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 2013  settembre 19 Giovedì calendario

SE BERNANKE ESAGERA


Ci si aspettava una svolta e non c’è stata, ma la Banca centrale americana merita comunque una bocciatura. In questa delicata fase congiunturale la politica monetaria deve ottenere un duplice obiettivo: non strozzare la ripresa, ma al contempo riportare alla normalità i mercati finanziari. La Fed sta commettendo errori sia nell’indicare obiettivi – la disoccupazione – sia nel manovrare strumenti – gli acquisti dei titoli di Stato –. C’era una strada più lineare e trasparente: definire obiettivi sulla struttura dei tassi, a breve e a lunga. Ma la Fed ama l’opacità, perché occorre fare gli interessi miopi, che oggi coincidono, dei democratici e di Wall Street.
La decisione della Fed di puntare i riflettori sugli acquisti di titoli pubblici è errata, non solo per le distorsioni che ha già prodotto in termini di incertezza e volatilità, ma in quelle che può continuare a produrre. In una fase congiunturale estremamente complessa come quella attuale una buona politica monetaria statunitense dovrebbe perseguire un doppio obiettivo: da un lato evitare che la ripresa acerba degli Stati Uniti e dell’Europa venga strozzata sul nascere; dall’altro lato è necessario riportare a livelli normali la liquidità, prima che i rischi legati agli attuali eccessi si trasformino in danni concreti in termini di instabilità, che può essere monetaria e finanziaria, e quindi inevitabilmente di nuove incertezze in termini di ricaduta in recessione. Una buona politica monetaria americana potrebbe produrre ricadute positive anche sulle regioni esterne. Un ritorno credibile alla normalità sarebbe di certo una buona notizia sia per la convalescente Europa sia per i (un po’ affannati) Paesi emergenti. Purtroppo la politica della Fed è l’opposto di un disegno credibile: da qualche tempo la Fed ha sostituito la questione cruciale della comunicazione della politica – comunicare bene quello che si fa – con la politica della comunicazione – decido come comunicare il niente –.


Una banca centrale che vuol tornare alla normalità senza rischiare di gelare la ripresa deve ripristinare il modus operandi della politica monetaria prima del 2008: avere una regola di comportamento credibile sui tassi di interesse. La regola legava la dinamica dei tassi a breve sia agli shock sui prezzi sia a quelli sul prodotto interno; la scelta sui tassi a breve si propagava su quelli a medio e lungo termine. Durante la crisi tale regola è stata necessariamente abbandonata per evitare disastri finanziari, e poi economici. Il risultato è stato una crescita gigantesca della liquidità ed un appiattimento di tutta la struttura dei tassi, con quelli a breve, che si sono schiacciati sullo zero.
Dopo cinque anni, possiamo dire che l’effetto positivo è stato quello di evitare una crisi finanziaria ancor più dolorosa ed epocale di quella che abbiamo dovuto subire - nata, per inciso, proprio da un eccesso di liquidità strutturale durato almeno un decennio - ed è comunque oramai esaurito. L’effetto negativo è il continuo accumularsi di nuovi rischi di instabilità, monetari ma al momento soprattutto finanziari, visto che nulla è di fatto successo dal punto di vista della regolamentazione.
Per tornare alla normalità in modo intelligente occorre una nuova regola di governo dei tassi. Una regola di comportamento chiara e credibile: da un lato, i tassi di interesse a breve rimarranno stabilmente bassi qualunque cosa accada, mentre saranno i tassi a medio e lungo termine che fin da subito possono variare a seconda che i segnali che arrivano dai prezzi e dalla produzione sia incoraggianti o preoccupanti. Dunque i tassi tornano ad essere la bussola per orientare la banca centrale, sul mercato dei titoli americani a medio e lungo termine.
La Fed non ha fatto nulla di tutto questo. In primo luogo, ha clamorosamente sbagliato l’individuazione dell’obiettivo: quando una banca centrale sceglie come sua ancora la disoccupazione, che è una grandezza macroeconomica sideralmente lontana dalle sue capacità di controllo, sta dicendo al mondo ed ai mercati che ha perso il controllo degli aggregati. In secondo luogo, l’aver separato la gestione dei tassi a breve con una politica a singhiozzo sugli acquisti dei titoli di Stato, serve poco alla stabilizzazione, in assenza dell’impegno sulla struttura dei tassi di interesse. Infatti i mercati continuano a scommettere su questa politica alla cieca, arrabbiandosi quando la direzione è quella che non piace a chi ama sempre e comunque le iniezioni di liquidità.
La Fed continua a navigare a vista. Non è un caso: l’opacità è meglio della credibilità e della trasparenza, soprattutto per una banca centrale che dipende dalla politica ed è in prospettiva già in clima di campagna elettorale. Ulteriore prova è l’attuale e surreale dibattito sul profilo del successore a gennaio di Ben Bernanke, il presidente della Fed. La gara sembra essere quella di trovare la più colomba tra i colombi. L’iper-colomba piace a Wall Street e piace ai democratici. Quello che in realtà servirebbe è un falco intelligente, cioè che sia credibile nell’uscita sia dall’eccesso di liquidità che dall’eccesso di deregolamentazione.