Tom Kirkwood, TuttoScienze - La Stampa 18/9/2013, 18 settembre 2013
SIAMO PROGRAMMATI PER ESISTERE, NON PER MORIRE
Dal momento in cui il genere umano ha preso coscienza della vita e della morte, è stato naturale chiedersi: perché dobbiamo morire? Durante gran parte della storia umana la morte è stata precoce, a causa d’infezioni, incidenti, fame e altre calamità. Adesso, invece, viviamo in un mondo in cui la vita è diventata così sicura che la maggioranza degli esseri umani muore per un’intrinseca incapacità dell’organismo di sopravvivere o - in altre parole - per gli effetti del processo d’invecchiamento.
La domanda, quindi, ora è diventata: perché dobbiamo invecchiare? Ed è una questione che dev’essere affrontata nel contesto dell’evoluzione biologica.
Capire perché, e come, si evolve l’invecchiamento, infatti, è di grande importanza per studiare i molteplici e complessi meccanismi che influenzano il corso della vita in tarda età. Abbiamo bisogno di decifrare il meccanismo dell’invecchiamento per scoprire i motivi per cui la longevità umana continua a crescere e anche per capire dove questa realtà ci porterà e per migliorare le condizioni di un crescente numero di anziani.
Fino a tempi recenti l’idea dominante era che l’invecchiamento fosse programmato come una necessità biologica. La natura ha bisogno di un modo - si diceva - per sbarazzarsi degli animali vecchi e fare posto alle nuove generazioni. Anche se si tratta di un concetto popolare, la scienza ci dice che è quasi sicuramente sbagliato. Nel mondo naturale è raro che un animale sopravviva fino alla vecchiaia e, quindi, non c’è alcuna necessità di un meccanismo di morte per liberarsi degli esemplari che altrimenti potrebbero restare in circolazione troppo a lungo.
In realtà, sembra che i nostri organismi siano programmati per la sopravvivenza, non per la morte. Ma la sopravvivenza è costosa. Richiede che si investano molte energie per riparare le migliaia di difetti che ogni giorno si presentano nelle nostre cellule e nei nostri organi. Nei tempi ancestrali, quando l’aspettativa di vita era molto più breve, l’evoluzione doveva risolvere un problema piuttosto diverso: quanto dovrebbero investire i geni nella sopravvivenza del singolo individuo piuttosto che nel generare nuove vite? La stessa energia non può essere utilizzata due volte e, quindi, si devono fare delle scelte.
La risposta a questa domanda fondamentale è che per il genoma umano ancestrale aveva senso investire in una manutenzione sufficiente per tenere il corpo in buone condizioni per circa 40 anni, quando c’era una buona probabilità di essere ancora vivi e si potevano generare bambini. Una manutenzione a un livello più alto sarebbe stata inutile: gli incidenti possono uccidere anche un corpo in perfetta forma. E, allora, oggi invecchiamo perché i nostri geni hanno scelto lo specifico percorso evolutivo di investire solo in modo limitato nel mantenimento del corpo individuale, il «soma».
Le implicazioni di questo concetto di corpo «usa e getta» sono importanti. In primo luogo ci dice che invecchiamo in seguito al graduale e costante accumulo di migliaia di piccoli difetti nelle cellule e nei tessuti. In secondo luogo stiamo scoprendo che il processo è più malleabile di quanto eravamo abituati a pensare. Molti fattori, tra cui dieta e stile di vita, hanno un impatto sulla velocità con cui si accumulano nuovi danni. La cattiva alimentazione, o uno stile di vita malsano, causano danni extra ai nostri «sistemi», mentre una dieta e un’esistenza sani lavorano nella direzione opposta. Un terzo aspetto è che l’invecchiamento comincia presto: anche se i segni esteriori dell’età possono non manifestarsi prima dei 40-50 anni, l’accumulo di errori che ci porta verso la vecchiaia inizia ancora prima della nascita. Le radici di un invecchiamento sano stanno non solo nel modo in cui viviamo l’età adulta e la terza età, ma anche nei nostri primi anni. Non è mai troppo tardi per mettere in atto cambiamenti che possono fare la differenza, ma non è mai nemmeno troppo presto.
La scienza non fornirà una cura miracolosa in tempi brevi. Il processo dell’invecchiamento è immensamente complicato e c’è ancora molto da scoprire sui fattori di rischio correlati all’età. Se nella medicina di oggi la maggior parte delle condizioni patologiche che i medici devono affrontare sono quelle in cui l’età è l’elemento più significativo, per ora solo una piccola parte della ricerca è collegata alla biologia del processo dell’invecchiamento. Ma è una realtà che di sicuro cambierà, perché gli scienziati stanno cominciando a capire che il mistero dell’invecchiamento - in passato considerato un tema troppo difficile per un’indagine seria - è diventato finalmente un campo di studio affrontabile.
La buona notizia è che siamo già in grado di spiegare perché s’invecchia: il raddoppio della vita media, che si è verificato nei Paesi ad alto reddito negli ultimi due secoli, è probabilmente il nostro più grande successo. L’obiettivo, ora, è sfruttare al massimo quest’opportunità senza precedenti.
(traduzione di Carla Reschia)