Francesca Pierantozzi, Il Messaggero 20/9/2013, 20 settembre 2013
L’UOMO SENZA PASSATO
Una mattina di giugno ti ritrovi su una panchina, a Parigi, e tutto quello che sai è come tenere in mano una penna. E chi era Napoleone Bonaparte. Il resto è niente, vuoto, una busta di plastica con qualche spiccio, e un poliziotto dritto davanti a te: «Controllo d’identità». Così è ricominciata, a trent’anni, la vita di Jacques-Michel Huret. Oggi di anni ne ha 56, ha ritrovato il suo nome e la sua faccia, sua moglie e i due figli, i genitori, la sua città, Nancy, e il suo lavoro, è architetto, ma non ha i suoi primi trent’anni. Nessun ricordo della scuola, degli amici, delle vacanze al mare con mamma e papà, del primo amore, dell’esame di maturità, del matrimonio. Di questa vita spezzata dal buio di un’amnesia totale, Jacques-Michel ha scritto un libro di non memorie, un’anti-biografia, J’ai oublié 30 ans de ma vie, (Ho dimenticato 30 anni della mia vita) uscito ieri in Francia per le edizioni Michel-Lafon.
PRIMO SOUVENIR
Capelli ricci quasi tutti bianchi, bel viso scolpito, parla e gli tremano le mani, quando ricorda, e quando non. «Il primo souvenir è il risveglio sulla panchina davanti all’Opéra», dice. Non sa che tre giorni prima, la moglie, la bruna e sorridente Martine, gli ha chiesto di andare a parcheggiare la macchina in garage prima dell’inizio del film in tv. Lui scende in ciabatte, e non tornerà più, non lo stesso almeno. Nessuno sa cosa sia successo in quelle 72 ore, prima di essere ritrovato su una panchina a 300 chilometri da casa. Ha il segno di un colpo in testa, probabilmente è stato aggredito, forse il colpo ha provocato l’amnesia. E’ totale, un fatto rarissimo. «Chi sei, che t’è successo?» gli continuano a chiedere, prima al commissariato, poi all’ospedale psichiatrico di Saint Anne, dove sulla cartella scrivono Monsieur X. Poi un giorno, sono passati sei mesi, un giovane medico tenta l’impossibile: prenarcosi. Sotto effetto di un potente narcotico, risponde ad alcune domande, e un nome, per la prima volta, viene fuori: CharlElie. CharlElie Couture è un artista famoso, cantante, compositore, pittore. L’équipe medica lo contatta, CharlElie accetta di venire al Saint Anne, entra nella stanza di Monsieur X e: «ma che diavolo ci fai tu qui?». Squarcio. Jacques-Michel si lascia abbracciare, non sa chi sia. Lui glielo dice: «Abbiamo fatto insieme le Belle Arti a Nancy. Non eravamo delle stesso anno, ma ne abbiamo fatte di tutti i colori. Ti riporto a casa».
RIAMARE
E Monsieur X torna dove non è mai stato: a casa sua, nel suo appartamento a Nancy. Deve reimparare a vivere la sua vita, a riconoscere e riamare sua moglie («quando l’ho rivista per la prima volta ho pensato: è bella, il mio ex io aveva bei gusti, per fortuna, mentre lei, di fronte a me, aveva il cuore spezzato»), i suoi figli («ci siamo abbracciati, Sandrine aveva sei anni, il piccolo uno, ma il più bambino ero io»), i suoi genitori («è stato più difficile, vedevo solo due anziani signori»).
Per un paio d’anni, con l’accordo e l’incoraggiamento della moglie, ha lavorato in Svizzera, lontano da quella domanda: «ti ricordi?». Lontano anche da chi, stufo, gli chiedeva di «dimenticare di aver dimenticato»: «vi rendete conto, il colmo!». Ha guardato e riguardato mille fotografie: «continuano a non dirgli niente». Ha avuto un altro figlio. Il libro è la fine di una nostalgia: «Ho perso troppo tempo a cercarmi». Oggi la paura di perdersi di nuovo un po’ c’è ancora: esce sempre con pochi soldi in tasca e mai col pieno in macchina, un diamante nero all’orecchio, «simbolo del buco nero che conservo in me», un accendino con incisi i suoi due nomi, J-M H - Monsieur X, regalo di sua figlia. Se vede un uomo perso, su una panchina o sul marciapiede, non passa mai dritto e con Martine («la amo più di tutto» Cosa gli manca di più? «L’amore che mi è stato dato» risponde senza esitare, giusto abbassando un po’ la voce. Ma una cosa vuole dire e ridire, anche col suo libro: «Non è perché ci manca un pezzo, un pezzo di storia o di corpo, che siamo meno belli: guardate la Venere di Milo!».