Enrico Franceschini, la Repubblica 20/9/2013, 20 settembre 2013
MARTIN AMIS
C’è un’Inghilterra che i turisti stranieri non vedono. Comincia appena fuori dal luccicante centro di Londra: è un paese di casette fatiscenti e orrendi caseggiati, popolato da uomini dal cranio rasato e dal viso pallido, in giaccone scuroe jeans da quattro soldi, con muscoli vistosi, stomaco dilatato, feroce pit-bull al guinzaglio, e da smunte ragazze-madri, famiglie con dieci figli a carico dello Stato, tre generazioni di perdenti, dai nonni ai nipoti, riuniti sotto lo stesso tetto. Gente che legge avidamente i tabloid scandalistici e sogna di diventare come le celebrità che ne riempiono le pagine: calciatori milionari, starlette in vertiginosi tacchi a spillo, personaggi dei reality show televisivi. In Lionel Asbo, il nuovo romanzo di Martin Amis (esce martedì prossimo per Einaudi, l’autore lo presenta in anteprima nazionale domani a Pordenonelegge), queste due realtà, i miserabili delle periferieei vip del gossip più trash, si incontrano, anzi si fondono in una cosa sola, quando il protagonista, un delinquentello ignorante e violento, vince alla lotteria 140 milioni di sterline, qualcosa come 170 milioni di euro, diventando lui stesso una celebrità da tabloid. Dopo essersi dedicato a storia ( Koba il terribile) e terrorismo ( Il secondo aereo ), dopo un amarcord sui favolosi anni Settanta ( La vedova incinta ), uno degli scrittori simbolo della sua generazione torna così a occuparsi del presente con una satira dolceamara della propria società che lo ha fatto paragonare dalla critica inglese a Swift, Dickens e al Burgess di Arancia meccanica. E con un messaggio politico: Asbo, soprannome del protagonista,è l’acronimo di " Anti-Social Behaviour Order ", la legge voluta da Tony Blair a fine anni ’90 per combattere i comportamenti anti-sociali, la piccola, sporca violenza quotidiana che, appena fuori dal centro di Londra, avvelena l’Inghilterra.
Signor Amis, da dove le è venuta l’ispirazione per questa storia?
«Ho cominciato a pensarci un paio d’anni fa e scriverla è stato più facile del previsto, come se la covassi dentro di me da molto più tempo. L’ispirazione in effetti l’ho avuta sotto gli occhi per più di un decennio, leggendo la cronaca nera e la cronaca rosa dei nostri giornali».
Il sottotitolo del libro è Stato dell’Inghilterra, come se fosse un rapporto sociologico. E la sua Inghilterra non ne esce per niente bene.
«Volevo scrivere una metafora dell’Inghilterra d’oggi, concentrato di frivolezze, volgarità, spaventose sperequazioni economiche, dominata dal culto della celebrità effimera, dalla rincorsa di un successo foderato di cattivo gusto. Da un lato una povertà endemica, un circolo vizioso da cui è quasi impossibile uscire, dall’altro una ricchezza pacchiana, esagerata, che finisce per diventare ridicola».
È un ritratto feroce del suo paese, ma con un appiglio di speranza: accanto a Lionel, il cattivo idiota, c’è suo nipote Des, un ragazzo povero, buono, intelligente.
«Il mio romanzo racconta gli orrori dell’Inghilterra odierna, ma non tutto in essa fa orrore, e attraverso Des ho cercato di esprimere l’affetto che sento per il mio paese, le possibilità che si annidano anche nelle situazioni più disperate».
Un giornale di Londra ha paragonato Des a Oliver Twist e lei a Dickens, è un confronto che le sta bene?
«Come Oliver Twist, Des riesce a redimersi: non vuole restare nella periferia misera e ignorante, ma la sua aspirazione non è nemmeno la celebrità trash da tabloid. E il grimaldello che gli permette di evadere verso un mondo migliore è la lettura, lo studio, insomma l’istruzione. Quando Blair andò al potere nel ’97, disse che il suo programma aveva solo tre parole: "Istruzione, istruzione, istruzione". Continuo a credere che sia la strada giusta per risollevare la nostra società, per renderla più sana e più giusta».
E Dickens?
«Dickens di solito riserva ai cattivi le sue parti migliori: sono i personaggi che gli riescono meglio. I suoi buoni sono immersi in un sentimentalismo che, con gli occhi di oggi, può suonare esagerato, stucchevole. Anche a me spesso vengono meglio i cattivi dei buoni, ma con Des ho fatto del mio meglio e ne sono soddisfatto, stando bene attento tuttavia a non cadere nel sentimentale. In ogni modo, è vero che questo libro è anche un omaggio a Dickens, dai nomi di certi personaggi ad altri particolari si evince la mia ammirazione per un nostro grande maestro».
Pensa che il suo romanzo possa fare per Londra quello che Tom Wolfe ha fatto per New York con Il falò delle vanità?
«Penso di sì, sono entrambi la storia di una grande città, dei suoi vizi, delle sue virtù. Solo che Wolfe basa i suoi romanzi su una meticolosa ricerca sul campo, su un realismo da cronista, mentre io non faccio alcuna ricerca, vado a orecchio, invento tutto».
In definitiva, è un libro sui "nuovi barbari" che minacciano la nostra civiltà?
«I barbari non sono più alla porta, ai confini, sono già entrati, sono tra noi. Beninteso, non sono un nostalgico del passato, non penso che si possa tornare alla vecchia, cara Inghilterra, che peraltro non era certo perfetta come qualcuno vorrebbe farci credere. La nostra civiltà non si difende rimpiangendo il buon tempo antico, bensì costruendo un futuro migliore, andando avanti, non indietro».
E cosa pensa della legge "Asbo"? È servita a fermare i comportamenti anti-sociali?
«La tesi di Blair era che la piccola criminalità, la piccola violenza, dagli schiamazzi in strada a chi urina sui muri, dalle risse all’ubriachezza molesta fuori dai pub, sfociassero in una criminalità e una violenza più grandi, più gravi. La legge che puniva tali comportamenti ha avuto un certo effetto nel ridurli. Ma quei comportamenti sono il risultato di vasti problemi sociali: non basta reprimerli, non basta una legge per cambiare un paese».
Lionel Asbo è dedicato al suo amico Christopher Hitchens, il grande giornalista, saggista, intellettuale scomparso precocemente due anni fa. Quanto le manca?
«Immensamente. Penso a lui ogni giorno. Mi consolo riflettendo che ha avuto una vita di un’intensità meravigliosa, più intensa della mia: era un’ispirazione e un modello da vivo, lo rimane anche ora che non c’è più. Ma sono molto triste, la sua morte ha scavato una fossa dentro di me».