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 2013  settembre 19 Giovedì calendario

Uno studio della Commissione della Ue sentenzia che gli Stati europei non incassano tutta l’Iva che dovrebbero

Uno studio della Commissione della Ue sentenzia che gli Stati europei non incassano tutta l’Iva che dovrebbero. Quelli dell’imposta sul valore aggiunto non versata sono soldi che sfuggono ai bilanci nazionali e che complicano l’azione di rilancio dell’economia a livello globale. L’Italia ha il dato peggiore. Qual è la situazione? L’allarme era già stato lanciato dalla Commissione in un documento di analisi economica e di bilancio diffuso ai margini del Consiglio europeo di fine giugno. Le stesse cifre, accompagnate da un’analisi approfondita, riappaiono in un rapporto compilato durante l’estate dai tecnici di Bruxelles. Secondo il documento, in effetti siamo il Paese del vecchio continente che raccoglie meno Iva rispetto al potenziale. In sostanza, lo spread tra entrate ipotizzate e quelle effettive è stato stimato nel 2011 pari a 36,1 miliardi. Si tratta di una emorragia significativa: l’Iva mancata valeva l’1,9% del Pil nel 2009 ed è salita al 2,3% nel 2011, evoluzione in realtà amplificata dalla discesa del prodotto interno lordo. Quali sono le ragioni dei mancati introiti? L’evasione, in primo luogo. Secondo una fonte Ue, è colpa soprattutto di commercianti e imprese che non denunciato i loro affari. Il che si sposa con una capacità di raccolta e controllo che, secondo Bruxelles, non rispetta le ambizioni. Quanto vale l’Iva per la nostra Repubblica? Nei primi sette mesi del 2013 il gettito Iva è stato di 55 miliardi, il 5 per cento in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Secondo il Codacons, dal settembre 2011 ad oggi - ossia da quando si è avuto il primo incremento dell’aliquota dal 20 al 21% - il flusso è apparso decurtato di quasi 6,5 miliardi. Minori entrare dovute perlopiù ai consumi ridotti dall’aumento dei prezzi al dettaglio. Gli altri Paesi stanno meglio? «Si, ma non tanto. La Francia è al 32,2%, la Germania al 27, il Regno Unito al 19,5. La falla nel sistema è evidente. Perché l’Europa si preoccupa di questo? Principalmente per due motivi. Il primo è che una parte del gettito Iva contribuisce direttamente al bilancio dell’Unione Europea, dunque le entrate fiacche indeboliscono le politiche comuni. La seconda è legata alla strategia di politica impositiva che i Ventisette hanno condiviso: si tratta di spostare il carico dal lavoro a consumi-proprietà, così da favorire sviluppo e occupazione, per poi spalmare l’imposta su un fronte di consumatori il più largo possibile. Con meno Iva si hanno minori possibiltà di invertire il ciclo. Quali sono le regole europee? L’abolizione dei dazi doganali e, in seguito, la nascita del mercato unico europeo, hanno reso necessaria un’azione graduale di armonizzazione delle imposte indirette a livello comunitario. L’ultimo intervento legislativo, risalente al 2006, stabilisce che ogni Stato sia libero di fissare a piacere la propria aliquota, purché sia almeno al 15 per cento. La soglia minima punta ad evitare distorsioni di concorrenza, dannose per il gettito soprattutto per quel che riguarda lo shopping transfrontaliero. Sono previsti dei tassi ridotti, ma non inferiori al 5%, per alcuni generi di prima necessità. Sono davvero armonizzate le aliquote nell’Ue? Con l’eccezione di Francia (19,6), Olanda (19), Germania (19), Lussemburgo (15), Malta (18) e Cipro (15), tutti i Paesi dell’Unione sono oltre il 20 per cento. Il primato è ungherese: 27 per cento. Esistono località Iva-esenti nell’Unione europea? Fatta la regola, al solito si trova l’eccezione. Sono state create delle zone franche e nemmeno poche. L’imposta non si applica nell’isola di Helgoland (Germania), nel territorio di Büsingen (Germania), a Ceuta e Melilla (spagna), a Livigno, Campione d’Italia e sulle acque italiane del Lago di Lugano, nonché al Monte Athos, alle Canarie, nei dipartimenti francesi d’oltremare, nelle isole Aland (Finlandia) e in quelle Anglo-Normanne. Chi ha inventato l’Iva? I francesi, neanche sessant’anni fa. L’imposta fu istituita nell’aprile del 1954 su proposta del funzionario della direzione generale delle Imposte parigine, Maurice Lauré. L’obiettivo era unificare le diverse imposte sui consumi vigenti in quel momento, problematiche per gli effetti a cascata che l’armonizzazione evitava. Nacque la Tva, tassa sul valore aggiunto, idea che fu rapidamente accolta ovunque nel pianeta. Un’idea originale? In effetti, la storia racconta che il primo a proporla fu l’imprenditore tedesco Wilhelm von Siemens, nel 1918. Ma poi non se ne fece nulla.