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 2013  settembre 18 Mercoledì calendario

QUELLI CHE NON DORMONO MAI

Scrivo la traccia di questo articolo alle 4 del mattino. Mi sono addormentato a mezzanotte e svegliato all’una. Nel sogno ha suonato il campanello di una porta che non esiste. Sono andato ad aprire ed era buio nella mia camera. Ora so che resterò sveglio fino a domani. Altre volte l’ora di sonno arriva all’alba. Non saprei che cosa scegliere. È un disturbo ciclico, va a folate di tre-quattro mesi, poi riprendo a dormire, ma so che non durerà. È cominciato molto tempo fa, quand’ero bambino. Non so se fossi precoce, raro o se capitasse anche ad altri. Non ne ho mai parlato con nessuno, e forse nessun altro lo mai fatto. Nelle notti d’estate e primavera mi rivoltavo nel divano letto e, a un certo punto, mi fissavo nel pensiero dell’eternità. Lì, il cuore e il cervello si spaurivano e non c’era più speranza di acquietarli. L’avessi rivelato, temevo mi avrebbero (ri)portato dallo psicologo di quartiere, che aveva un nome da orco disneyano, quindi spaventosamente credibile a quell’età. Oggi sono venuto a patti con l’eternità: penso che, almeno, sarà un lungo sonno.
In notti come questa compongo formazioni di calciatori (schierate con il 4-3-3) che cominciano con la stessa iniziale, scovo undici titoli di film con la “P”, o altrettanti cantanti con la “V”. Ho abbandonato il libri di filosofia per le pagine di sport e spettacoli, ma non ho trovato il modo di staccare la corrente a quel campanello che suona alla porta che non c’è.
Ne ho parlato con alcuni specialisti. Queste le principali diagnosi. Una: sei stressato. Dalla nascita? Non ci credo. E poi non c’è corrispondenza tra i momenti più complicati della mia esistenza e l’insonnia. Anzi, il rapporto, è curiosamente e inversamente proporzionale: peggio va e meglio dormo. Due: siccome hai capito che nel sonno hai prevalentemente incubi, cerchi di evitarli non dormendo. Bella teoria, lo ammetto, una specie di matrioska interpretativa. Ma ho letto una frase molto lucida a questo proposito. Sta nel romanzo di Osvaldo Soriano “L’ora senz’ombra”. Dice: “Anche l’insonnia ha i suoi incubi, porte che si aprono e da cui non entra nessuno, e io lì, su una sedia a rotelle, più vecchio del mondo, ad aspettare che qualcuno venga a svelarmi la verità”. Anche l’insonnia ha i suoi incubi. Solo che si chiamano ricordi, rimozioni, rimpianti. In ogni caso, nessun rimorso. Tre: hai problemi di fegato. Esiste una corrispondenza, pare, tra le due cose.
Rimedi sperimentati? Categoria blandi: tisane, cardo mariano, astinenza da alcol, indumenti caldi, coperte lievi, doppi cuscini, animali da compagnia, compagnia. Solo l’ultimo ha, sporadicamente, funzionato. Categoria medi: melatonina, bagni bollenti, autoipnosi. Nessun effetto. Categoria massimi: sonniferi. Risultato incompatibile con il “sonno chimico”, troppo “artificiale”, troppo “nero”. Si è riaperta la scatola cinese e sognavo che non riuscivo a dormire.
Ora, sapendo che il fenomeno è ciclico e non cronico, la scelta è: affrontarlo ai fianchi anziché di petto. Approfittare della libertà concessa dalle scelte di vita per confonderlo con il jet lag e altri espedienti. Viaggiare. Scambiare il giorno con la notte. Sveglio alle due cucino la cena che ho saltato, mando mail che lasciano
perplessi i destinatari per l’ora di spedizione (ma come viene loro in mente di verificarla?), guardo improponibili film su Sky Cinema (ai responsabili della programmazione: abbiate cuore per chi vi fa audience fuori dall’ora di punta). A dieci anni scivolavo silenziosamente in salotto e cercavo Tele Capodistria.
Ora ho una scelta più vasta, ma la qualità non è cresciuta altrettanto. La vera grande rivoluzione per gli insonni è internet: un locale aperto 24 ore e popolato da una folla non necessariamente insonne. Qualcuno ha semplicemente un diverso fuso orario.
E poi c’è il mondo, là fuori, sempre disponibile. Ho provato a passeggiare, nelle notti d’inverno. Le strade, prima che arrivi l’alba, sono punteggiate di ectoplasmi silenti. Il loro alibi è un cane, che si trascina al guinzaglio smentendo di aver mai avuto voglia o necessità di uscire. La loro colpa non è trasparente quanto la pena. Non c’è possibile grazia, soltanto la consolazione di aver vissuto, innegabilmente, di più.