Simone Filippetti, Il Sole 24 Ore 18/9/2013, 18 settembre 2013
FINITA LA «GUERRA DEI 20 ANNI»
C’è stata una guerra, a Piazza Affari, durata qualcosa come ventidue anni. E finita ieri. La guerra era tra Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti e iniziò nel l’ormai lontano 1991. Per la conquista della storica casa editrice Mondadori.
Ieri la holding di Berlusconi è stata condannata definitivamente a risarcire l’eterno rivale: 494 milioni di euro. Ironia della sorte: è passato così tanto tempo che Fininvest paga una somma monstre per un’azienda, la Mondadori, che, colpita dalla recessione come tutta l’industria dei media, ai valori di oggi capitalizza 260 milioni (e l’anno scorso ha perso 167 milioni). Due volte tanto. Disfasie temporali del sistema giudiziario italiano. Sarebbe un caso esemplare di lungaggini dei processi e del perché la giustizia civile sia un grosso ostacolo per fare impresa nel paese, se non fosse che il «Lodo Mondadori» nel frattempo è anche diventato un caso politico, come da venti anni puntualmente accade per ogni procedimento che riguarda il Cavaliere.
Da una parte lo «scippo», quello che De Benedetti reclama di aver subìto. Dall’altra l’«esproprio» che Marina Berlusconi denuncia o la «rapina a mano armata» come l’ebbe a definire lo stesso Berlusconi, nelle vesti di premier, due anni fa. Per capire come si è arrivati fin qui bisogna riavvolgere il nastro del tempo. Siamo agli inizi degli anni ’90, la Fininvest è il rampante scalatore nel mondo dell’editoria. Appena un anno prima la contestata Legge Mammì aveva cercato di regolare il nuovo mercato delle tv commerciali, che Berlusconi aveva letteralmente inventato dal nulla. L’uomo è ancora "solo" un imprenditore. Dopo aver comprato Italia 1 da Angelo Rizzoli i suoi occhi cadono sulla storica casa editrice Arnoldo Mondadori (da cui aveva comprato Rete 4), dove gli eredi sono spaccati. Alcuni anni prima, era l’aprile del 1987, a Parigi muore Mario Formenton, marito di Cristina Mondadori, presidente della società.
Già dagli anni ’80 Berlusconi aveva iniziato a rastrellare, in Borsa, azioni Mondadori. Alla morte dell’erede, il Biscione ha in portafoglio l’8,28% dell’azienda. Ma il Cavaliere non è il solo ad avere mire sulla Mondadori: anche Carlo De Benedetti la corteggia. L’Ingegnere era legato a Formenton e alla casa editrice che all’epoca deteneva la metà del gruppo L’Espresso fondato da De Benedetti e da Eugenio Scalfari. La Cir ha anzi un pacchetto consistente della Mondadori, il 27%. A Natale del 1988 gli eredi Formenton e De Benedetti si accordano: gli eredi venderanno le loro quote alla Cir e così nascerà un grande polo italiano dei giornali, da Repubblica a Panorama ed Epoca. Ma un anno dopo, il ribaltone: i Formenton disdicono quell’accordo e ne firmano uno analogo con Berlusconi che diventa presidente della Mondadori. Scoppia la Guerra di Segrate: si decide di ricorrere a un lodo.
La decisione dà ragione a Cir. Fininvest e i Formenton impugnano la sentenza. Si va in appello: il giudice relatore è Vittorio Metta. Nel gennaio del 1991, mentre il mondo è col fiato sospeso per la guerra in Kuwait contro l’invasore Saddam Hussein, la Corte stabilisce che l’accordo del 1988 era viziato. La Mondadori deve andare a Berlusconi. Nelle redazioni scoppia la polemica. È stallo. La politica cerca una mediazione: è l’aprile del 1991 (e un’altra tragedia navale scuoteva il paese: oggi la Costa Concordia al Giglio, allora il traghetto Moby Prince che prese fuoco nel porto di Livorno). Il premier Giulio Andreotti, all’epoca al suo settimo governo che sarà anche l’ultimo, manda il suo emissario Giuseppe Ciarrapico, il re delle acque minerali (e futuro senatore del Pdl) per trovare un accordo, negli uffici di Mediobanca.
Mondadori sarà divisa in due: Espresso e Repubblica alla Cir al 100%; la Mondadori a Berlusconi (più un risarcimento di 365 miliardi di lire). Nessuno dei due contendenti ha perso. Nel frattempo arriva il ciclone Tangentopoli, la Prima Repubblica cade, Berlusconi entra in politica e vince le elezioni nel 1994. L’anno dopo Stefania Ariosto, la compagna di Vittorio Dotti (allora uno dei legali di Berlusconi) nota come Testimone Omega al processo Sme, chiama in causa Cesare Previti, avvocato di Fininvest nel frattempo diventato ministro della Difesa. Parte un filone d’inchiesta. Si sospetta che sia stata pagata una tangente al giudice Metta (che poi andrà a fare il consulente proprio dello studio Previti), attraverso la finanziaria off shore All Iberian. L’indagine sfocia in un processo contro Previti, Metta e gli avvocati Fininvest Attilio Pacifico e Giovanni Acampora per corruzione. In primo grado tutti sono assolti. La procura impugna la sentenza. In appello, e nel frattempo sono già passati dieci anni e siamo nel 2001 (anno del trionfale ritorno al governo di Berlusconi), la sentenza si ribalta. La parola fine arriverà in Cassazione nel 2007: condanna definitiva per Previti, Acampora, Pacifico e Metta per il reato di corruzione in atti giudiziari. Per Silvio Berlusconi c’è solo la corruzione semplice e scatta la prescrizione.
Il faldone viene spedito al tribunale civile per il risarcimento. Tutto sembra finito nel dimenticatoio. Ecco però che nell’ottobre del 2009 arriva all’improvviso la tegola della sentenza civile: Fininvest condannata a un risarcimento monstre di 750 milioni verso Cir. È un terremoto in casa Fininvest. Si arriva all’«Accordo di Natale» 2009: Fininvest ottiene la sospensione del pagamento e in cambio offre una fidejussione da 806 milioni, in attesa dell’Appello, che arriva nel luglio 2011. È una sentenza salomonica: conferma la condanna di Fininvest, ma allo stesso tempo il risarcimento viene ridimensionato (da 750 a 540 milioni). La parola fine è stata scritta ieri: la Fininvest finirà in rosso, ma non ne esce con le ossa rotte (al netto dei 490 milioni vanta 2 miliardi di patrimonio). De Benedetti incassa 350 milioni di liquidità netta.