Marco Imarisio, Corriere della Sera 18/09/2013, 18 settembre 2013
IL PIANTO FINALE DI NICK CHE FESTEGGIA CON 5 BIRRE: «I MIEI ATTIMI DI PANICO» —
Appena tornato a terra ha puntato dritto al Bar Fausto. Una birra, per favore. Erano le 4.30 del mattino. «Appunto. Troppo presto per un cappuccino».
Il suo bagno di folla davanti ai giornalisti di tutto il mondo subisce un ritardo di pochi minuti. All’ingegnere Nick Sloane, dice la traduttrice, farebbe molto piacere aspettare sua moglie. «Volevo farle vedere che in fondo non sono malaccio...». Sono 27 anni che l’uomo copertina di questa storia è considerato alla stregua di un latitante dalla sua famiglia. Nel 2012 è passato dalla casa di Cape Town per scartare i regali di Natale e riposare una settimana. «Ma non farei a cambio con nessun’altra vita. Ormai è così, mia moglie lo sa, i miei figli lo capiscono. Quando suona il telefono, parto. E comunque non lo faccio gratis...».
L’espressione gioviale non è di facciata. È un uomo allegro, capace di scherzare anche su se stesso. Mentre cammina sulla banchina aspettando le forche caudine delle interviste tv racconta delle sue origini, alle quali attribuisce la vocazione al nomadismo, a sentirsi cittadino del mondo. Il padre e la madre sono di Belfast, Irlanda del Nord. Lui imprenditore e protestante, lei radiologa e cattolica. Marito e moglie in uno dei conflitti politici e religiosi più feroci della storia recente, in una città divisa da un muro per impedire contatti tra le due fazioni. «Nel 1961 furono costretti a partire. L’anno dopo sono nato io. Quella città è la mia Itaca». Nei cantieri navali di Belfast fu costruito il Titanic. «Ma questo ho evitato di dirlo agli amici del Giglio...».
Il mare è quasi un rifugio per chi non ha una patria. «Lo considero il mio ambiente naturale. Da ragazzo facevo gare di vela e ho sempre cercato di avere il mare davanti agli occhi. È qualcosa che capisci solo se ce l’hai». La chiamata all’arte del salvataggio delle navi è arrivata nel 1983, quasi per caso. Una nave cisterna che si spezza quasi davanti a casa, per metà inabissata e per metà in verticale. «All’epoca non ero così preparato. Scelsi una soluzione un po’ radicale, ma funzionò». Lo scafo fu caricato di dinamite sulla prua. «L’esplosione devono averla sentita anche in Mozambico. E io avevo trovato un lavoro».
Quelli del Giglio lo hanno riconosciuto come uno dei loro anche per questa vocazione. Era il salvatore designato, l’uomo che avrebbe diretto l’operazione di raddrizzamento più improbabile della storia. Mentre parliamo, la gente dell’isola fa le fila per salutarlo. «Stasera party» dice a tutti, invitando chiunque gli si pari davanti alla grigliata nei giardini dell’hotel Nemo, la sua casa di quest’ultimo anno, non a caso l’edificio più vicino al mare, e alla Concordia. «Ogni sera, prima di coricarmi la guardavo. Non vorrei essere nelle scarpe del comandante Schettino. Perdere una nave è la cosa peggiore che può succedere a un capitano. Non entro nel merito del processo. Ma credo che quell’uomo abbia un problema con la sua coscienza».
Le sue ultime 24 ore sono trascorse a bordo di una scatola di latta che faceva da sala di controllo. «Abbiamo rischiato di perderla per la tempesta della notte precedente. Senza le attrezzature elettroniche non avremmo potuto fare niente. Mi sono preoccupato solo quando la nave restava attaccata alla roccia nonostante seimila tonnellate di peso. È stato l’unico momento di panico. Sii paziente, ripetevo soprattutto a me stesso, sii paziente. Poi si è mossa, bene, in modo uniforme. Alla fine siamo andati di corsa. Ho accelerato la rotazione perché avevo paura del mare grosso del mattino seguente. Era meglio fare in fretta».
Sloane guarda divertito la fila davanti a lui per le interviste. «Solo in Italia ho sperimentato questa forma di pressione. Ora voglio riposare almeno due anni». Sandra, sua moglie, lo guarda storto. «Sei un fottuto bugiardo». Ridono entrambi. Ci vuole buon carattere per guidare una squadra da 500 persone, ogni volta nuove, perché il nucleo principale che si porta dietro per il mondo è composto da 15 ingegneri. Gli altri, li trova sul posto. «Più delle nozioni tecniche mi affido ai vocabolari. Abbiamo gente di 26 nazionalità diverse». È questo impasto di serenità e buon umore la sua forza. Ma c’è altro in Nick Sloane, e diventa chiaro quando gli chiedono cosa ha provato al suono delle sirene che annunciavano la riuscita dell’impresa. Gli occhi si riempiono di lacrime e dietro si intravede la tensione, la paura di non farcela. «In conferenza stampa mi sono commosso» dice dimenticando per un attimo il senso dell’umorismo che usa come scudo. «Ci sono momenti che giustificano una vita e il suono delle sirene è stato uno di quelli. Anche per questo a terra mi sono fatto una birra. Italiana, eh: una Moretti». Alla festa di ieri sera se ne è scolate cinque. Ampiamente meritate.
Marco Imarisio