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 2013  settembre 20 Venerdì calendario

LE RAGIONI ECONOMICHE DI BERNANKE


Fed visionaria, nobile e determinata o Fed spericolata, incerta, afflitta dal breve termine dall’impostazione di una politica monetaria aggressiva? In queste settimane si dice e si ascolta di tutto: rischio mercati con l’arrivo di una svolta nel QE3 da parte della Fed; rischio stabilità dopo l’inondazione di liquidità che ha portato oltre 80 miliardi di dollari al mese in acquisti di titoli di Stato; si è arrivati persino a dire, soprattutto in Europa, che la politica monetaria della Fed non abbia giovato all’economia e abbia manipolato il corso dei mercati. Si è parlato di superbolla che all’ennesima esplosione lascerà tutti con un pugno di mosche in mano.
Isterismi da mercato, spesso cavalcati dai media che per giorni hanno annunciato l’imminente "tapering" di Bernanke per essere poi delusi dall’annuncio di mercoledì. Tutto rimandato, non si farà nulla. L’atteggiamento mediatico dei giorni scorsi non trovava riscontro negli annunci puntuali da parte di Ben Bernanke, il presidente della Federal Reserve e il grande esperto di recessioni, anzi di "depressione economica" su cui ha scritto la sua tesi di dottorato. Da mesi il messaggio di Bernanke è stato sempre lo stesso: ridurrò anzitempo la politica di acquisto quando sarò più tranquillo sul fronte occupazione e crescita. O quando vedrò segnali di rigurgito dell’inflazione.
I segnali di inflazione, pronosticati da molti, non si sono in realtà mai manifestati. E sul fronte del lavoro il dato del 6 settembre non era esattamente in linea con le attese del presidente della Fed. In un mese 169mila nuovi posti di lavoro sono molto buoni, ma non sono strabilianti. L’economia americana in altri tempi ha generato anche 400-500mila nuovi posti di lavoro in un mese. In questo periodo post-crisi l’America ha passato un periodo con la minore creazione di nuovi posti di lavoro almeno negli ultimi 50 anni.
Immaginiamo che cosa sarebbe successo se la Fed non avesse perseguito le sue politiche di tassi e di distribuzione di liquidità aggiuntiva ai mercati. Forse gli Usa si troverebbero come si trovano oggi l’Europa, o l’Italia, in mezzo a una recessione che ha messo in ginocchio l’economia, le aziende, i consumi, il settore immobiliare.
Settori che all’indomani della crisi erano in crisi profonda anche in America, ma che oggi non lo sono più: il settore immobiliare si è ripreso molto bene e continua a tirare, le nuove costruzioni avanzano e gli stock di immobili vengono venduti e acquistati anche su scala nazionale in modo soddisfacente. Il rifinanziamento dei mutui a tassi inferiori ha creato condizioni migliori per i conti delle famiglie, il settore dell’auto si è ripreso, le aziende dopo le ristrutturazioni hanno macinato buoni profitti e la borsa ha recuperato tutte le perdite e proprio quest’anno ha sfondato nuovi record. Bolle di sapone? O realtà molto concrete? La risposta univoca fra i policy maker e gli imprenditori americani è per la concretezza.
Negli anni successivi alla crisi, dopo una perdita colossale di quasi 8 milioni di posti di lavoro, ne sono stati recuperati 5. Grazie soprattutto a Bernanke e alla sua azione aggressiva, inusuale. Questo ha portato a un aumento delle entrate per il governo americano e, insieme a un’aggressiva manovra fiscale, ha già rimesso ordine nei conti dello Stato. Il taglio di mille miliardi di dollari deciso nel 2011 e i tagli automatici entrati in vigore quest’anno hanno portato un "freno" cumulativo sull’economia di quasi 3.000 miliardi di dollari. Su base congiunturale i tassi di crescita si aggirano mediamente fra l’anno scorso e l’anno in corso attorno al 2%, forse un po’ sotto. Questo vuole dire che senza il drag fiscale l’economia sarebbe cresciuta di almeno il 3%. Il vantaggio del freno fiscale?
L’America ha già rimesso a posto i conti: se negli anni bui immediatamente successivi alla Grande Recessione il rapporto disavanzo/Pil è salito fino al 10%, oggi l’America sta già viaggiando su un rapporto di circa il 4%. Chi in Europa continua ad attaccare la politica della Fed come eccessiva e irresponsabile, farebbe bene a concentrarsi sul quadro più ampio della macroeconomia, non solo su quello del mercato che, per definizione, soprattutto di questi tempi, è volatile, teso, nervoso. Sempre ai critici occorre dire che l’America ha fatto da traino per le economie più deboli, che ha dato il buon esempio al Giappone che finalmente ha seguito la strada della Banca centrale americana con un rimbalzo rilevante delle attività economiche e di mercato giapponesi.
Certo, all’orizzonte ci sono problemi aperti, anche a breve: cosa succederà se a Washington non ci si mette d’accordo sul bilancio entro il 30 settembre? Il governo rischierà la chiusura. Cosa succederà se a ottobre non ci si metterà d’accordo per l’aumento del tetto sul debito? Minuetti politici. Bracci di ferro a brevissimo determinati dall’inquinamento della politica nell’economia. Ma per fortuna la Fed è autonoma. Continua per la sua strada, come ha deciso ieri, avendo a cuore non partite politiche ma il benessere del Paese.