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 2013  settembre 18 Mercoledì calendario

SHABAA, NELLA TRINCEA DEI TUNNEL CHILOMETRI DI STRADE SOTTERRANEE PER STRANGOLARE L’AEROPORTO DI ASSAD

SHABAA (DAMASCO) — L’autostrada per l’aeroporto, una delle tante “strade della morte” che percorrono la periferia di Damasco, s’interrompe bruscamente poco dopo il campo-profughi di Jaramana. Da un lato le casupole miserabili dei palestinesi rifugiati in Siria da 65 anni, dall’altro i palazzi del quartiere di Bet Sahem, inscheletriti dalle bombe a tappeto lanciate dagli aerei per snidare i cecchini. «Da qui non potete andare oltre», ordina l’ufficiale che comanda il posto di blocco, perché sette chilometri più avanti, nel villaggio di Shabaa si combatte da quasi un mese una battaglia decisiva in quella che si può chiamare la “guerra dei tunnel”.
Da lontano, una nuvola plumbea avvolge Shabaa immersa nella campagna deserta. In quel punto, all’aeroporto di Damasco mancano ancora sette chilometri, eppure è partendo da Shabaa che, secondo i militari, i ribelli sono riusciti a paralizzare lo scalo internazionale, una finestra vitale per la Siria. In che modo, è presto detto: combinando la tecnologia di Hamas applicata alla guerriglia sotterranea con l’acume tattico degli hezbollah, veri e propri maestri nella materia. Solo che stavolta i miliziani sciiti libanesi, alleati salvavita del regime siriano, i ribelli che combattono Assad se li sono ritrovati contro.
La scoperta che ha lasciato i soldati di Assad a bocca aperta consiste in un tunnel lungo tre chilometri e largo quanto basta a contenere un blindato che, secondo le prime informazioni ufficiose, collegherebbe il centro di Shabaa con l’autostrada. Così, non visti, per mesi, i guerriglieri hanno potuto attaccare i convogli diretti a, o provenienti da, lo scalo internazionale. Quando non hanno essi stessi sferrato assalti mordi e fuggi, o bombardato le piste con colpi di mortaio, di fatto rendendo lo scalo internazionale inutilizzabile fino ad oggi.
Chi ha conosciuto la guerra tra israeliani e palestinesi sa come sono fatti i tunnel che collegano Gaza all’Egitto: ascensore a gabbia fino a 100-200 metri di profondità, luci sul tracciato, ventilatori a elica per rinnovare l’aria, non semplici cunicoli ma vere e proprie strade sotterranee in grado di spostare agevolmente non soltanto gli uomini ma anche i mezzi.
Abu Omar, un vecchio militante del Fronte popolare che ormai ha scelto di vivere a Damasco la sua stagione di pensionato della guerriglia palestinese, assicura che sono stati gli ufficiali degli hezbollah libanesi a scoprire che gli insorti armati avevano copiato la strategia dei tunnel: «Gli hezbollah — rivela — hanno trovato nei depositi dei ribelli che combattono Assad le scavatrici coreane che loro stessi avevano regalato ai capi di Hamas per rompere l’assedio di Gaza del 2006-2007. Non si sa come e per quale via quelle scavatrici sono entrate, o forse si potrebbe dire sono ritornate in Siria».
Il tunnel di Shabaa non rappresenta una novità assoluta nel conflitto siriano. Un camminamento sotterraneo lungo 10 chilometri collegava Qusayr, dove s’è combattuta una battaglia strategica vinta dalle forze lealiste con l’appoggio decisivo dei miliziani hezbollah per il controllo della via che collega Damasco alla valle della Bekaa libanese e alla costa Mediterranea, con Tal Kalah a sud-est della provincia di Homs. Una rete di passaggi scavati in profondità sarebbe affiorata a Barzeh, Jobar e Qabun, i centri della grande periferia di Damasco, la cosiddetta Goutha, da dove la guerriglia ha lanciato da più di un anno l’assalto alla capitale e spesso, grazie ai tunnel, colpendo il nemico alle spalle.
Ma non solo di attacchi a sorpresa vive la battaglia di Damasco. Lasciata l’autostrada per l’aeroporto all’altezza di Jaramana (il quartiere misto di drusi, alawiti e cristiani che dà il nome al campo profughi), ecco la tangenziale est, un’altra “strada della morte” costruita a suo tempo per collegare la capitale con l’autostrada per Homs ed oggi perennemente nel mirino dei cecchini. Di qua la città, di là la guerra. Colonne di fumo nero si levano da Barze al centro di uno scontro furibondo. Massi e copertoni bloccano la tangenziale deserta. Il selciato è sconvolto dai cingoli dei carri armati acquattati dietro alti terrapieni.
Eppure, senza neanche dover allungare troppo lo sguardo, ecco sul lato opposto, i minibus che riportano i bambini a casa dopo il primo giorno di scuola. Il traffico scorre lento. I colpi di mortaio che continuano a cadere nelle piazze della città assediata quasi non vengono più notati, se non ci sono vittime. L’ultimo ad essere falciato dalle schegge di una katiuscia piombata sulla zona cristiana, una delle più a rischio, è stato un giovane ambulante, Jussef, il quale, mi raccontano, costretto a chiudere il suo piccolo artigianato di borse di cuoio e gioielli finti, s’era messo a vendere frutta e verdura per strada. «La verità — dice un suo amico — è che nessuno a Damasco si chiede più quando finirà».