Nicola Cecere, La Gazzetta dello Sport 20/9/2013, 20 settembre 2013
DICIOTTO ANNI AL MASSIMO
Dovessimo scegliere una colonna sonora come accompagnamento all’uscita di scena, dopo diciotto anni di regno, del diciottesimo presidente dell’Inter ci indirizzeremmo su una hit di Gino Paoli: «Questa lunga storia d’amore». Ha un testo romantico che sottolinea il profondo legame affettivo e una melodia che riporta agli anni Sessanta: il romanzo parte da lì. Nel 1962, papà Angelo inaugura la Saras, cioè la raffineria petrolifera sorta a Sarroch, sulla costa sarda, per sfruttare meglio i legami col mondo arabo e il successo creati nella raffineria di Augusta, costa sicula. Le fortune della Grande Inter nascono in contemporanea allo sviluppo degli affari con i Paesi produttori di petrolio. Papà Angelo investe tanto nel club, ha un cuore immenso, fa incetta di stelle e, dopo una lunga attesa, vince il campionato ‘62-‘63. Massimo quando l’Inter alza al cielo la prima coppa dei Campioni (3-1 sul Real Madrid al Prater di Vienna, 27 maggio 1964) ha appena compiuto 19 anni: l’età delle passioni più accese. Il ciclo è esaltante, la storia è lì a documentarlo. Ma il 18 maggio del 1968 Moratti senior decide di cedere la società rilevata nel maggio 1955. Massimo, ventitreenne, comincia a dedicarsi all’azienda di famiglia, insieme con il fratello maggiore Gian Marco. La sua passione dovrà attendere ventisette anni prima di riesplodere.
L’acquisto Il presidente Ernesto Pellegrini, in quella travagliata stagione 1994-95, si rende conto che il calcio sta cambiando in termini di investimenti e di costi. Lui è un imprenditore solido, ma per le ambizioni degli interisti ci vuole di più. Massimo Moratti da qualche mese si era messo a seguire la squadra sia in casa che in trasferta. Pellegrini l’aveva affidata a Ottavio Bianchi dopo il rocambolesco successo della Coppa Uefa ‘93-94 firmato da Giampiero Marini subentrato a Osvaldo Bagnoli. Con Bianchi l’andamento in campionato era alterno e su Pellegrini aumentava la pressione del popolo nerazzurro, frustrato dai successi dei cugini e della Juve. Così l’avvocato Peppino Prisco, che della Nord era l’ideale portabandiera, cominciò a lavorare al passaggio di consegne, operazione conclusa il 18 febbraio 1995 al costo, ha ricordato di recente Pellegrini, di 55 miliardi: c’erano altri pretendenti ma il ragionier Ernesto, acceso tifoso della Grande Inter, ritenne fosse suo preciso dovere restituire la creatura alla Famiglia...
Gli inizi La seconda era Moratti prende il via fra squilli di tromba e prospettive esaltanti. Il neopresidente non ha ancora compiuto i 50 anni, trasmette entusiasmo e voglia di fare. Tornano, con compiti dirigenziali o tecnici, i Moschettieri dei trionfi ottenuti dal formidabile squadrone guidato da Helenio Herrera: i «cari ragazzi», Corso, Facchetti, Mazzola, Suarez sono di nuovo in campo. E Palazzo Serbelloni, la residenza di famiglia deputata a ospitare sceicchi arabi e partner di affari, diventa il covo dove si esaminano filmati di giocatori per lo più stranieri e si tracciano le strategie. Massimo trasmette ai collaboratori la sua carica, chiama in società anche un vecchio e nobile amico, Gianmaria Visconti di Modrone, come supporto operativo arriva Paolo Taveggia, ex Milan ma con pedigree interista, e intanto pensa al primo gioiello da regalare alla folla: Eric Cantona, estroso (fin troppo) francese del Manchester United. Ah, la Premier… Moratti ne è un convinto estimatore, conosce bene il calcio inglese visto che Londra è una capitale del petrolio. Peccato però che il suo pupillo non sia abbordabile causa lunga squalifica. Così da oltre Manica arriva il grintoso centrocampista Paul Ince e dal Brasile il terzino d’attacco Roberto Carlos mentre Antonio Valentin Angelillo, cannoniere e gloria del passato, presenta alla Terrazza Martini i colpi argentini, Sebastian «Avioncito» Rambert (una meteora) e Javier Zanetti, che corre e lotta ancora oggi.
Luisito&Roy A sorpresa Moratti conferma Bianchi, l’allenatore scelto da Pellegrini, ma alla quarta giornata, in seguito alla sconfitta di Napoli ecco la pelatina di Luisito Suarez alla Pinetina: l’immenso regista della Grande Inter è chiamato a gestire la squadra mentre in società si cerca di risolvere un problema regolamentare. Giacinto Facchetti ha infatti convinto il presidente-amico, a puntare su un manager inglese, Roy Hodgson, che bene ha fatto con la nazionale svizzera. Trattative elaborate, che costano l’eliminazione al primo turno di coppa Uefa, una necessaria deroga da Coverciano e a fine novembre ecco finalmente mister Roy in panchina a San Siro, con la «tutela formale» di un allenatore italiano, Ardemagni.
Il campionato non va benissimo, i gol di Ganz (e Branca), le punizioni da lontano di Roberto Carlos non bastano a fare dell’Inter una formazione da scudetto. Milan tricolore con un vantaggio di 19 punti, Moratti medita cambiamenti e un mercato stellare. Arrivano Djorkaeff, Zamorano, Winter, Sforza, Angloma, l’investimento è cospicuo ma ancora insufficiente a colmare il gap con le rivali. Ci sarebbe la possibilità, comunque, di cogliere il primo trofeo nella finale Uefa a San Siro. Ma finisce male ai rigori e Zanetti (!) litiga platealmente con l’allenatore. Hodgson perde la sfida, le staffe e se ne va .
Ecco il Fenomeno Comincia l’era Ronaldo. Un Moratti scatenato punta tutto sul fenomeno brasiliano. Con 48 miliardi di lire il presidente si porta a casa il più micidiale attaccante in circolazione e lo mette accanto all’orgoglioso cileno Zamorano, che non gli cede la 9. Così Ronie prende il 10. Con Djorkaeff, il funambolico Recoba, uruguaiano di cui Moratti si innamora perdutamente (al punto da fare carte false per trovargli origini italiane) e il veloce e tattico Moriero, l’Inter ha un impressionante volume di fuoco mentre a centrocampo ci si affida sul dinamismo e le geometrie di Simeone, Cauet, Ze Elias. Si calcola che il presidente abbia investito oltre cento miliardi fra acquisti e ingaggi. In quell’epoca la sua voglia di vittoria non conosce limiti finanziari.
L’Inter è un crocevia di razze e scuole calcistiche, in panchina l’italianista Gigi Simoni studia come trovare spazio libero nella metà campo avversaria in modo da scatenare Ronaldo. L’Inter è finalmente competitiva ai massimi livelli, difatti contende lo scudetto alla Juve sino allo scontro diretto di Torino, dove l’arbitro «pensionando» Ceccarini non assegna un rigore a Ronaldo parso solare. Lo scudetto è perso e il presidente, ricordando precedenti attriti con la Signora, incendia il Palazzo del calcio con l’impeto e la violenza verbale di un capo ultrà. Il popolo apprezza il graffiante sfogo e poi va a Parigi a fare festa nella finale tutta italiana (la prima su partita secca) della coppa Uefa: 3-0 alla Lazio. Il 1998 con coppa e un secondo posto in campionato che moralmente per tanti vale il tricolore, diventa l’anno della rinascita. Moratti, portato in trionfo dai suoi giocatori, è un re a passeggio nel Parco dei Principi: raggiante. A quattro anni dall’insediamento, solleva il suo primo trofeo, che lui considera un semplice antipasto: in testa ha le coppe di papà, Campioni e Intercontinentale. Il secondo posto in campionato permette all’Inter di tornare in Champions dopo nove anni .
Simoni choc Confermato Simoni, non con assoluta convinzione, il numero uno nerazzurro aggiunge un’altra perla alla sua collana di campioni: Roberto Baggio. Ma il destino gioca un brutto tiro a Moratti azzoppandogli la sua stella numero uno: Ronaldo rientra dal mondiale francese con una tendinopatia rotulea che ne condizionerà il rendimento e lo porterà, in seguito, in sala operatoria. Ne viene fuori una stagione travagliata con Simoni traumaticamente esonerato a fine novembre dopo un brillante successo sul Real Madrid e uno striminzito, in extremis, sulla Salernitana. Moratti si affida a un maestro di calcio, il romeno Lucescu, convinto che porti punti e spettacolo e invece la squadra lo respinge. Castellini e infine il redivivo Hodgson non riescono ad evitare il tonfo: Inter ottava a 24 punti dal Milan. Tutto da rifare.
Novanta miliardi Moratti, a sorpresa, si mette nelle mani di… uno juventino: Marcello Lippi. Altro mercato ingente, incentrato su Bobo Vieri, mister 90 miliardi. Con il condimento di Peruzzi, Blanc, Seedorf, Jugovic, Georgatos, Domoraud. Ma non funziona nemmeno questa Inter. E’ Roberto Baggio, nello spareggio con il Parma, a regalare la chance Champions alla squadra giunta quarta in campionato. Il regalo d’addio di Robi che preferisce non prolungare la coesistenza con un allenatore mai amato. Avesse avuto la sfera di cristallo, Baggio si sarebbe comportato diversamente. Lippi all’alba della nuova stagione incassa tre sconfitte: fuori nel preliminare di Champions contro l’Helsingborg; 3-4 nella Supercoppa italiana contro la Lazio; 1-2 nel debutto in campionato a Reggio Calabria. «Fossi nel presidente Moratti caccerei a calci tutti noi». Moratti lo «dimissiona» immediatamente e chiama Marco Tardelli, che resterà travolto dai sei gol rossoneri nel derby. Il presidente incassa e gira pagina come una famosa pubblicità del Carosello televisivo: più lo mandi giù, più si tira su. Arriva Hector Cuper, l’hombre vertical.
Argentino come il mago Herrera, serio, lavoratore, è stato lanciato in orbita da due finali di Champions perse dal suo Valencia contro Bayern e Real. Sembra il tecnico giusto e difatti l’Inter prende subito a navigare in alto mare, nonostante Ronaldo sia fermo ai box dopo il secondo intervento chirurgico. Purtroppo alla gestione Cuper è legata la più grande delusione patita da Moratti in questa sua lunga avventura, lo scudetto perso all’Olimpico contro la Lazio (2-4) all’ultima giornata in quel disgraziato pomeriggio del 5 maggio 2002. Un epilogo allucinante di un torneo condotto al comando, un margine ampio sulla Juve e sulla Roma, le inseguitrici più accanite, ridottosi a un punto prima di un confronto il cui esito tutto il calcio italiano dava per scontato: a cominciare dai tifosi laziali, gemellati con gli interisti. La fotografia al 90’ di Moratti e Tronchetti Provera, fedelissimo sponsor dell’intera avventura, è quella di due tifosi increduli, attoniti, svuotati. Potessero andare in curva, piangerebbero l’uno sulla spalla dell’altro.
I sospetti Rivedendo certi episodi avversi di quell’avverso epilogo del torneo, ascoltando alcune voci su promesse arrivate negli spogliatoi dell’Olimpico, Moratti si convince che dietro la rimonta dei bianconeri ci sia stata una spinta arbitrale orchestrata da forze esterne. Quello che nel 1998 (Ronaldo-Iuliano) era solo un sospetto diventa una certezza: la Juve è aiutata. Il presidente della Roma, Sensi, lo conforta e gli propone un’alleanza politica in modo da riequilibrare la situazione di svantaggio nel Palazzo, Moratti è tentato ma poi si mantiene fedele alla partnership commerciale con Milan e Juve. Sensi si ritira deluso, Moratti non trova le prove degli oscuri traffici ai suoi danni, trova però ancora una volta la forza di ripartire. Nonostante una nuova delusione: Ronaldo, trattato come un figlio, seguito con affetto ed enorme disponibilità lungo il suo calvario, sceglie il Real Madrid. Il più prezioso della lunga collezione di gioielli nerazzurri non può essere più ammirato a San Siro. Morto un papa se ne fa un altro, il presidente non si ferma. Punta su Bobo Vieri, che segnerà quasi 150 reti senza che la squadra vada a dama.
E’ un periodo torbido. In società si affacciano personaggi che fanno rivelazioni inquietanti sul comportamento «privato» del bomber, investigatori si mettono a pedinarlo, si parla di una indagine assegnata dalla Pirelli di Tronchetti, il rapporto con Vieri fatalmente si deteriora (il giocatore si rivolgerà alla giustizia ordinaria ricavandone soddisfazione economica) mentre un arbitro, Nucini di Bergamo, confida a Facchetti di essere in grado di svelare le trame e i complotti ai danni dell’Inter, salvo dileguarsi al momento della denuncia. Moratti sente sempre più intensa la puzza di bruciato, a gennaio 2004 affida la presidenza al fidato Giacinto Facchetti per poter essere libero di indagare, ormai sono troppe le coincidenze sfavorevoli, troppe le voci di tresche ai suoi danni. Però continua tenacemente a inseguire l’obiettivo di partenza: scudetto e Champions. E pur di raggiungerlo entra persino in collisione con Facchetti.
Svolta scudetto Accade che la squadra, tolta a Cuper e affidata a Zaccheroni, vincendo a Empoli riesca all’ultima giornata a entrare in Champions. Che poi era la condizione garantita da Facchetti a Zaccheroni per il proseguimento del rapporto. Moratti però ha già bloccato Roberto Mancini: lo stimava da giocatore, pensa che possa funzionare da giovane tecnico. La crisi societaria viene evitata con spericolate manovre dialettiche di alto equilibrismo, Facchetti si convince che non è il caso di dimettersi, Zaccheroni viene congedato tra imbarazzi diffusi e una lauta liquidazione (del resto aveva un contratto biennale). Mancini comincia il suo lavoro e centra subito la coppa Italia. Con un terzo posto in campionato e l’eliminazione ai quarti dalla Champions ad opera del Milan che poi perderà il trofeo in finale col Liverpool. Nella seconda stagione c’è subito il successo in Supercoppa contro la Juve e arriva un’altra coppa Italia. In Champions va male (eliminazione nei quarti dal non irresistibile Villarreal) e il campionato si chiude con un altro terzo posto. Ma in estate, al termine del processo Calciopoli, la giustizia sportiva assegna a Moratti lo scudetto tolto alla Juve: il presidente lo considererà il più significativo della sua collezione privata proprio perché accerta il marcio da lui sospettato da tempo. E cioè che il calcio italiano ha «usato» per anni i suoi milioni spesi sul mercato per ricavare vantaggi economici salvo poi bidonarlo sul piano sportivo con una rete illecita di connivenze e alleanze. Chi lo definisce tuttora «lo scudetto di cartone» non ha mai voluto comprendere lo stato d’animo del presidente nerazzurro. Quel tricolore per lui è un indennizzo di inestimabile valore morale.
Retrocessa in B e perciò costretta a cedere il suo asso, Ibrahimovic, proprio ai rivali milanesi, la Juve collabora alle nuove fortune interiste. Col cannoniere strappato ai bianconeri (22 milioni) e Roberto Mancini alla guida si può partire verso la gloria. Arrivano due scudetti sul campo e arriva pure… José Mourinho, l’uomo del destino. Moratti lo blocca quando Mancini, eliminato a febbraio dal Liverpool in Champions, nella conferenza stampa di fine partita manifesta l’intenzione di chiudere il suo ciclo nerazzurro nonostante un contratto appena rinnovato fino al 2011. L’allenatore poi ci ripensa e guida la squadra alla conquista del titolo, ottenuto all’ultima giornata (Parma) grazie a una doppietta di Ibra. Ma Moratti si è ormai impegnato con Mourinho, che vede come lo specialista della Champions, il trofeo di cui il petroliere non può fare a meno. E allora a fine 2008 licenzia Mancini (otto milioni di liquidazione, più la panchina del Manchester City: a Roby non va malissimo) e applaude all’insediamento del profeta di Setubal.
La scelta si rivela felicissima. Con Mourinho e la cessione di Ibra al Barcellona in cambio di 50 milioni e il duttile Eto’o, l’Inter compie l’impresa nel modo più esaltante. Eliminando cioè proprio il Barcellona al Camp Nou (in dieci uomini, per di più) e poi dominando il Bayern Monaco nella finale di Madrid. In quel giro trionfale del Bernabeu, con la Coppa dei Campioni stretta fra le mani e l’abbraccio di Mou (che gli sussurra di aver scelto il Real), Massimo avrà senz’altro dedicato un pensiero a papà Angelo, di cui si era ripromesso di rinverdire le conquiste. Italia-Europa-Mondo (portatogli in dote da Rafa Benitez). Ora che il solenne impegno è stato mantenuto, ora che il club è stato affidato a un magnate in grado di tenerlo ai più alti livelli, il petroliere può godersi figli e nipotini con la coscienza sgombra da impegni. Occhio, però: se questo Thohir non dovesse andar bene, in Famiglia ci sono altri super tifosi così giovani… Certo, la Saras non raffina più ai ritmi di un tempo, ha pagato la crisi mondiale ed è ciò che ha indotto Massimo a cedere. Ma intanto le attività del gruppo sono state diversificate, esistono altre strade per ridare vigore economico alla società. Non si può escludere che spunti una terza generazione Moratti nel dopo Tohir...