Paolo Mastrolilli, La Stampa 18/9/2013, 18 settembre 2013
STEVE ERA IMMUNE ALL’AIDS L’HA UCCISO IL SENSO DI COLPA
L’ uomo che non poteva prendere l’Aids è morto, perché la sua fortuna genetica non è bastata a proteggere anche i suoi sentimenti.
Steve Crohn era un caso unico, studiato dai migliori scienziati del mondo che si occupano di Hiv. «Nel gennaio del 1978 - aveva raccontato a un documentario della televisione Pbs - il mio partner Jerry Green si era ammalato di influenza. I sintomi però erano andati avanti per parecchio tempo. La progressione della malattia era durata quindici mesi, nei quali aveva sofferto una serie di patologie debilitanti. Era un ginnasta, ma aveva perso moltissimo peso, e alla fine era diventato cieco. Quando morì, il 4 marzo del 1982, non esisteva ancora una malattia chiamata Aids».
Senza saperlo, Jerry era diventato uno dei primi pazienti vittime della piaga di fine secolo, quell’epidemia ignota e spaventosa che aveva cominciato a colpire soprattutto nella comunità gay. Quando nel 1984 l’Hiv era stato finalmente individuato, Steve era sicuro di averlo preso: il suo compagno era stato ucciso dal virus, e lui non aveva preso alcuna precauzione durante i rapporti sessuali.
Invece niente: gli esami erano risultati stranamente negativi: «C’era sempre - aveva raccontato Crohn alla Pbs - il sospetto che prima o poi la malattia avrebbe trovato il modo di attaccare anche il mio corpo. Non perchè io fossi particolarmente promiscuo, ma perché c’era questa cosa invisibile, che si trasmetteva attraverso il sangue, il contatto umano o vaginale. Tu eri esposto, e c’erano molte persone in giro che non sapevano come aver cura di se stesse».
Invece niente. Il tempo passava, Steve continuava ad avere una vita sessuale attiva, ma non capitava nulla: «Non sapevo perché sopravvivevo. Ricordo che durante una festa di famiglia parlai con qualcuno, che mi disse: perché non ti fai studiare? Quando in una famiglia ci sono bambini che hanno delle malformazioni, in genere i medici guardano ai fratelli sani per capire dove sta la differenza. Allora, però, nessuno stava studiando i pazienti che risultavano sani ai test dell’Aids, per capire cosa li proteggeva rispetto ai malati».
Crohn faceva il pittore e scriveva di viaggi per Fodor’s Travel. Viveva a Saugerties, a nord di New York, a due passi da dove nel 1969 si era tenuto il concerto di Woodstock. Decise di farsi avanti e si fece esaminare dal dottor Bill Paxton, uno degli scienziati dell’Aaron Diamond Aids Research Center di New York, che sotto la guida di David Ho avrebbe poi ideato il cocktail di farmaci con cui oggi si frena la malattia.
Paxton rimase stupito: «Non avevo mai visto una cosa del genere. L’Aids non riusciva ad infettare le cellule CD4 di Steve». L’Hiv invade il corpo attaccando i globuli bianchi. Lo fa legandosi a due ricettori delle cellule CD4, che in sostanza gli aprono la porta. A causa di un raro difetto genetico, però, uno di questi due ricettori, il CCR5, non funzionava bene nel fisico di Crohn.
«Il meccanismo - raccontava Steve - è come una chiave. Il virus si presenta con queste due chiavi, e cerca due toppe per infilarle dentro. Io la seconda toppa non ce l’ho, punto. Quindi non mi attaccherà mai». Il suo difetto genetico, che non aveva alcun impatto negativo sulla sua salute generale, era stato definito come la mutazione delta 32. Si tratta di una condizione che riguarda meno dell’1 per cento della popolazione, ma chi è abbastanza fortunato da averla resta per sempre immune all’Aids.
Quando lo aveva scoperto, Steve si era offerto di aiutare la medicina. Era nipote di Burrill Crohn, il gastroenterologo che aveva scoperto il morbo intestinale che porta il suo nome, e quindi «era nella nostra tradizione famigliare prestarci agli studi».
L’uomo che non poteva prendere l’Aids era diventato così una cavia: il suo compito era vivere in maniera normale, cercare di contrarre l’infezione, non prenderla, e consentire ai medici di capire perché. Paxton, durante un esperimento in vitro, provò anche a bombardare le sue cellule con una quantità di virus migliaia di volte superiore a quella presente in natura, ma non successe nulla.
Steve sopravviveva, mentre i suoi amici morivano. Gli scienziati però erano riusciti a creare una medicina, il Maraviroc, che bloccava il ricettore CCR5, frenando lo sviluppo della malattia in chi veniva infettato. Nel 2006, poi, avevano di fatto curato un paziente a Berlino, facendogli un trapianto con il midollo di un donatore che aveva la mutazione delta 32.
Il 23 agosto scorso, però, l’uomo che ha permesso tutto questo si è tolto la vita, a 66 anni. «Mio fratello ha spiegato al “New York Times” la sorella Amy - ha visto tutti i suoi amici morire intorno a lui, mentre a Steve non succedeva nulla. Ha sofferto una tremenda quantità di senso di colpa. Era un uomo straordinario, ma anche molto normale. Si chiedeva sempre: dovrà esserci una ragione, perché tutto questo sia capitato solo a me».