVALIERE INAUGURA LA SUA FORZA ITALIA 2
Il maxischermo in piazza di San Lorenzo in Lucina, già che siamo in regime di revival, va e si oscura come ai tempi pionieristici di TeleMilano 58. La voce è un singhiozzo. I colori un’ipotesi. Ma la trasmissione è clemente al momento giusto: Silvio Berlusconi è nelle nuova sede della nuova Forza Italia e arringa i parlamentari, italiani ed europei, e i loro segretari e gli amici stretti, tutti in ghingheri, con le spillette d’epoca, le cravatte scure, i tacchi a trampolo, i tubini, i rossetti. «Quando siedo a fianco di qualcuno che maneggia il telefonino sono sempre stupito che riesca ad avere ogni informazione in un attimo. Dobbiamo aprirci anche noi a questo strumento», dice il capo. Va così. Lo si era capito subito, sotto il sole ad aspettare l’arrivo dell’inaugurante annunciata per le 17, anticipata alle 16.30, infine fissata alle 17.20, a testimoniare la recente risolutezza del partito. Lo si era capito perché per quaranta minuti consecutivi era stato diffuso l’inno (con karaoke) di Forza Italia, che ha ripreso il posto di Meno male che Silvio c’è , e che era accompagnato da immagini dimenticate di Berlusconi magro, Umberto Bossi animato, Rocco Buttiglione ragazzino.
Si è ingannato il tempo indovinando l’arrivo dei boss. Arrivava anche qualche curioso, qualche turista, qualche sincero innamorato. Giovanni Cardia, vecchio (quasi) sosia di Berlusconi (qualcuno lo ricorderà) è rispuntato come per incanto, a mostrare l’album di foto ventennali in cui abbraccia il caro leader. «Sono venuto perché sento una novità», diceva compreso. C’erano belle signore col foulard di Forza Italia. «Ogni volta che passo davanti a casa sua, in via del Plebiscito, vado dal carabiniere che sta davanti e gli dico: dia un bacino al presidente, dica che è da parte di Rossana». Rossana aveva appena finito di discutere con un ragazzo siciliano sulla persecuzione giudiziaria: «Dimmi, giovanotto, perché i reati a quelli della sinistra non glieli trovano mai?». Erano momenti onirici. Si viveva come in un flashback, la visione di Franco Carraro, e Paolo Guzzanti unico giornalista ammesso in sede per i suoi ruoli ulteriori, e forse non più persuaso del carattere delinquenziale dell’amicizia di Silvio con Putin. E però restava un sapore strano, perché noi tutti eravamo lì fuori, fra telecamere e sacchetti di Louis Vuitton, e loro dentro, asserragliati nel castello, a percorrere corridoi in parquet, con soffitti affrescati e cornici stuccate, negli angoli piante stabilizzate, cioè artificiali: tremila e duecento metri quadri di sfarzo prêt à porter.
Berlusconi camminava magicamente accerchiato - Denis Verdini, Daniela Santanchè, Angelino Alfano eccetera - col cameraman al seguito: stringeva mani, baciava guance, guardava orgoglioso le foto alle pareti dei suoi incontri coi grandi della terra. George Bush, Bill Clinton, Tony Blair. Accettava un collegamento con la Vita in diretta perché Annagrazia Calabria aveva portato i ragazzi del movimento giovanile (li riconosci dalle camicie slim con le cifre) dai quali si è fatto accerchiare. Una sede da non credere, davvero. Nella sala riunioni è stampato sul muro un brano del discorso della discesa in campo del 1994. La stanza del presidente, cento metri quadrati divisi in due ambienti da colonnette di marmo, è arredata da mobili laccati di nero con profili e decori in oro. Ha un divano beige sempre con inserti aurei lungo quattro metri («chissà che diranno sull’uso che ne farò», ha scherzato), e davanti alla scrivania la foto gigante, commissionata dalla Santanchè, di Silvio con mamma Rosa. Si è giracchiato per gli uffici, quello di Sandro Bondi col terrazzino che dà sulla piazza, quelli di Verdini e Santanchè (l’unica ad avere le colonnette di marmo come Berlusconi) dotati di localino per la segretaria, che è un lusso perché, per motivi di spazio, gli altri se la devono tenere in stanza.
Si stava brindando alla meraviglia del bunker quando è spuntato Giuseppe Castiglione, il senatore siciliano che aveva parlato di gente pronta a tradire per restare con Enrico Letta. Si è fatto silenzio, come nei thriller. Castiglione aveva addosso gli occhi dei tanti che ne vorrebbero l’esecuzione. Berlusconi lo ha guardato, ha sorriso, gli si è fatto incontro (a qualcuno ricordava Marlon Brando-Vito Corleone, a qualcun altro il comandante di Auschwitz dopo la scoperta, tramite Oskar Schindler, che il sommo potere divino non consiste nel punire, ma nel perdonare). Berlusconi gli ha dato un buffetto sulla guancia: «Stai tranquillo. Ma non lo fare più».