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 2013  settembre 18 Mercoledì calendario

STORIA DA MANUALE, SOLO ERRORI E CENSURE

Da più di un decennio, intermit­tenti polemiche politiche denun­ciano faziosità in molti manuali scolastici di storia; i rimedi proposti (commissioni, verifiche, eccetera) han­no peraltro fatto gridare allo scandalo d’una profilata censura. Il tema, lo ricor­diamo all’inizio dell’anno scolastico, è antico e non è solo italiano. Il mutare di circostanze istituzionali, o politico-ideo­logiche, porta le nuove classi politiche alla riconsiderazione del passato nazio­nale. Si pensi ai nuovi manuali di storia di Stati dell’ex Urss o del blocco sovieti­co, della stessa nuova Federazione russa, a quelli giapponesi che tendono a ridur­re se non pure a celare responsabilità e atrocità belliche, financo a quelli france­si, posti di fronte a direttive ministeriali ostative di critiche al patrio coloniali­smo. E poi perché solo di storia e non, ad esempio, di letteratura o di educazio­ne civica? C’è un vortice di sovversioni concettuali e relative codificazioni scola­stiche nel diritto pubblico tedesco tra Weimar, nazismo, e dopoguerra; mentre nell’Italia fascista il nuovo diritto corpo­rativo affiancò ma non sostituì il ’vec­chio’ diritto costituzionale-statutario. La questione della manualistica scolastica, su cui richiama l’attenzione un volume antologico di Antonio Gioia ( Guerra, Fa­scismo, Resistenza. Avvenimento e dibat­tito storiografico nei manuali di storia, Rubbettino, pp. 388, euro 22), ha dun­que una propria storia con segmenti cronologici sempre utili per polemiche d’ogni provenienza. Per limitarci a que­sto dopoguerra, esponenti del Partito d’Azione avevano iniziato a porre il pro­blema dei nuovi manuali scolastici an­cor prima delle autorità alleate.
Guido De Ruggiero attendeva una «commissione ministeriale» pre­posta all’esclusione dei testi «che manifestano uno spirito partigiano o settario». Negli anni ’50 fu poi la volta di interventi comunisti diretti a denunciare al ministro della Pubblica Istruzione, Gonella, i contenuti di alcuni manuali di storia come quelli del Silva, Rodolico, Li­zier, accusati di sopravvivenze fasciste o nazionaliste. Ma quando nuovi manuali iniziarono a diffondersi, cambiò la dire­zione delle denunce, e testi famosi come quelli di Spini e di Saitta vennero consi­derati pericolosi veicoli di marxismo nelle scuo­le italiane. Il che non impedì nel 1976 alla ca­sa editrice fiorentina La Nuova Italia di censura­re il volume di Saitta, in particolare nel giudizio sulla genesi degli anni di piombo e relative re­sponsabilità politiche.
Ma c’era stato di mezzo appunto il ’68, che ave­va sconvolto la scuola italiana e resa ar­dua e difficile una libertà di analisi stori­ca difforme dall’imposto dogma ideolo­gico (riducendo con ciò la circolazione dei maggiori manuali ’classici’). L’anali­si di Gioia offre documenti utili a consi­derazioni non prive di qualche sorpresa: riservata al solo quinquennio di guerra i­taliana, 1940-45, è incentrata su 32 ma­nuali scolastici editi dopo il decreto Ber­linguer del 1996 che ha concentrato lo studio del solo ’900 nell’ultimo anno di liceo (ma perché non ampliare questa ri­cerca appunto a tutto il secolo, com­prendendo quindi temi altrettanto cru­ciali, riducendo nel testo non le citazioni ma la loro esondazione?). Se, nel merito, può sorprendere che il manuale di Ca­mera e Fabietti, additato tra i più ’sini­stri’, giunto alle ultime edizioni, abbia almeno toccato il tema delle foibe (tra condanna e giustificazionismo), la sor­presa maggiore e più amara sta nella constatazione d’un diffuso modo apro­blematico con cui questioni sensibilissi­me di quel quinquennio (appunto dal­l’intervento in guerra dell’Italia, alla ca­duta del fascismo, Regno del sud e Rsi, eccetera) vengono poste ed esposte con ritualità stancante, non di rado banale e spesso condita da errori, in una narra­zione priva della capacità di coinvolgere emotivamente lo studente. Si va dalla solita pugnalata alle spalle della Francia sconfitta (manuali di Colarizi-Banti, Ma­scilli Migliorini, e altri), all’8 settembre ’43 che non è la data della firma dell’ar­mistizio (Fossati-Luppi-Zanette), ma del suo annuncio e della fuga del re e del go­verno Badoglio da Roma.
Non è corretto in termini giuridi­co- istituzionali parlare di dirette annessioni al Reich di Alto Adi­ge, Friuli, Triveneto (Barbagallo); né che la nascita della Rsi fosse voluta dai tede­schi (De Bernardi-Guarracino, e altri): tutt’altro. Eloquente peraltro il sostan­ziale silenzio della manualistica su uno dei temi di maggior discussione pubbli­ca da oltre un quindicennio: l’8 settem­bre come «morte della patria», suscitato da Galli della Loggia. Ma ad essere as­sente è tutto il rapporto tra lo sviluppo accelerato delle ricerche scientifiche su quelle sensibilissime vicende e la relati­va fruizione scolastica. L’aggiornamento del manuale, denuncia Gioia, è una semplice variazione editoriale. In meri­to, un discorso a parte va fatto per l’«ere­dità » storiografica defeliciana che ha do­cumentato e riletto fuori da schemi pre­concetti il quinquennio 1940-45, dalle vere cause dell’intervento in guerra del­­l’Italia, ai tentativi di pace separata con l’Urss, ai retroscena del 25 luglio, alla realtà numerica della Resistenza; sostan­zialmente assente nella manualistica scolastica, appare pre­sente nei suoi punti salienti più nel ma­nuale di De Rosa (che aveva fra l’altro diverse radici metodologiche e politiche) che non di autori, come la Colari­zi o Sabbatucci, pur di maggior vicinanza cul­turale allo storico del fascismo. Ma è un fat­to che ci si trovi ormai di fronte alla destoricizzazione della cul­tura soppiantata dalla ’civiltà’ mediati­co- spettacolare che ha fatto perdere alla storia, anche alla storia contemporanea, ogni appeal presso gli studenti; disinte­ressati, non portati a leggere il legame tra storia e storiografia, né dunque la proiezione politica della ricostruzione storica. Alle polemiche sulla manualisti­ca faziosa che non hanno quindi colto l’ormai ridotta capacità del manuale co­me fonte di indottrinamento, andrebbe aggiunta una verifica su quanto quella lamentata faziosità, con la ricomposizio­ne dei grandi gruppi editoriali, abbia de­terminato una rinuncia di progetti cul­turali alternativi; perpetuando però la­mentele e proteste.