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 2013  settembre 19 Giovedì calendario

L’EGOPATIA FRAUDOLENTA E L’OCCHIO DEI CORTIGIANI


Col permesso dei pacificatori l’aggettivo è «dissennato »: tale il rapporto organico Pd-Pdl (chiamiamolo «asse», riesumando una metafora in voga dai tardi anni Trenta); ma secondo gli oracoli, salva l’Italia, ultima d’Europa nella crisi planetaria, non essendovi alternative. In scala minore quest’abbaglio ricorda la sindrome allucinatoria della Germania hitleriana 1943-45, solidale nella corsa alla rovina. Vediamo i dati. Silvio Berlusconi incarna una criminalità fraudolenta (vedi res iudicatae): parole, mimica, gesti segnalano l’animale da preda sornione; froda, azzanna, inghiotte anche nel sonno. A molti piace: l’ammirano, sedotti dai 30 anni d’una molto volgare ipnosi mediatica; s’immaginano al posto suo, ricchi da scoppiare. L’anima in colletto bianco ha fondi neri: inutile dire da quali selezioni vengano i manutengoli; compagnia mercenaria, eseguono qualunque cosa lui comandi, anche turpe o ridicola. Fa testo il voto compatto nel caso Ruby, prostituta minorenne marocchina: frequentava Casa d’Arcore; e gli onorevoli Pdl la dicono nipote del premier egiziano, affinché le telefonate padronali in questura diventino atto politico; l’insonne statista scongiurava tensioni internazionali, perciò le carte vadano al tribunale dei ministri. L’élite fornisce prestazioni domestiche: esiste una sola questione, suprema, come salvarlo dai processi nei quali incappa, perché naviga rischiosamente ritenendosi invulnerabile. Sbagliava. Dike ha occhi buoni e memoria lunga. Infatti, l’ideologia forzaitaliota è illegalismo rabbioso: manda al diavolo ogni norma; esistono norme affinché l’agonista astuto le eluda; il malcostume sta al potere; e siccome bene o male la dea bendata sopravvive, sferrano furibonde campagne. Non dimentichiamolo: Silvius Magnus Fraudulentus sfoga una pericolosa egomania psicopatica; vuol adeguarsi nientemeno che il mondo, essendovi riuscito in qualche misura. Quando urla d’essere innocente perseguitato da sovversivi in toga, forse lo crede, monco dell’organo che discerne vero e falso.
Sinora ordiva leggi su misura (avvocati-legislatori gliele cucivano addosso), allungando i processi finché il delitto fosse estinto dal tempo. Vanno in scena tentativi d’estorsione da quando ha subito una condanna irrevocabile (frode fiscale) e può darsi che non resti l’unica: anche altrove corre gravi rischi; spericolate gesta milanesi gli costano 7 anni inflitti dal Tribunale. L’aut aut suona perentorio: qualcuno affossi giudicati e pendenze penali, riconsacrandolo «statista»; o cade il governo, dove siedono ministri suoi. L’innaturale ibrido appartiene al genere studiato in chiave fiabesca da Ulisse Aldrovandi (Monstrorum historia, Bologna 1642): animale tricefalo, volpe-drago-aquila, o testa d’uomo, orecchie d’asino, quattro braccia, ali, zampe bovine, et similia; ma nel governo Letta le anomalie sono reali. Se l’era allevato l’uomo del Colle predicando «larghe intese» (figura anche lui nel tentativo, scongiurato dalla Consulta, d’assicurargli l’immunità dal processo). L’assurdo prende corpo quando il pirata affonda nel ludibrio universale, avendo condotto l’Italia a due dita dalla bancarotta: sciolte le Camere, non se ne parlerebbe più; invece il presidente mago le iberna sotto un governo cosiddetto tecnico, sostenuto dai due antagonisti; così il perdente riprende fiato sfiorando la vittoria in rimonta. Deo adiuvante, scadono i sette anni quirinaleschi e respiriamo, illusi d’un nuovo corso. Nossignori: teatralmente rieletto (i retroscena restano bui), risuscita il mostriciattolo e lo tiene vivo con frequenti moniti; guai se cadesse, finis Italiae.
La parola d’ordine è «stabilità», utile in quanto operosa nel senso buono. Non vediamo le opere. L’esecutivo sotto ricatto ha membra torpide e l’estorsore vuole l’impossibile: che il presidente d’una Repubblica parlamentare liquidi dei giudicati, seppellendo processi in corso; manovre a stento pensabili qualche secolo fa. Ai bei tempi era gangster in posa d’allegro blagueur e gangster rimane, torvo: esige il salvacondotto o sfascia la res publica; «voglio garanzie», non formulabili in lingua pulita. S’è chiuso nella reggia. Lo descrivono tempestosamente ondivago, tra collera e cupa apatia. La seconda sconfitta in Cassazione costa 500 milioni. Falchi, colombe, poiane, tortore, gufi gli volano intorno, intenti al massimo profitto: è fredda l’occhiata dei cortigiani; lo pesano misurando umore, energia vitale, residuo presumibile d’una vita affiochita. Ognuno odia l’altro. L’incarico a Enrico Letta implicava quel che avviene: lo zio tratta in apicibus gli affari d’Arcore; il nipote s’era qualificato nemico dell’«antiberlusconismo» e l’ha ripetuto nella rovinosa campagna elettorale, augurando che i voti non acquisibili dal Pd imbastardito finissero al magnate contro le Cinquestelle. In pectore esisteva una partnership. Perché quel maledetto giovedì 1 agosto la Cassazione non ha deciso in termini politicamente sensibili? Ora, quest’affinità esclude la politica richiesta dalla terribile congiuntura. Le cosiddette colombe ministeriali vantano un record d’obbedienza automatica nella gara a chi serve meglio. L’Italia può salvarsi ma ci vogliono terapie forti contro corruzione, frode, mafia, parassitismo, evasione fiscale: non è roba che lui combatta, né lo permetterebbe; vi nuota, gigantesca trota, squalo d’acqua dolce. Insomma, Quirinale e Palazzo Chigi trasmettono un’apocalisse smentita dai fatti, irrilevanti nell’universo berlusconiano. L’incubo dello spread svanirebbe appena plutocrate e ciurma uscissero dalla ribalta. Dal 17 settembre era atteso un videoproclama varie volte rinviato. Vi sputa fuoco contro i persecutori, tenendo in piedi il governo: pour cause; non ne esiste uno altrettanto comodo.