Roberto Petrini, la Repubblica 20/9/2013, 20 settembre 2013
IL PIL PEGGIORA, CERCASI 1,6 MILIARDI MA CON IMU, IVA E CIG NE SERVIREBBERO SEI
NON c’è molto tempo per risolvere il rebus dei conti pubblici. Dopo mesi di galleggiamento, segnati dalle pressioni del Pdl che ha posto ossessivamente la questione delle tasse e il Pd che non ha potuto far altro che preoccuparsi della cassa integrazione, degli esodati, della scuola e dei precari, ora i nodi vengono al pettine. Il Documento di economia e finanza che il consiglio dei ministri esaminerà oggi (il primo del governo Letta dopo quello lasciato in eredità il 10 aprile del 2013 da Monti-Grilli) certificherà che siamo al 3 per cento del deficit-Pil e forse un po’ più in là, uno 0,1 per cento pari a 1,6 miliardi: contro il 2,9 per cento stimato fino ad oggi. Certo è che molte delle coperture dei provvedimenti presi negli ultimi mesi ballano, che servono 4-5 miliardi per le misure promesse a fine agosto per Imu e Iva e che la correzione, sebbene fatta con «aggiustamenti» di bilancio, come assicura il Tesoro, e non con una vera e propria manovra, ci sarà. Senza contare che la recessione continua a «mordere» in Italia come non mai: secondo le anticipazioni le stime del Pil di quest’anno verranno riviste al ribasso all’1,7 per cento contro una contrazione stimata nell’aprile scorso dell’1,3 per cento.
La situazione, come osservano alcuni parlamentari del Pd, è tale che bisogna fare delle scelte. La prima partita è quella dell’Imu: l’intervento fatto a fine agosto, costato 2,3 miliardi, si è limitato ad eliminare la prima rata sulla prima casa, dunque il 50 per cento della tassa. Per il resto c’è solo un impegno politico: togliere entro il 16 dicembre la parte restante. Anche perché nel frattempo i Comuni hanno aumentato le aliquote e il conto potrà essere più salato: secondo un conteggio della Uil servizio politiche territoriali su 2.500 municipi che hanno modificato la tassa, un terzo ha messo in atto rincari. L’ancoraggio del gettito dell’Imu, sicuro, piaceva all’Europa che da sempre chiede di trasferire il peso dai redditi ai patrimoni e alle cose. E non c’è da meravigliarsi che Olli Rehn abbia alzato repentinamente i toni.
Del resto alcune aperture di credito da Bruxelles negli ultimi mesi sono già arrivate: è stato possibile pagare uno 0,5 per cento di Pil di crediti alle aziende da parte della pubblica amministrazione caricandolo sul deficit e portandolo all’attuale 2,9 per cento. Una operazione che ha avuto l’ok dell’Europa. Così come l’incidenza negativa della congiuntura sui conti è stata considerata senza troppi problemi: il nostro «output gap», cioè quanto perde il Pil per colpa della recessione, è molto ampio e consente di avere un consistente sconto sul pareggio di bilancio strutturale, cioè al netto della crisi economica.
Ma se l’Italia mostra leggerezza su coperture, spese e stabilità politica, Bruxelles alza la barriera e pretende un rispetto rigoroso del 3 per cento nominale, ovvero di una soglia che non tiene conto della congiuntura ma si limita alla ragionieristica del bilancio.
E’ molto probabile dunque che la partita debba essere tutta rigiocata. Non è facile infatti in tre mesi mettere in atto una spending review sostanziosa per trovare i 6 miliardi necessari (tra Imu, Iva, Cig, missioni e correzione del deficit), e le misure per 10,5 miliari proposte da Brunetta del Pdl sembrano a molti osservatori di carattere contabile e una tantum. Dunque la partita dovrà ripartire dal duello tra Imu e Iva: colpire i proprietari o colpire i consumatori? Per uscire dal dilemma si potrebbe trovare un compromesso sul quale si starebbe lavorando nelle ultime ore: chiedere ai proprietari delle case di maggior pregio di entrare nella schiera di chi deve pagare (risparmiando almeno un paio di miliardi). Dall’altra parte lasciar scattare l’aumento dell’Iva ma sterilizzandolo riducendo alcune le aliquote di alcuni prodotti di largo consumo (come il gas da riscaldamento oggi al 21 per cento) portandole al 10 come l’energia. Al tempo stesso si potrebbero rialzare altre aliquote oggi al 4 per cento, come le concessioni televisive o molti altri sconti attualmente non giustificati. Un’ultima manovra disperata per attraversare un passaggio assai stretto.