Monica Guerzoni, Corriere della Sera 19/9/2013, 19 settembre 2013
E L’IDEOLOGO GOTOR TORNA IN SCENA CON LO STRATEGEMMA DEL VOTO CON L’INDICE
«Chi lo bersaglia è un cretino, che ha un’idea dell’intellettuale come di un caciocavallo appeso. Un intellettuale deve saper pensare, parlare, scrivere, ma se è in Parlamento deve anche schiacciare bottoni e lui sa fare tutto questo. Lui è un generoso. Lui è uno straordinario organizzatore. È pulito, onesto, simpatico... Ed è bello nell’anima». Lui è Miguel Gotor, il senatore democratico che si è tirato dietro ironie e polemiche per aver disvelato alla stampa il «trucco dell’indice», con cui il Pd si prepara a mettere fuori gioco i franchi tiratori. E l’onorevole che lo difende sulla soglia dell’Aula di Montecitorio è Pier Luigi Bersani, il già segretario del Pd che lo ha fortissimamente voluto in Parlamento.
Gotor, ex ideologo della campagna delle primarie, si applica alla decadenza del Cavaliere con lo stesso zelo e rigore scientifico che, per anni, ha dedicato alle vite di papi, eretici e censori. Facendo le debite proporzioni la Giunta per le elezioni e le immunità del Senato è per lui un po’ come la santa inquisizione e l’Aula di Palazzo Madama come il sommo tribunale che strapperà Berlusconi alla cronaca per consegnarlo alla Storia, con la «S» maiuscola. Per questo il senatore, che un tempo collezionava premi letterari, da qualche giorno sta facendo incetta di critiche e frecciate, da destra e da sinistra. La determinazione con cui si è lanciato nella mission del «dito indice» ha sorpreso molti persino nel suo partito, dove ai tempi del Bersani quasi-premier il giovane storico, geniale e stralunato, era per tutti il quasi-ministro della Cultura, mentre i giornali della destra berlusconiana lo demolivano a colpi di nomignoli insultanti. È stato via via lo «spin di culatello», il «grande puffo di Gargamella Bersani», «aspettando Gotor», il «guru del disastro elettorale»...
Se pure avesse fatto sogni da ministro non lo direbbe mai, soprattutto ora che si è messo in congedo dall’università di Torino per occuparsi «di politica a tempo pieno». Membro della prima commissione del Senato, si è dato un obiettivo ambizioso: difendere l’onorabilità del Pd. «Mi dispiacerebbe se finissimo per farci fregare da Grillo e così gli ho rotto le uova nel paniere, ho smascherato il disegno con cui voleva sputtanarci... Ed è per questo che i giustizialisti mi attaccano». Il trucchetto dell’indice sinistro è semplice e collaudato. I leghisti, ricorda Gotor, lo usarono per salvare Craxi nel segreto dell’urna e Dario Franceschini, da capogruppo dei democratici, lo adottò il giorno del voto che mandò in galera Alfonso Papa. Ora Gotor lo rispolvera, applicandolo alla decadenza di Berlusconi. Il senatore lo spiega così: «Mettendo nella buca del voto elettronico solo l’indice della mano sinistra risulta impossibile esprimere un voto che non sia il sì. Basta accordarsi coi fotografi, postare le prove sui social network e il tentativo dei Cinque Stelle di inquinare le acque è bello che stoppato».
Il Fatto quotidiano ha denunciato l’«arte di nascondersi dietro un dito» e lui ci è rimasto male, ma neppure troppo. Gotor ha un buon carattere e poi il paradosso dell’intellettuale schiaccia-bottoni non lo appassiona. «Chi mi critica ha una idea stereotipata dell’intellettuale, come uno che sta chino sui libri e ha la testa in aria», difende il suo ruolo di studioso prestato alla politica. La vicenda dell’ex premier la osserva «con distacco», come faceva ai tempi in cui l’oggetto del suo sguardo di studioso erano Carlo Borromeo o Ignazio da Loyola: «Io rispetto il travaglio dell’uomo e anche la sua figura di leader carismatico, ma una sentenza passata in giudicato deve essere applicata». All’uscita di scena del Cavaliere, Gotor mostra di non credere: «L’uomo è un combattente. Si può essere leader politici anche fuori dal Parlamento». Il giudizio storico è lapidario: «È stato profondamente illiberale». Ma dall’urgenza della vittoria politica filtra un concetto che molti nel Pd faticano ad ammettere: «Berlusconi è un alibi per il Paese e anche per i progressisti».
Monica Guerzoni