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 2013  settembre 19 Giovedì calendario

DALLA ROTTAMAZIONE AL PARTITO “COOL” MATTEO TRA IL PARLAR FRANCO E IL TRASH


«OH, ma fanno tutti polemica sulle parole! - si è sorpreso ieri Matteo Renzi - Rottamare non va bene, asfaltare è violento, cool è troppo inglese, e le ironie che facilmente immaginate...».
Queste ultime, in effetti, di scontatissima assonanza anatomica, si sono levate quasi subito sulla rete, fermo restando che il «fattore C», la fortuna secondo Machiavelli, ha sempre avuto il suo peso nel destino dei leader.
Ma cool, attribuito al Pd, non è solo un aggettivo troppo inglese. In quella lingua ha diversi usi, ma quello scelto da Renzi non è immediatamente traducibile in italiano. Grosso modo, sta a indicare qualcosa di «ganzo», come direbbe lui, o di «fico»; qualcosa che fa moda o tendenza; più in generale uno stile di vita conformatosi con un certo successo su un’autosufficienza creativa e vagamente individualista, per non dire spavaldamente egocentrica, decisa a rompere con il passato e comunque piena di nuova energia e inedita capacità empatica e quindi comunicativa.
Detta altrimenti, non è che Renzi voglia tanto un Pd cool, è lui stesso che si sente e forse è già abbastanza cool. Nel dibattito politico nostrano la parola entra con qualche ritardo, essendosi affermata in Inghilterra ai tempi nuovi del New Labour e del blairismo (cfr Cool Britannia di Antonio Polito, Donzelli, 1998). Grazie alla benemerita bancadati dell’ Ansa si apprende che la parola è stata usata da D’Alema, Buttiglione, Capezzone, Lorenzin e a giugno anche dal premier Letta, cui pure non difetta un repertorio esterofilo-giovanilista, che confessò di invidiare Obama in quanto «molto cool ».
Ieri Civati e Cuperlo hanno liquidato l’attributo con sbrigativa degnazione. «Ho smesso di commentare gli slogan di Renzi» ha detto il primo; e l’altro: «Divertente, ma io non voglio un segretario divertente, voglio un segretario che» eccetera. Ma in entrambi, più che lo scandalo per la pretesa dissacrazione dell’entità-partito, che francamente suonerebbe lunare, era esplicita l’idea che il sindaco di Firenze non faccia realmente politica, o meglio «fa solo battute», non offre soluzioni, è indeterminato, superficiale, vuoto. E non devono essere solo loro a pensarla così, e comunque l’altro giorno amichevolmente gliel’ha detto anche Veltroni, che Renzi deve resistere a chi l’incoraggia, come il Sordi dell’ Americanoa Roma: «A’ americà, facce Tarzan!».
Dal cool al trash, pare di interpretare il messaggio, il passoè breve. Ma tanti altri suoi interlocutori - e potenziali elettori - non si pongono questi problemi. Ieri Renzi ha incontrato Alfonso Signorini, che in giornata gli ha riconosciuto di «arrivare alla pancia delle persone». Il direttore di Chi aveva da tempo illustrato le varie tappe di avvicinamento del sindaco a Maria De Filippi, un percorso culminato nel servizio con giubbotto di cuoio e posa sfacciatella alla Fonzie.
A chi non è di sinistra l’evanescenza di soluzioni concrete e di programmi finisce per configurarsi come una specie di garanzia, e il fatto che il personaggio usi un linguaggio così diretto - Firenze «città smart », Bersani «spompo», il Pd «lo rivolto come un calzino», «io cattivo? Ma de che?» - è la prova regina che egli non ha, come del resto non perde occasione di assicurare, «la puzza sotto al naso». E perciò appare predestinato a vincere, tanto che alla festa di Genova, quando è salito sul palco, hanno messo come canzone "We are the champions"; e a Milano Fassino e Profumo, per sentirlo, si sono seduti per terra, in platea, che in foto sembrava un po’ penitenziale, mentre ai piedi dell’imminente leader e campione vittorioso sono stati fatti accomodare tanti giovani e - attenzione! - anche una suora, con tanto di velo.
Secondo Grillo Renzi è «un venditore a tempo pieno di se stesso». Secondo Marco Revelli: «Quasi certamente vincerà non perché abbia una risposta ai problemi, ma perché ha una diversa retorica; ed è un outsider rispetto a un apparato odioso. Non porterà nessuna soluzione, ma servirà a rinviare la dissoluzione di quel non partito».
Il mese scorso Renzi è andato a pranzo con Briatore, ma pochi giorni dopo- sempre per restare in ambito lessicale - durante una cerimonia ha fatto un certo scalpore che si sia rivolto ai vecchi partigiani chiamandoli: «Compagni!». Vero è che poi, a parziale riequilibrio, in quella stessa sede ha richiamato l’esempio di Gino Bartali, terziario francescano. La politica insomma è molto cambiata - se in senso cool o non cool lo decideranno i vincitori, con buona pace degli osservatori.