Francesco Manacorda, La Stampa 18/9/2013, 18 settembre 2013
PER LA HOLDING DEL CAVALIERE I DIVIDENDI SONO A RISCHIO E LA CIR VALUTA NUOVI INVESTIMENTI
«La ferita è così profonda che è ancora difficile capire quanto faccia male». A parlare è uno dei più stretti consulenti aziendali del Cavaliere e anche se la consegna è quella dell’anonimato il messaggio è chiarissimo: quel mezzo miliardo di euro che dalle casse della Fininvest emigra definitivamente nei forzieri della Cir avrà effetti sensibili sulla holding della famiglia Berlusconi. Il primo è già chiaro: anche quest’anno, come già nel 2012, la Fininvest non avrà utili da distribuire ai suoi superazionisti, ossia lo stesso Silvio e i suoi cinque figli. Lo scorso anno i soldi sono arrivati prelevando 93 milioni dalle riserve. Ora chissà.
La «decadenza», insomma, sulla quale da settimane si agita la politica tutta, assume adesso anche una certa dimensione finanziaria. Marina Berlusconi, la primogenita del Cavaliere che di Fininvest è presidente, affida a un comunicato tutta la sua rabbia, mettendo assieme le vicende giudiziarie, i conti del gruppo e la teoria del complotto. «Questa sentenza non è giustizia, è un altro schiaffo alla giustizia - detta Marina - e rappresenta la conferma di un accanimento sempre più evidente». Quello che va in scena è «un autentico esproprio, che senza alcun fondamento colpisce così duramente uno di più importanti gruppi imprenditoriali del Paese». E soprattutto «la magistratura ci impone di finanziare definitivamente proprio il gruppo De Benedetti», ossia l’arcinemico politico da un ventennio.
Se in via Paleocapa, la famiglia Berlusconi deve incassare un colpo che forse non si aspettava così duro, a poche centinaia di metri - via Ciovassino, sede di quella Cir nella quale Carlo De Benedetti non ha più cariche operative, ma conserva il suo ufficio - c’è chi ovviamente festeggia. È proprio lui, l’Ingegnere che da sempre ha incrociato le lame con Berlusconi, salvo tentare qualche anno fa un’alleanza finanziaria subito fallita, che oggi si gode la sua grande giornata. C’è la «soddisfazione» per il fatto che «dopo più di vent’anni viene definitivamente acclarata la gravità dello scippo» subito dalla Cir; c’è la «grande amarezza di essere stato impedito, attraverso la corruzione, di sviluppare quel grande gruppo editoriale che avevo progettato e realizzato»; c’è per l’appunto la rivendicazione di essersi opposto per due decenni a Berlusconi. Un percorso - dice - che «ho compiuto in solitaria». Ma l’Ingegnere ci tiene anche a far sapere che non gioisce per bieche ragioni monetarie: «Questa cifra è destinata alla Cir e non a me, neanche indirettamente, avendo recentemente donato ai miei tre figli il controllo del gruppo».
Nel gioco di specchi tra presente e passato, tra padri che regolano i conti e figli che i conti li devono far quadrare, non è un caso che alla gioia dell’Ingegnere faccia riscontro la prudenza della Cir, oggi presieduta dal suo riservato primogenito Rodolfo. Dalla società nessuna indicazione sul destino di quei 500 milioni circa, che al netto di un 30% di tasse si trasformeranno nella pur rispettabile cifra di 350 milioni. Così corre la fantasia degli azionisti, che ieri hanno fatto fare un balzo di quasi il 7% al titolo. Se già a giugno la Cir aveva in cassa cinquanta milioni di euro, adesso se ne troverà in tutto 400. Che cosa ne farà? Le ipotesi sono molte: in teoria potrebbe di decidere di restituire tutta la somma agli azionisti, portando per inciso un centinaio di milioni ai tre figli dell’Ingegnere, ormai unici soci dell’accomandita di famiglia. Potrebbe lanciarsi in un riacquisto di azioni proprie che tonificherebbe le quotazioni. Oppure potrebbe scegliere di investire in attività che già possiede - esclusa la Sorgenia, promessa fallita dell’energia oggi messa a drastica dieta - o magari tentare nuove acquisizioni... Quel che è sicuro è che davanti al portone di via Ciovassino si allungherà la fila di banche d’affari, desiderose di proporre qualche occasione per investire il tesoretto.
L’amarezza di Fininvest non è mitigata nemmeno dal fatto che paradossalmente, dopo la sentenza qualche soldo tornerà in cassa invece di uscire: quando due anni fa la Corte d’Appello aveva stabilito il risarcimento per il Lodo Mondadori a 564 milioni, la holding dei Berlusconi aveva versato la somma alla controparte, che l’aveva «congelata» in impieghi a basso rischio e basso rendimento, pronta a restituirla se la Cassazione avesse ribaltato il verdetto. Così non è, ma la somma che Fininvest dovrà pagare ammonta comunque a 494 milioni, circa 70 meno di quanto previsto inizialmente. «Avevano già staccato l’assegno - spiega pragmatico Ennio Doris, socio storico del Cavaliere in Mediolanum - e quindi adesso riceveranno indietro una parte della somma». In effetti i settanta milioni, uniti ai 61 milioni di posizione finanziaria netta positiva di fine 2012, porteranno il totale a circa 130 milioni. Fininvest resta un colosso che tra partecipazioni quotate e un enorme patrimonio immobiliare vale almeno quattro miliardi di euro ma dalla sentenza gli verrà qualche grattacapo in più: oltre a quei 494 milioni che finiranno sul conto economico, quest’anno la holding dovrà fare a meno dei dividendi di Mediaset e Mondadori, che non distribuiranno cedole, e nonostante i volenterosi sforzi di Kakà che da infortunato si è sospeso lo stipendio - non potrà certo contare su grandi soddisfazioni finanziarie dal Milan.