Oscar Giannino, il Messaggero 20/9/2013, 20 settembre 2013
DUE BUONE RAGIONE PER RIVEDERE L’ALIQUOTA
Scatterà l’aumento dell’Iva dal primo ottobre? E la legge di stabilità diventerà magari insieme all’Iva il pretesto per la crisi politica, mascherando la vicenda Berlusconi di polemiche di bandiera, magari sostanzialmente indifferenti a conti e contenuti? È questa la domanda centrale, sul terreno non solo della politica economica ma della tenuta del governo, dopo il tanto atteso video di Silvio Berlusconi.
I segni della colluttazione politica sull’Iva sono evidenti. Il viceministro dell’Economia Fassina ha senza mezze parole detto che l’Iva a questo punto salirà al 22% dal primo ottobre, perché altrimenti l’unica alternativa è rimettere mano all’abrogazione dell’Imu totale sulla prima casa. Inevitabli le reazioni all’arma bianca della prima fila del Pdl. Ieri, al Consiglio dei ministri, di Iva non si è parlato. Ma cerchiamo allora di capire in concreto che cosa significherebbe l’aumento dell’Iva e quali siano i fattori oggettivi che spingono in questa direzione.
Innanzitutto, a 48 ore dalle parole del commissario europeo Olli Rehn al Parlamento italiano, parole che tante polemiche hanno suscitato, non si sbaglia nell’azzardare l’ipotesi che il richiamo europeo non sia risultato affatto sgradito al governo. Non vogliamo dire sia stato concordato, perché ne manca ogni evidenza, ma sgradito no di sicuro. Rehn ha fatto benissimo a ricordare a tutti la decisione assunta da quest’anno in sede europea con piena condivisione dei governi italiani.E cioè che le leggi di stabilità di ciascun Paese sono sottoposte, prima della loro approvazione, all’esame comune degli organi europei. E ha aggiunto che, dopo il passo falso dell’abrogazione totale dell’Imu sulla prima casa, in contrasto con lo spostamento indicato dal governo a Bruxelles della tassazione dalle persone alle cose, e con coperture finanziarie ancora ballerine, a maggior ragione occorre evitare altri passi falsi.
Che il richiamo sia stato gradito al Tesoro ne è venuta conferma con l’immediata indiscrezione da via XX Settembre per la quale siamo ancora oltre il tetto del 3% di deficit sul Pil, non sotto. E di conseguenza la coperta è più corta che mai. È per questo che l’aumento dell’Iva diventa molto più concreto di quanto la politica avesse sin qui detto. L’aumento dell’aliquota ordinaria Iva dal 21% al 22% vale sui conti pubblici un miliardo di euro di gettito nel 2013, e 4 miliardi nel 2014. Sono numeri che fanno testo a Bruxelles, anche se un po’ virtuali. Virtuali perché nel primo semestre 2013 il gettito Iva rispetto allo stesso periodo del 2012 era in Italia quello più in calo d’Europa: -5,7% rispetto al +5,7% della Spagna - che ha alzato le aliquote – e al +0,8% della Germania. Da noi il calo della domanda e dei consumi interni è così forte (-4,3% nel 2012, ed è atteso un -2,4% in questo 2013) che l’Iva ne soffre. Ma dal Tesoro fanno intanto sapere che il gettito sta andando meglio, a luglio e agosto, e dunque la diminuzione sul 2012 risulta assai più contenuta.
È anche vero poi che l’Italia evade tantissimo l’Iva. In maniera geograficamente difforme, si passa dal meno del 10% dell’imposta a oltre il 40% in estese aree depresse del Sud, secondo l’Agenzia delle Entrate. Proprio l’altro ieri è uscita l’anticipazione di un report europeo che stima nel 2012 il gettito Iva evaso in Italia intorno ai 36 miliardi, rispetto ai comunque non trascurabili 32 della Francia e ai 27 della Germania. E in caso di innalzamento dell’aliquota l’Agenzia delle Entrate dovrà fare ancora più fatica a incidere sull’evasione.
Ma fatte queste due osservazioni, alla prima ragione a favore dell’aumento dell’Iva – tutelare i saldi di bilancio, visto che tagli di spesa aggressivi sin qui non se ne sono visti - se ne aggiunge un’altra altrettanto pesante: la crescita. Certo, l’Iva ha effetti regressivi rispetto ai redditi del consumatore finale. Ma è la stessa Confcommercio a sostenere che l’effetto depressivo sui consumi dell’aumento di un punto dell’aliquota ordinaria Iva si fermerebbe a un meno 0,1%.
Ma se parliamo di crescita, cioè di che cosa in termini comparati abbia più influenza nell’uscire dalla recessione e avvicinare la crescita reale a quella potenziale, allora la prospettiva cambia. Ciò che serve di più a questo scopo è l’abbattimento delle eccessive imposte e contributi sul lavoro e sulle imprese. E tale intervento, per avere effetti a breve tangibili, deve avere la maggior quantità di risorse possibili concentrate: gli 8 miliardi concessi da Prodi, tra meno Irap e meno Irpef ai redditi più bassi, sortirono conseguenze trascurabili. E poiché la coperta – come ricordano insieme Bruxelles e il Tesoro - è molto corta, allora il cerchio si chiude. Nell’amara alternativa tra un ulteriore scatto dell’Iva e avere ancor meno risorse da destinare ad abbattere il cuneo fiscale, l’aumento dell’imposizione indiretta risulta come il minore dei mali. Vale anche nell’ipotesi che il ministero dell’Economia pensi di evitare l’aumento del 22% ribilanciando le entrate con il ritocco delle aliquote Iva inferiori, perché l’effetto complessivo non cambia.
È amaro dirlo, per chi come noi immagina una spesa pubblica e un fisco di peso entrambi assai più lieve. Ma in un Paese in ginocchio occorrono scelte realistiche. Elezioni al buio con questa legge elettorale sono una follia evidente. Ma è altrettanto irragionevole non saper mai scegliere da quale posta fiscale partire, per riorientare la crescita, facendolo dipendere solo dal calendario. A conti e convenienze stimate, non solo l’aumento dell’Iva è il minore dei mali. Ma tanto vale farlo partire al più presto, concentrando la legge di stabilità sulle priorità più urgenti per rilanciare impresa e lavoro.