Federico Fubini, la Repubblica 19/9/2013, 19 settembre 2013
GHIACCIO NERO
[Jeremy Rifkin]
Jeremy Rifkin assiste alla progressione degli investimenti per estrarre idrocarburi dal sottosuolo con sempre maggiore scetticismo. Che in gioco ci siano le nuove tecnologie per ricavare gas e petrolio dalla roccia, un Medio Oriente dagli equilibri sempre più precari o le esplorazioni condotte a costi finanziari e ambientali sempre più alti nell’Artico o sotto gli strati di sale dei fondali marini al largo del Brasile, Rifkin semplicemente ha smesso di crederci. Per l’economista americano, il petrolio non è più la risposta alle esigenze di mobilità, comfort e creatività industriale dell’uomo.
Cosa la fa essere così categorico?
«Tenga presente un anno preciso: 1979».
Rivoluzione khomeinista, secondo shock petrolifero?
«Ma anche il momento in cui l’equilibrio si è spostato», risponde Rifkin, di recente a Milano su invito di Assolombarda.
«È nel 1979 che il mondo raggiunge il picco di produzione di petrolio per abitante. Il picco in assoluto poi sarebbe stato toccato nel 2006. Mi pare evidente che siamo su un sentiero insostenibile. Quelle due pietre miliari, 1979 e 2006, spiegano la parabola discendente in cui siamo».
Altri sostengono invece che la tecnologia permetterà di estrarre idrocarburi da aree remote e prima irraggiungibili.
«Lo si è visto. Certo, si può perforare lo strato salino a mille metri di profondità sotto il mare in Brasile. O si può andare nell’Artico. Ma il costo ambientale ed economico sarà sempre più alto perché non si accetta l’idea che il greggio presente nel sottosuolo è una risorsa limitata. Nel mondo c’è una quantità finita di petrolio, cercare di accaparrarlo in ogni modo rischia solo creare danni. Potrà continuare per un po’ ma farà dei vincenti e dei perdenti: questi ultimi nelle popolazioni colpite da guerre e danni ambientali».
Non la pensano così le centinaia di migliaia di persone che lavorano nello shale gas e tight oil, il metano e il greggio estratto dalla roccia negli Stati Uniti. Che ne pensa?
«Quella è un’altra bolla».
Ma il gas di scisto ha già dimezzato il costo dell’energia in America rispetto all’Europa. Perché è una bolla?
«Mi ricorda molto una nuova corsa all’oro. Oggi attrae miliardi di dollari di investimenti, nuove infrastrutture, grandi speranze. Ma è chiaro che la perforazione orizzontale della roccia non può continuare a produrre frutti molto a lungo. È insostenibile e presto ne vedremo l’impatto ambientale».
Lei è convinto che l’umanità sia già pronta a emanciparsi dall’energia da idrocarburi?
«È l’unica strada. Il petrolio è una risorsa limitata, destinata ad esaurirsi. Ma il sole o il vento non lo sono».
Il problema è che contribuiscono solo a una parte del fabbisogno di energia, non trova?
«È la parte che dobbiamo far crescere. La Germania in questo mostra la strada: tra non molto oltre un terzo del suo fabbisogno sarà coperto dalle rinnovabili, con ricadute positive su molti piani. È quella che chiamo la terza rivoluzione industriale».