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 2013  settembre 13 Venerdì calendario

Delinquente. Pregiudica­to. Ancora delinquen­te. Travaglio & co fanno rullare per h24 i tamburi della loro soddisfazione manettara e infarciscono il Fatto quotidia­no come e più di un panino da­gli ingredienti forti

Delinquente. Pregiudica­to. Ancora delinquen­te. Travaglio & co fanno rullare per h24 i tamburi della loro soddisfazione manettara e infarciscono il Fatto quotidia­no come e più di un panino da­gli ingredienti forti. Da quando Antonio Esposito ha letto la sen­tenza che coronava i sogni inse­guiti per un ventennio, il trava­glismo è tutto un rotolare sten­toreo di sostantivi questurini. E, diciamo la verità, c’è tutto un giornalismo ebbro che sta affo­gando nel linguaggio cupo e bu­rocratico dei mattinali. L’altra sera,nel corso del pro­gramma di Gianluigi Parago­ne, la Gabbia , in onda su La7 , Daniela Santanchè gioca mali­ziosamente con i punti escla­mativi, le manette virtuali e il lampeggiante perennemente acceso di Travaglio e l’attacca usando la stessa moneta. La Pi­tonessa, più Pitonessa che mai, esibisce davanti alle telecame­re un pacco di fogli, si presume una sentenza, poi attacca: «Tra­va­glio chiama sempre il mio lea­der Berlusconi delinquente. Be­ne, Travaglio è condannato in terzo grado di giudizio e quindi per me è un delinquente e diffa­matore ». Poteva pure finire lì.Ma l’ido­lo d­el giustizialismo italiano evi­dentemente va a nozze con un mondo che sta tutto nei verbali, negli interrogatori, nei lunghi corridoi mal spolverati di caser­me e palazzi di giustizia. Così ri­sponde alla provocazione, inve­ce di riflettere e fermarsi un istante prima: «Se la Santanchè vuol sapere qualcosa su giorna­listi delinquenti si rivolga in fa­miglia ». Allusione chiara al di­rettore del Giornale Alessan­dro Sallusti, punito, pure lui, in via definitiva con 14 mesi. Nello studio volano gli insul­ti, anzi in studio ci sono solo le stoccate e i colpi proibiti per­ché i due contendenti sono fisi­camente lontani e collegati via video. «Godo da bestia a chia­marlo delinquente », insiste lei. Travaglio diventa puntiglioso e prova a spiegare la differenza fra i reati fiscali, quelli di cui è ac­cusato il Cavaliere, e la diffama­zione, una sorta di malattia pro­fessionale del giornalismo: «Quella condanna mi è costata mille euro di multa. Mille euro in trent’anni di professione. Mi reputo fortunato». Come no, ma è vero che a vo­ler essere coerenti fino in fondo l’Italia è una gabbia, altro che quella di Paragone, strapiena di pregiudicati, delinquenti e recidivi. Basta poco per essere marchiati. Come è capitato a molte firme nobili del giornali­smo e molti personaggi da pri­ma pagina, per i motivi più di­sparati. Certo, ha ragione Trava­glio nel sostenere che non tutti i reati sono uguali:l’omicidio vo­lontario non è paragonabile al­l’omicidio colposo che è costa­to un verdetto di colpevolezza ad un altro protagonista della politica italiana, Beppe Grillo. Ma il problema è un altro.L’im­barbarimento del vocabolario e del resto quella sintassi, ingol­fata di termini giudiziari e para­polizieschi, esprime l’ideolo­gia di chi a sinistra ha coltivato l’eliminazione di Berlusconi per via processuale. Ora che i ri­sultati sono arrivati ci si accor­ge anche di come si è degradato l’orizzonte di tante gazzette e gazzettieri: per anni si è parlato solo e soltanto di avvisi di garan­zia, inviti a comparire, leggi ad personam , leggi bavaglio e sal­vacondotti. Ora siamo alle sen­tenze irrevocabili, ai pregiudi­cati, ai delinquenti. E alla deca­denza del Cavaliere. No c’è nes­sun tentativo di pesare il valore di una storia politica che ha se­gnato questo Paese e ha calami­tato milioni di voti. Niente. Solo deposizioni. Solo pentiti e stal­lieri. Solo prestanome. E la com­plessità del mondo schiacciata nel buco della serratura di una cella. Nient’altro. Poi ricomincia lo scambio di complimenti e spagnolismi per la gioia di Paragone: «Godo da bestia a chiamarlo delinquen­te. E poi come tratta le donne ­rilancia la Santanchè- ho dei dubbi che gli piacciano». «Le as­sicuro che non avrà mai modo di provarlo con me», contrac­cambia lui gentilmente. Prima di chiudere in bellezza: «Qui ci vuole il Tso. Mettetele la cami­cia di forza».