Giovanna Schiaccitano, Avvenire 18/9/2013, 18 settembre 2013
BOOM DI BADANTI: +53% IN CINQUE ANNI
La crisi? Spinge il welfare “fai da te”. Risultato: un boom del numero di badanti e di collaboratori domestici negli ultimi anni, cui ha contribuito l’aggravarsi delle condizioni di vita degli anziani con più di 65 anni (vale a dire oltre 12 milioni di persone, il 20,8% della popolazione). È quanto rileva Confartigianato nel rapporto che fotografa gli effetti della recessione e le risposte dei nostri connazionali e che verrà presentato al ’Festival della Persona’ organizzato dalla Confederazione a Verona per domani e dopo. Secondo Confartigianato, infatti, nel 2011 sono complessivamente 881.702 tra badanti e collaboratori domestici e negli ultimi cinque anni sono aumentati di 257.456 unità, con una crescita del 53,7%.
In prevalenza donne, non giovanissime, molto motivate, mandano i risparmi a casa, si occupano soprattutto degli anziani, hanno un alto livello di istruzione, ma non sono ancora consapevoli della necessità di una formazione specifica. Ecco il profilo che ne emerge dall’’Indagine sull’assistenza familiare in Italia: il contributo degli immigrati’, presentata invece ieri a Milano da Agenzia Tu Unicredit, rete di filiali per i cittadini stranieri e lavoratori atipici e Unicredit Foundation, che l’hanno ideata, e realizzata dal Centro Studi e Ricerche Idos. «Obiettivo dell’iniziativa è cercare di capire quale sia il modo migliore per inserire queste persone nel nostro sistema di servizi assistenziali», ha sottolineato Maurizio Carrara, presidente di Unicredit Foundation. Perché se è vero che gli immigrati rappresentano risorse che in prospettiva aiuteranno sempre di più le famiglie e che già oggi fa risparmiare allo Stato 45 miliardi, vero è anche che questi ultimi vanno formati.
Secondo lo studio milanese, i lavoratori stranieri in Italia che si occupano di assistenza familiare vengono soprattutto da Romania, Ucraina, Moldova, Filippine, Ecuador, Sri Lanka e Perù. La maggior parte è sposata (il 47,2% ), il 10,9% vedovo, il 17,7% separato o divorziato. Circa tre quarti ha figli (73,4%). Quasi la metà (48,3%) non pensa al ricongiungimento con loro, probabilmente per le caratteristiche dell’attività. Il livello di istruzione è alto: il 26,7% ha un diploma e il 18% ha frequentato l’università. «Non sentono l’esigenza di formarsi – commenta Franco Pittau, presidente del Centro Idos –. Forse è l’unico difetto evidenziato in un lavoro che comunque viene svolto con piacere (’molto o moltissimo’ nel 37,2% dei casi, ’abbastanza’ nel 47,7%)». Il 24 ,7% ha avuto una formazione specifica, per oltre la metà nel Paese di origine e solo il 36%, ne avverte la necessità. Valeriano Canepari, presidente nazionale Caf Cisl, ha sottolineato come nel campo della formazione non ci sia niente di strutturato, se si eccettua la sperimentazione dei voucher nel Sud: «Si potrebbe utilizzare anche in questo senso il contributo della Cassacolf e aiutare famiglie e lavoratori con le detrazioni fiscali».