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 2013  settembre 18 Mercoledì calendario

MA IO DIFFIDO DELL’AMORE UNIVERSALE

CARO direttore, nel dialogo confidenzialmente pubblico tra papa Francesco e Eugenio Scalfari, mi permetto di intervenire senza imbarazzo, anche se la mia povera opinione può risultare più di disturbo che di plauso. Di applausi tutti ne ricevono troppi. Mi dissuade dall’applaudire l’eccessiva reciproca tolleranza. Il Contrasto (Pólemos) non è “padre di tutte le cose”? Una parola moderna è ancora più forte: “Il combattimento spirituale è altrettanto brutale della battaglia d’uomini” (Arthur Rimbaud). Sulle questioni ultime, bisogna soffrire e far soffrire con le parole.
Manca il dramma, nel dialogo Papa Scalfari. Ciascuno, nel proprio dogma, si sente al sicuro. Dubito sia così, tra persone di elevata intelligenza, nel loro interno, ma non c’è rumore, nel loro scambio, di spade incrociate all’ultimo sangue. Entrambi gli interlocutori hanno in comune il soffio di una spiritualità morta, perciò il combattimento che impegnano è orfano della brutalità rimbaldiana.
Ricordo un importante fallimento di Benedetto XVI: cercò di reintrodurre con un Motu proprio la messa tridentina, perché la conciliare è stato un vero assassinio liturgico e, avendo sensibilità musicale, volle eliminare le schitarrate elettriche dai riti superstiti. Ma siamo popoli delatinizzati, urtò con un clero più dotto di informatica che di verbi deponenti. Di America Latina non so niente, ma non credo che i suoi curati e vescovi abbiano familiarità con la latinità immortale di noi rari nantes.
Tuttavia la Chiesa ha più bisogno di gregoriano che di esenzione dalle tasse in Italia.
E ora tutto il carisma di papa Bergoglio si spende in ciò che sempre più allontana la Chiesa dal suo necessariamente scandaloso radicamento nel Trascendente delle origini. Quei rabbiosi straccioni senza pane della Riforma, che straziava e illuminava di grande il problema della Grazia, erano ben più veri cristiani di questi servitori del mondo incapaci di comprenderne il bisogno di assoluto che gli pesa sulla schiena di Cristoforo indicibilmente. “Solo un Dio può salvarci” lasciò detto il bravo filosofo di Friburgo, ma a volerci perdere gli Dei dimenticati sono tanti. E formidabili le ultime righe di Lutero con toda su muerte a cuestas: “Siamo dei mendicanti, la verità è questa”. Mendicanti di altro, che non sia questo mondo di perdizione, che moltiplica i nonagenari e sega le ali ai bambini. Diffido delle proclamazioni di amore universale; siamo sette miliardi di àntropi su questa nave di pazzi, e amarli, tutti in blocco, è non amare nessuno. Del resto, non tutti hanno voglia di essere inclusi nell’abbraccio universale, sebbene tutti siano mendicanti di Lutero. Ma se do amore disperato alle donne che ricevono acido muriatico in faccia, darei tutt’altro a chi le assassina a quel modo: e il Papa se la sentirebbe? Il suo amore cristiano comprende anche i massacratori di cristiani che nel mondo sono un bel numero? Ero in San Giovanni mentre il cardinal Ruini da cento altoparlanti annunciava trionfalmente che la madre di un povero prete massacrato in Anatolia, don Santoro, aveva già perdonato, così in astratto, i suoi anonimi assassini. Mi venne da dubitare che quel suo figlio lei lo amasse poco, o che il perdono le fosse stato estorto da zelatori di amore universale su mandato della Cei... Insomma, all’imitatio Christi dobbiamo, come esseri umani, veramente umani, porre dei limiti.
Certamente questo papato, non soltanto per modalità di stile più consone ai tempi, ci riserva cose strabilianti. Che una lampada si sia accesa nel grigiore uniforme dell’Oltretevere mentre l’Italia politica sprofonda sempre più in una tenebra vociferante, merita un saluto silenzioso e un’attesa inudibile.