Fabrizio Galimberti, Il Sole 24 Ore 16/9/2013, 16 settembre 2013
FED, ROMA, BERLINO: I SETTE GIORNI PIÙ LUNGHI
Sette giorni e (almeno) cinque incognite. La settimana che si apre presenta una congiunzione astrale di eventi pregnanti, interni ed esterni: si comincia domani con il primo giorno della riunione della Fed che deve decidere se e di quanto ridurre quello stimolo monetario che ha fin qui confortato l’economia Usa; mercoledì c’è un primo voto della giunta delle elezioni in Senato sulla permanenza di Silvio Berlusconi in Parlamento; domenica ci sono le elezioni in Germania. E su tutto questo aleggiano due ombre: una geopolitica, la questione siriana; e l’altra economica, i moniti della Bce riguardo all’andamento dei conti pubblici italiani, che rischiano di sforare, con un deficit superiore al 3% del Pil, il limite imposto dall’Europa e accettato dal Governo Letta. Cominciamo da quest’ultimo evento: il possibile sforamento. Un evento che è il più pericoloso nella forma, ma il meno preoccupante nella sostanza. È vero che l’andamento del fabbisogno del settore statale, e anche del fabbisogno della pubblica amministrazione, non sembrano in linea con l’obiettivo, ma molto di questo peggioramento dipende dal pagamento dei debiti della Pa verso le imprese. Un esborso che, secondo il buonsenso e il manuale della contabilità nazionale, non dovrebbe avere ripercussioni sul deficit secondo Maastricht. Queste ripercussioni ci sono perché in Italia le spese di investimento sono conteggiate per cassa e non per competenza, come dovrebbero (e come dice il manuale e come fanno altri Paesi, per esempio la Spagna, che ha pagato i fornitori senza impatto sul deficit). Se, insomma, il disavanzo italiano andasse, diciamo, verso il 3,1 o il 3,2% del Pil, l’Italia avrebbe buon gioco a far valere queste giustificazioni. Più preoccupante è invece la stabilità del Governo, che potrebbe essere messa in forse dalle decisioni della giunta delle elezioni. Già abbiamo pagato questo assurdo braccio di ferro (incomprensibile all’estero, dove si sgranano gli occhi al solo pensiero che un condannato ad anni di prigione possa continuare a sedere in Parlamento) con un allargamento dello spread. I teneri virgulti della ripresa, elencati nell’ultimo rapporto del Centro studi Confindustria, possono avvizzire rapidamente se l’Italia torna nel limbo disperante delle tensioni politiche e se gli investitori esteri, che hanno in mano grosse fette del nostro debito pubblico, gettano la spugna davanti allo spettacolo di un Paese che non sa governarsi. Mercoledì, accanto al voto nella giunta, ci sarà un altro voto, di là dall’oceano: la riunione della Fed deciderà se è venuto il momento di diminuire la dose della medicina monetaria. Il voto è importante per i mercati, che già da settimane guardano ansiosi a questa decisione. E, se è importante per i mercati, è importante per l’Italia, perché in tempi di incertezza i capitali tendono a migrare verso approdi sicuri e ad evitare quei vasi di coccio che potrebbero soffrire più di altri. La politica di comunicazione della Fed, finora ben calibrata, dovrà fare i tempi supplementari per barcamenarsi di fronte a due decisioni apparentemente contraddittorie: le previsioni di crescita per quest’anno e il prossimo saranno probabilmente riviste, sia pur di poco, verso il basso, ciò che non sembra coerente con una misura di restrizione (o, per meglio dire, di minore espansione) monetaria. Sarebbe tuttavia opportuno che tale riduzione dello stimolo, per quanto simbolica (si parla di passare da 85 a 75 miliardi di dollari al mese di acquisti di titoli) vi sia: sarebbe, da parte della Fed, un segnale di fiducia nell’economia. La crescita, per quanto lenta, è solida, e può ben sopportare qualche pillola in meno di supporto monetario. Le elezioni tedesche di domenica porteranno a un allentamento del rigore tedesco, finora accentuato dalla Merkel per rassicurare l’elettorato? Non bisogna farci molto affidamento. I tedeschi usano la stessa parola – Schuld – per significare sia "debito" che "peccato, colpa, mancanza". È inutile sperare che cambino pelle. No, i nostri problemi li dobbiamo risolvere a casa nostra. Sono i mercati e non la Cancelliera ad aspettarci dietro l’angolo.