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 2013  settembre 19 Giovedì calendario

IL VERO FEDERALISMO NON E’ ANCORA NATO

Al seminario Ambrosetti, un sondaggio fra i partecipanti ha registrato la delusione nei confronti del federalismo: per il 40 per cento nessun tema dev’essere delegato alla competenza delle Regioni, e per il 36 tale competenza dovrebbe limitarsi al turismo. Purtroppo, non mi ha stupito. Da un paio d’anni, ormai, la confusa articolazione delle responsabilità pubbliche fra governo centrale e governo locale ha alimentato una reazione di segno contrario sempre più evidente. Io la chiamo «autonomia sfiduciata». Dopo vent’anni di molte parole e controversi tentativi d’attuare pezzi di federalismo, oggi la reazione prevalente è di considerarlo un’inutile bardatura. Questa profonda sfiducia verso le autonomie può condizionare la discussione pubblica, e financo la riforma della Costituzione ora che il lavoro della commissione di «saggi» riunita dal governo sta per terminare. Il ministro Quagliariello ha già fatto sapere che vi è consenso, fra di loro, circa la necessità d’«aumentare le competenze esclusive dello Stato», nell’ambito della revisione del titolo Quinto della Costituzione.
Non mi sembra la direzione giusta. Innanzitutto, ci fa perdere di vista un fatto essenziale. La competizione globale nel mondo è sempre più fra grandi aree che godono d’ampia autonomia. Aree metropolitane che s’allargano a una grande area regionale, in un mix di manifatturiero e terziario, università e centri di ricerca, cultura e innovazione. Aree metropolitane che si proiettano nel mondo. Fra il successo delle grandi aree regionali e il successo dei Paesi nel loro insieme, non vi è contrasto. Ma sono le prime a essere la molla della crescita e dell’innovazione, in Germania come negli Usa, in Francia come da noi. Significa ignorare tutto questo, tornare a un rigido centralismo. Occorre seguire una strada radicalmente diversa. Capire le ragioni che hanno alimentato l’attuale «autonomia sfiduciata». E porvi rimedio, ma realizzando un’autonomia seria e rigorosa nei conti. L’Italia — anche con la confusa riforma del titolo Quinto — non ha realizzato né federalismo, né autonomia vera. Abbiamo invece accresciuto burocrazia e spesa pubblica. I costi generali delle amministrazioni centrali e locali sono di 40 miliardi in Germania, 38 in Italia, 23 in Francia. I costi delle amministrazioni locali sono 13 miliardi in Italia contro 5 in Francia. Abbiamo così ottenuto due risultati negativi. Il primo è che l’Italia paga il doppio prezzo di un’organizzazione apparentemente decentrata, ma in realtà fortemente centralista. Il secondo è l’irresponsabilità della spesa pubblica: nel 2012, secondo la Corte dei Conti, le amministrazioni locali hanno speso 230 miliardi di euro ma ne hanno incassati solo 140, al netto d’interessi e soprattutto di trasferimenti dal governo centrale. È di tutto questo, oltre che per l’aumento vertiginoso del contenzioso di fronte alla Corte costituzionale sulle materie economiche concorrenti tra Regioni e Stato, che si alimenta oggi l’«autonomia sfiduciata». Ma se consideriamo l’esperienza di altri Paesi, la risposta non è la ricentralizzazione secca. In Germania si è provveduto nel 2009 alla revisione delle responsabilità fra Länder e Stato centrale, rafforzando alcune competenze a livello federale, ma accrescendo l’autonomia dei Länder in molti campi. Ed è quello l’esempio che dobbiamo seguire. Dobbiamo rivedere profondamente il titolo Quinto, ri-centralizzando le sole competenze strategiche come quelle in materia d’energia e infrastrutture, ma con un decentramento vero in materie come la sanità e – voglio dirlo, sapendo di toccare un tabù - l’istruzione. Dobbiamo utilizzare le possibilità offerte dall’articolo 116 della Costituzione, che prevede per le singole Regioni la possibilità di accordi speciali di autonomia. Dobbiamo rimettere al centro di tutto il criterio del costo standard, colpevolmente abbandonato nel 2011. Dobbiamo arrivare a una chiarezza nella distribuzione delle risorse che consenta di programmare responsabilmente le azioni nelle aree di autonomia. Non si tratta solo di assicurare alle Regioni crescente autonomia impositiva. Dovrebbero essere strutturalmente in pareggio di bilancio, come i Länder tedeschi, ai quali la riforma del 2009 applica tale obbligo in modo ancora più rigido che per il governo nazionale. Ma in Germania le università sono dei Länder e così la sanità.
Il governo federale interviene con incentivi per creare competizione, ma si guarda bene dall’intervenire sui diversi modelli organizzativi. Laddove in Italia esistono condizioni di più forte autonomia e statuti speciali, per esempio nel caso dell’istruzione tecnica in Trentino, si ottengono risultati migliori nei test di valutazione internazionale «Pisa». Il tema dell’autonomia è dunque e resta un tema vitale per il rilancio italiano. E sarebbe auspicabile che anche i «saggi» aiutassero il nostro Paese a procedere verso un «federalismo ben temperato». Ciò è assolutamente necessario, se pensiamo di metter mano a un’autentica riforma della pubblica amministrazione. Che questa riforma possa venire «dall’alto», è una speranza difficile da condividere, dopo le esperienze negative di questi decenni. La riforma dello Stato deve partire dal basso: da una nuova cultura dell’amministrazione. Questa può essere battezzata soltanto da un forte senso di responsabilità: che non è un elemento meramente culturale, ma riflette la responsabilità delle amministrazioni nei confronti degli elettori. È opportuno imparare dagli errori degli ultimi vent’anni, ma sarebbe sconsiderato prescindere da quelli dei centotrenta precedenti. Di una cosa sono infine sicuro: le imprese lombarde contribuiranno meglio e di più alla proiezione e alla crescita dell’Italia nel mondo, se la politica ci consentirà di operare in contesti istituzionali con più autonomia e non meno.
Gianfelice Rocca
Presidente Assolombarda