Fabio Isman, Il Messaggero 18/9/2013, 18 settembre 2013
PISTOLETTO: «LA MIA ARTE PER L’UMANITA’»
Il premio Nobel o l’Oscar per la pittura va a Michelangelo Pistoletto, riconosciuto maestro italiano dell’Arte povera (e non solo), 80 anni; quello per i giovani artisti, alla romanissima JuniOrchestra dell’Accademia di Santa Cecilia: il “Praemium imperiale” giapponese è giunto alla 25ma edizione, regala a cinque nomi famosi (pittura, scultura, architettura, teatro e cinema, e musica) circa 150 mila euro, e ai giovani, dal 1997, una ricca borsa di studio.
Maestro Pistoletto, è il riconoscimento più importante mai ricevuto? E che cosa ne farà?
«Di maggiori non ce ne sono. Lo userò per gli scopi della Cittadellarte di Biella, la Fondazione che ho creato, dove lavorano 35 persone in modo stabile più tante altre che vanno e vengono, e dove si sta per inaugurare una rassegna. L’intento è di creare un’arte che sia al centro di una trasformazione sociale responsabile».
Beh, porre l’arte al centro della società, in Italia non è un’utopia?
«Spesso, gli sforzi non hanno una risposta immediata. Però, una società matura deve saper creare nuove forme estetiche ed etiche. Nell’arte, qualcuno apre le porte; e poi, altri arrivano».
Qualche esempio di chi ha aperto le porte?
«Picasso, Mondrian, Fontana. Nel campo del sociale, Joseph Beuys: per un certo periodo, è stato un “unicum”».
Lei è appena tornato da Parigi; e Roma ha ospitato e a lungo, davanti al Colosseo, la sua famosa “Venere degli stracci”.
«Ho smontato la mia mostra: sono stato il primo artista vivente ad esporre al Louvre. E per Roma, la “Venere” era stata ingrandita, perché non si perdesse nella cornice del tempio di Venere e Roma; secondo me, ci stava benissimo».
Se lei possedesse una bacchetta magica, che farebbe?
«Non viviamo umanamente; vorrei poter convincere chi di dovere a creare una civiltà umana».
Ha creato il simbolo del Terzo Paradiso: ma che cosa è?
«Parte dal segno dell’infinito, che però sfugge verso l’aldilà. Io gli ho aggiunto un terzo cerchio: che è quello dell’esistenza; per creare noi il nostro Paradiso. Non è un segno commerciale: lo offro alla società, è per chi voglia aderire al mio programma di un’arte sociale e responsabile. Come nel Rinascimento, la prospettiva è il mondo, e non è l’artista».
Poi, ricorda quanto ha già detto ad Alain Elkann nel libro La voce di Pistoletto (Bompiani): che ha iniziato con gli Autoritratti, «attraverso loro cercavo la mia identità», ma dal 1961, vi ha aggiunto gli specchi per comprendere la sua identità nel mondo; dice: «Mai letto libri e continuo a non leggerli».
Ricorda che ha iniziato restaurando dipinti antichi con suo padre; ha lavorato con le maggiori gallerie del mondo (Castelli, Sonnabend), ma non ha osato andare negli Usa, come Leo Castelli voleva; era amico di Burri: e uno dei pochi. L’Avvocato, inteso come Agnelli, ha comprato parecchio di lui, anche ai tempi in cui la sua arte non era ancora capita del tutto; «Non credo in Dio, ma penso».
Pistoletto e la moglie, come sempre, sono tutti vestiti di nero; lui ha un cappello di paglia. All’Istituto di Cultura giapponese, elegantissimo, non dimostra la sua età e sembra un giovane pieno di idee e speranze: parla spesso dell’ex Lanificio di Biella, città dove vive, in cui ha creato il suo vulcanico laboratorio concettuale.
Accanto a lui, Lamberto Dini, responsabile italiano del Premio, e Hisashi Hieda, che presiede la Japan Art Association, mentore del riconoscimento.
E Bruno Cagli, presidente-sovrintendente di Santa Cecilia che riceve (40 mila euro) quello per la JuniOrchestra. Racconta: «L’ho fondata nel 2006, per creare i musicisti di domani; hanno dai 12 ai 19 anni, ma i corsi iniziano già a 4. Con il coro di voci bianche, raccolgono 550 persone: è anche un fatto sociale». Hanno già suonato perfino due volte in Parlamento e molto spesso in varie rassegne.
Il budget è di 750 mila euro, finanziati con i biglietti, i concerti, e anche una lotteria. La borsa di studio del Praemium farà loro sicuramente un immenso piacere. Alla proclamazione, in simultanea in tutto il mondo, hanno regalato, in nove, un po’ della loro arte.
Fabio Isman