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 2013  settembre 20 Venerdì calendario

LA CHIESA CHE DISSE NO AL DUCE

La ’morte della patria’ era già avvenuta ben prima dell’8 set­tembre ’43. Così come la ’guerra civile’ uscita dalla crisi po­litica e istituzionale dell’estate di settant’anni fa - dal ’golpe’ del re il 25 luglio all’armistizio - aveva certo dietro di sé scelte nefaste: l’autar­chia economica e culturale, l’avvi­cinamento alla Germania persino nelle leggi razziali, e quella guerra che la stragrande maggioranza de­gli italiani non voleva. «Un popolo perisce solo quando è abbandona­to », aveva detto - già alla fine degli anni ’20 - Benito Mussolini. Una tra­gica profezia avveratasi con le sue conseguenze e che l’ultimo, estre­mo tentativo, fatto dal fascismo, non riuscì a evitare. Probabilmente per­ché costituiva l’ennesima masche­ra di interessi ben diversi dall’an­nunciato recupero delle idealità del­le origini. Ebbene, quel tentativo durò sei­cento giorni. Quelli di Salò e di un duce quasi ’prigioniero’ dei suoi spietati Alleati teutonici. Quelli di uno stato-cuscinetto tra i tedeschi e il Paese, ma anche di uno stato in liquidazione controllata. Quelli del­la Repubblica Sociale Italiana, che sin dall’annuncio della sua costitu­zione il 23 settembre ’43, rividero spadroneggiare i ras fascisti spariti dopo l’arresto del duce e costringe­re i militanti antifascisti alla clan­destinità. I seicento giorni in cui il fascismo fece di tutto per sopravvi­vere approvando un migliaio di provvedimenti legislativi. Ripren­dendo perfino le istanze rivoluzio­narie dei primi anni: mettendo in discussione la stessa proprietà pri­vata, i rapporti fra lavoratori e im­prese (velleitari progetti di un regi­me al tramonto, non solo non con­divisi, ma irrealizzabili con le in­dustrie sotto il controllo tedesco). E non rinunciando a volersi ga­rantire nelle linee della sua nuova ’carta costituzionale’ un buon rapporto con la Chiesa sul model­lo dei Patti Lateranensi: ribadendo principi quali «la religione cattoli­ca apostolica romana è la sola re­ligione della Rsi». In realtà, dopo l’8 settembre, la vi­cenda bellica, non aveva fatto che accentuare la progressiva ’disaffe­zione’ dell’Italia cattolica dal fasci­smo, anche in quelle frange che a lungo avevano coltivato la possibi­lità di una possibile conversione del regime poi deluse dai provvedi­menti razzisti e dall’ingresso nel conflitto). Inoltre, com’è noto, si trattava di un Italia lacerata: con il Sud presto liberato dagli Angloa­mericani; la particolare situazione del Centro e a Roma; il Nord occu­pato: dove i vescovi non potevano ignorare le nuove stanze del potere affacciate sul Garda guidando re­sponsabilmente le loro comunità, stretti tra fascisti e partigiani, re­pubblichini e ricercati. Ai vertici del­la Repubblica Sociale c’era chi si muoveva con circospezione, illu­dendosi ancora di recuperare il cat­tolicesimo in chiave nazionalista e antialleata, ma pure chi faceva spia­re i parroci o li condizionava (negli archivi non mancano lunghe rela­zioni mensili ’ad hoc’). Senza di­menticare violenti anticlericali co­me il ras di Cremona. Proprio quel Farinacci che nelle lettere a Mus­solini difendeva don Tullio Calca­gno, direttore del settimanale più diffuso nella Rsi, Crociata Italica , nonché prete sospeso a divinis (poi scomunicato e ucciso dai partigia­ni), definendo invece monsignor Cazzani «questo porco vescovo di Cremona».
Un governo, quello di Salò, mai ri­conosciuto dal Vaticano (il segreta­rio di Stato Maglione, il 27 settem­bre ’43 ribadì la Convenzione di Gi­nevra per la quale un Paese neutra­le non riconosceva alcuno Stato in tempo di guerra). Un governo al quale mai il Vaticano chiese un pla­cet (assegnando ad esempio le sedi episcopali vacanti di Novara e Vit­torio Veneto ad amministratori a­postolici e non a vescovi per evita­re di chiederlo). Un governo guar­dato con distacco (lo testimoniano fatti come il rifiuto di Pio XII di ri­cevere il generale Graziani; il soste­gno a molti vescovi in duro contra­sto con il regime, da Cremona, a Mi­lano, a Venezia…; e perfino l’invito al rettore dell’Università Cattolica padre Gemelli a rilasciare lauree e­vitando riferimenti ai poteri confe­riti dallo Stato). «Il Vaticano si com­porta verso di noi da nemico», si po­teva leggere sulla stampa di regime. La Storia, nel frattempo, ci ha reso un complesso mosaico dove, quan­to al rapporto fra Chiesa e Rsi (che qualcuno ha definito ’a metà’), e­mergono -nitidi - tanti volti di un clero consapevole di essere punto di riferimento morale e sociale nel vuoto apertosi col crollo della isti­tuzioni, e quelli di un laicato catto­lico pronto a scegliere la via della re­sistenza al nazifascismo. Dunque non solo quello dei due vescovi di Grosseto e Perugia o dei cappellani militari aderenti a Salò (poche de­cine quelli di prima nomina, oltre quattrocento quelli provenienti dal Regio Esercito), ma anche dei tanti preti pronti a seguire - offrendo lo­ro assistenza spirituale - i partigia­ni cattolici. Quelli che vissero talo­ra con difficoltà contraddizioni fra i principi cristiani e scelte di ribel­lione per amore. Scelte che li portarono - scrisse E­zio Franceschini allora docente u­niversitario e comandante parti­giano - «a combattere - non più i­nermi - l’illegalità e l’ingiustizia; a battersi senza odiare; ad amare, pur uccidendolo per ristabilire la legge e la giustizia, l’avversario in­giusto ». Quell’avversario che col­laborava vilmente con i nazisti a rastrellare, deportare, impiccare, fucilare, realizzare stragi. E che, purtroppo, poteva essere anche un ragazzo finito tra fasci e svastiche per motivi diversi: dal plagio alla solitudine, dalla fuga dalla miseria ad un malsano senso dell’onore nella ’patria morta’.
Tornano le parole di don Mazzola­ri, già bersaglio di squadristi, in con­tatto con la resistenza e costretto a lungo alla clandestinità . Nel 1955 uscì, anonimo, Tu non uccidere, do­ve c’è scritto: «Cadono, quindi, le di­stinzioni tra guerre giuste e ingiuste, difensive e preventive, reazionarie e rivoluzionarie. Ogni guerra è fratri­cidio, oltraggio a Dio e all’uomo. Per questo noi testimonieremo, finchè avremo voce, per la pace cristiana. E quando non avremo più voce, te­stimonierà il nostro silenzio o la no­stra morte, poiché noi cristiani cre­diamo in una rivoluzione che pre­ferisce il morire al far morire».