Jaime D’Alessandro, la Repubblica 19/9/2013, 19 settembre 2013
TOKYO COSÌ I GIOCHI CANCELLANO IL GRANDE BAZAR DEL PESCE
La memoria ha i giorni contati. Meglio: ha una data di scadenza. E a poco più di una settimana dalla decisione del Comitato olimpico di affidare alla capitale giapponese i giochi del 2020, Tokyo sta già cambiando. A tal punto da cancellare parti importanti del suo passato, iniziando dal grande mercato del pesce di Tsukiji, il più grande del mondo, mentre altre zone fino ad ora rimaste ai margini di colpo si ritrovano al centro dell’attenzione. Era da tempo, dalla fine della bolla speculativa nel 1991, che non si respirava più un’aria del genere da queste parti. Nel bene e nel male.
«Verranno saldati dei conti rimasti aperti da venti anni», racconta Javer Villa, spagnolo, braccio destro di Kengo Kuma, una delle grandi firme dell’architettura giapponese, che essendo di Barcellona ha già vissuto la febbre olimpica. «Quello che non si poté fare allora per l’esplosione della bolla e per la crisi economica, ora verrà ripreso come se nulla fosse successo. In una chiave puramente speculativa».
La prima a pagarne le conseguenze è la zona dei micro bar di Shinjuku, la Golden Gai, un dedalo di viuzze sorte spontaneamente negli anni Cinquanta e frequentato da artisti come Nobuyoshi Araki. Verrà rasa al suolo nel giro di sei mesi malgrado sia un pezzo di storia. La città va riorganizzata in previsione dei Giochi e quella zona deve cambiare.
Alzano le spalle anche all’Iwasa Sushi, fra i 400 ristorantini e negozietti che circondano Tsukiji, il più grosso mercato del pesce al mondo, nato nel 1935. Dovrà traslocare entro tre anni perché sorge sulla baia di Tokyo in pieno centro, in un’area di 20 ettari a cinque minuti a piedi da Ginza, la strada delle boutique di lusso dove i metri quadri si pagano da sempre a peso d’oro. «E’ da molto che ci dicono che dobbiamo andar via», commenta rassegnato Iwata Misae, che gestisce un ristorante. «E stavolta accadrà sul serio». Ha ragione. Di trasloco si cominciò a parlare 14 anni fa, le proteste furono immediate e di una forza inusuale per gli standard giapponesi, diventando manifestazioni in strada. Poi la recessione bloccò il progetto, anche se da quel momento i 65 mila lavoratori del mercato, più altri 700 impiegati dei piccoli esercizi commerciali nelle vicinanze, hanno capito che prima o poi si sarebbero dovuti spostare a Toyosu, nell’area di Koto, molto più a nord e lontano dal cuore della città. E ora, con in ballo le Olimpiadi e il rilancio dell’area, difficile che chi dissente troverà molte sponde.
Al posto del mercato, grazie ad un investimento di 4.5 miliardi di dollari, sorgeranno palazzine residenziali vista mare e gallerie per collegare la terraferma ad Odaiba, l’isola artificiale frutto delle manie di grandezza del Giappone sotto effetto della bolla speculativa. Progetto faraonico e fuori scala che, fino a ieri, poteva dirsi fallito. Sull’isola nessuno voleva andare ad abitare, troppo mal collegata, e a parte il Miraikan (museo dell’innovazione dove si esibisce Asimo, il robot della Honda), un centro commerciale, la sede della tv nazionale Nhk e una baia posticcia dove si può mangiare guardando il tramonto, l’isola è vuota. Ma il giorno dopo l’annuncio del comitato olimpico, il mercato immobiliare ha subito un’accelerazione immediata perché è proprio ad Odaiba che sorgeranno la maggior parte delle strutture dedicate ai giochi.
«Non ci sono altre zone vuote a Tokyo e per noi è la fine di tante difficoltà», spiega Maholo Uchida, curatrice del Miraikan. «Prima era difficile competere con altri musei di Tokyo, i lavori delle Olimpiadi permetteranno invece di portare la vita ad Odaiba e di collegarla finalmente al resto della città» «. Insomma, è una rivincita, anche se a spese delle aree più caratteristiche di Tokyo come il mercato del pesce, le stradine di Aaskusa, quelle di Shinjuku. O forse, come dicono alcuni, si tratta di una seconda possibilità di tornare a sognare in grande come in Giappone non si fa più da tanti, troppi anni.