Alessandro Longo, l’Espresso 20/9/2013, 20 settembre 2013
OGGI MI METTO UN TEST
Vestiti dotati di sensori. Che rivelano in ogni momento le nostre condizioni mediche. E inviano i dati al cellulare.
Andrew Krage, di professione sviluppatore di software, è un innovatore californiano un po’ visionario: fisico atletico, capelli lunghi raccolti in una coda di cavallo, un’idea bislacca appena realizzata: spegnere la luce con il pensiero. Ma non lasciamoci ingannare dalle apparenze: il gadget, presentato a settembre da Krage, guarda in realtà a un futuro più vicino di quanto crediamo. Un futuro in cui la tecnologia potrà misurare (e in parte realizzare) tutto quello che ci passa per la testa o più in generale per il corpo.
Krage infatti ha preso un paio di Google Glass (occhiali dotati di un software come quello degli smartphone, in commercio dall’anno prossimo) e ci ha collegato un piccolo elettroencefalografo, indossandolo sulla testa come se fossero delle cuffiette per ascoltare la musica.
Il prodotto finale si chiama MindLight e Krage sta per produrlo in serie con la sua azienda tecnologica Daqri. Scopo: misurare se e quanto l’utilizzatore è concentrato o rilassato. Con l’effetto collaterale di consentirci di "spegnere la luce o accendere elettrodomestici con il pensiero", a quanto si legge sul sito dell’azienda. Daqri lo mostra in un video: l’oggetto indossato infatti "capisce" che stiamo concentrando la nostra attenzione verso una lampada, quella che stiamo guardando in quel momento, e quindi le invia via onde radio il comando di spegnimento. Funziona ovviamente solo con lampade e altri oggetti che siano a loro volta "intelligenti", dotate di software e connesse a una rete.
Ma questo è appunto, almeno per ora, un effetto collaterale: MindLight vuole avere soprattutto una funzione di automisurazione psicologica. Krage dice che ci permetterà di capire se siamo davvero rilassati quando camminiamo in un bosco o se siamo abbastanza concentrati alla guida di un automobile. Sulla lente dei Google Glass, infatti, apparirà una faccina per indicare il nostro stato mentale di quel momento. E allora non potremo avere più dubbi: sì, siamo davvero rilassati, immersi nel verde. Oppure no, siamo preoccupati e inquieti anche se stiamo cercando di distrarci. E così via.
Di questo passo, magari a qualcuno prima o poi verrà in mente di sussurrare al partner: «Tu mi stressi, me lo dice pure Google Glass…». Sembra una battuta, ma farsi guidare da misurazioni tecnologiche per le scelte relazionali non è fantascienza: anzi ci si arriverà presto secondo gli aderenti al movimento del "Quantified self" ("il sé quantificato"). Sono persone che grazie alla tecnologia vogliono estendere i confini di ciò che in loro è "misurabile", riducendo sempre di più i confini tra biologico e tecnologico. Si riuniscono in gruppi di migliaia di persone, con incontri in 34 paesi. Tra di loro ci sono nomi come quello di Kevin Kelly, pioniere della Rete e tra i fondatori della rivista "Wired", ma anche lo scrittore americano Gary Wolf, creatore del mondo di Roger Rabbit.
Negli ultimi anni, in verità, sono arrivati al pubblico solo prodotti semplici, fatti per misurare cose piuttosto specifiche. Soprattutto gadget (come Fitbit o Nike+) da mettere al braccio o nella scarpa per calcolare le calorie consumate nella giornata, i chilometri percorsi o la qualità del proprio sonno.
Le ultime notizie ci dicono tuttavia che il fenomeno è vicino a un salto di qualità: verso prodotti che ci misurano in modo più globale e per scopi più seri. Così il "Quantified self" uscirà dal mondo degli amanti del fitness per estendersi a tutta la società. La stessa Daqri ha già un applicazione per iPad che, collegato a un elettroencefalografo, funziona come un test di attenzione per professionisti che devono svolgere lavori molto delicati. Se un chirurgo risulta un po’ deconcentrato forse è meglio che si riprenda prima di cominciare un intervento complicato: grazie a Daqri, sostiene Andrew Krage, questo sarà presto possibile e si salveranno molte vite umane.
Il futuro sembra quindi fatto di oggetti che ci misureranno in modo discreto e continuo, perché saranno tutt’uno con i nostri vestiti o con i gadget che indossiamo. Ci credono ad esempio quelli di Heapsylon, azienda con sede a Redmond (Stato di Washington, a due passi da Seattle: dove c’è anche Microsoft) ma fondata dagli italiani Davide Viganò, Mario Esposito e Maurizio Macagno. A marzo lanceranno una calza, Sensoria, a 149 dollari, che servirà per lo sport e per monitorare anziani e diabetici. Sensoria, come dice il nome, ha un sensore tessile con nanotecnologie che misura la pressione del piede sul terreno durante la camminata o la corsa. Rileva quindi per esempio se stiamo correndo bene o stiamo caricando troppo sulle articolazioni (magari perché siamo sovrappeso o perché sbagliamo i movimenti). Può comunicare queste informazioni su uno smartphone. Si accorge anche se chi la indossa è caduto (un anziano) e può quindi lanciare un allarme ai parenti. Ce ne sarà una versione per diabetici: li avviserà se la scarpa è troppo stretta o ha un oggetto dentro (spesso chi ha il diabete non se ne accorge avendo perso la sensibilità nervosa nel piede).
«Annunceremo presto una maglia e un reggiseno per lo sport che attraverso sensori esclusivamente tessili catturano il battito cardiaco e respirazione di chi li indossa», aggiunge Viganò, uno dei fondatori dell’azienda, un passato proprio alla Microsoft. Viganò vede un grande futuro per il Quantified self: «Nella nostra vita ormai misuriamo quasi tutto quello che riteniamo importante. Misuriamo l’andamento scolastico dei nostri figli a scuola con dati e pagelle. Misuriamo le aziende con dati e bilanci. Ma la nostra salute è ancora valutata spesso solo in modo qualitativo. Diciamo a un medico: ho un dolore qui, sto male. Gli esami sono come una foto scattata in quel momento specifico. Sarebbe invece utile poter condividere con un medico (o un personal trainer o un allenatore) dati che come un film vengono registrati mentre vengono generati dal nostro corpo». Per esempio, «quanto tempo ho passato seduto alla scrivania negli ultimi 20 giorni? Se sono anziano, sto camminando bene o sto sempre più strisciando i piedi? Sta aumentando il mio rischio di cadere?».
Prototipi di vestiti che ci misurano circolano da anni, ma adesso arrivano i primi prodotti commerciali. Come anche Mimo Kit, che sarà in vendita a gennaio: un vestito per neonati (200 dollari) con sensori per monitorare il sonno, la posizione del corpo, la temperatura della pelle. Lancia un allarme se qualcosa non va bene. È contro la sindrome della morte improvvisa, che colpisce circa un neonato ogni mille. Sono una novità anche i sensori ingoiabili come pillole: per esempio CorTemp (di HP Inc) e Proteus Digital Health. Il primo trasmette i dati della temperatura corporea a uno strumento apposito. Il secondo (che arriverà nel 2014) analizzerà il battito cardiaco, la qualità del sonno e quanto abbiamo camminato durante il giorno.
«Si va verso l’auto medicalizzazione di massa, con tutte le potenzialità e i rischi connessi: questi strumenti andrebbero infatti usati sotto rigido controllo di un medico, che ne conosce anche i limiti e sa interpretare i dati, metterli in connessione con lo stato generale del paziente. Il problema principale è che queste capsule sono transitorie e hanno come molte medicine effetto transeunte, quindi sono spesso effimere in termini di efficacia», dice Ettore Capoluongo, docente di Biochimica clinica e Biologia molecolare clinica all’Università Cattolica di Roma.
«Il Quantified self, con la sua promessa di poter monitorare il nostro corpo senza l’aiuto di nessuno, è riflesso di un sistema medico americano che sempre più abbandona a se stessi i cittadini», dice in modo ancora più polemico Matteo Bittanti, docente di Visual & Critical Studies presso il California College of the Arts di San Francisco e Oakland. E poi: «Il Quantified self si rivelerà un’intrusione tecnologica che limiterà la già ridottissima privacy dell’individuo»: insomma i vantaggi pratici immediati sarebbero inferiori, alla fine, agli svantaggi complessivi.
Uno spauracchio, quello della privacy violata? Non tanto: poche settimane fa la società di analisi Evidon ha scoperto che le principali app per il fitness, che monitorano dati come peso e frequenza cardiaca, hanno venduto i dati in loro possesso ad almeno 70 case farmaceutiche e assicurazioni sanitarie. Più dati circolano su di noi, più è probabile diventare trasparenti per aziende e governi.
Viviamo già in una società quantificata, dove si tende a dare un numero e un punteggio a cose prima aleatorie come le relazioni umane (il numero di amici su Facebook) e l’indice di popolarità (i follower su Twitter). Il nostro corpo potrebbe essere quindi la prossima frontiera della quantificazione. In fondo l’aveva già previsto il noto sociologo Zygmunt Bauman (quello della "società liquida"). Secondo Bauman, in una società fatta di variabili che sfuggono al nostro controllo, priva di costanti, siamo tentati di concentrare l’attenzione sul nostro corpo, punto fermo misurabile quando tutto il resto è sfuggente. Ma riducendo a una formula la complessità dell’esistenza perdiamo l’opportunità di comprenderla davvero. Di viverla anche nelle sue variabili non misurabili; nelle relazioni, nelle scelte politiche e sociali. È l’ultimo rischio connesso alla tecnologia del sé quantificato. Ed è anche quello che può avere le ricadute più profonde sul rapporto tra individui e società.