Carlo Mercuri, Il Messaggero 18/9/2013, 18 settembre 2013
COSI’ LA NAVE-RELITTO DIVENTA BUSINESS
Piombino, poi Civitavecchia, Palermo, finanche Porto Torres: ora quasi tutti i porti italiani si contendono le spoglie della Concordia. Per il suo smantellamento infatti c’è in ballo un affare milionario. Eppure ben difficilmente un porto italiano riuscirà ad aggiudicarsi l’opera. In Italia, infatti, questo tipo di lavoro non si fa più da parecchio tempo. Si faceva una volta in alcuni cantieri liguri e siciliani ma sono anni che l’attività è morta. E le capacità del personale specializzato non si ricreano dall’oggi al domani. In genere si tratta di operare in grandi cantieri, con gru e ponteggi in quota. E’ un lavoro che comporta una certa dose di rischio, ecco perché non si può improvvisare. La normativa è molto rigida, almeno nei cantieri dei grandi Paesi occidentali. Lo smaltimento dei grandi rifiuti va differenziato, acciaio con acciaio, vetro con vetro. Un lavoro di anni.
Chi vuole fare il recupero?
La gara a rottamare la Concordia è già lanciata. In ballo c’è un business di svariati milioni e la possibilità di dare lavoro per almeno due anni a 300 persone. Si sono fatti avanti i porti di Piombino, Civitavecchia, Palermo, Porto Torres, Napoli e Genova. Piombino è il primo pretendente, forte di un finanziamento di 150 milioni per il potenziamento delle infrastrutture, che sarà finito giusto per la primavera prossima, quando la Concordia potrà essere allontanata dal Giglio. Inoltre Piombino potrebbe mettere sul tavolo il suo know-how sulla gestione dell’acciaio e quindi vantare una filiera corta per la rottamazione.
I nostri porti sono deguati?
I porti italiani non hanno aree attrezzate per lo smaltimento di una nave di 114.000 tonnellate di stazza. Per un’operazione di questo genere serve un cantiere gigantesco, con tanto di gru e alti ponteggi. Poi ci vuole manodopera specializzata, poiché la demolizione non s’improvvisa. E nei nostri cantieri sono anni che non si fa più questo tipo di attività. Anni fa alcuni cantieri in Liguria avevano maestranze adatte alla bisogna. E’ quindi molto probabile che una supernave-rimorchio (la coreana Vanguard?) giunga al Giglio, agganci la Concordia e la traini in qualche porto che deciderà l’armatore. E quasi sicuramente non sarà un porto italiano.
La nave sarà fatta a pezzi?
La Costa Concordia verrà smembrata, pezzo per pezzo, e rottamata. Rigide norme prescrivono lo smaltimento dei rifiuti secondo logiche di differenziazione. L’acciaio, i vetri, i legni, la plastica, le moquette: tutto andrà prima selezionato, accorpato, e infine inviato allo smaltimento categoria per categoria. Ovviamente, prima di essere passata alla rottamazione, la Concordia dovrà essere opportunamente imbragata e trainata per mare nel porto che l’armatore sceglierà. Per questa operazione si fa il nome della coreana Vanguard, una nave capace di sollevare 110 mila tonnellate e di viaggiare nei mari alla velocità di 14 nodi.
Chi decide sulla rottamazione?
La decisione sull’ultimo porto di approdo del relitto spetta a Costa: ma si tratta di una decisione che la compagnia potrà prendere entro alcuni paletti. Il primo è la qualificazione della nave come rifiuto e ciò chiama in causa il Ministero dell’Ambiente e la Regione Toscana. L’altro è rappresentato dalle norme Ue che prevedono che lo smaltimento avvenga nel porto più vicino e adeguato. Se sul porto più vicino è facile fare i conti, è invece sul concetto di adeguatezza che le diverse candidature dovranno misurarsi. La decisione finale, comunque, la prenderà la società Costa d’intesa con il pool delle società assicuratrici.
Quanto costa l’operazione?
Fino a questo momento il recupero della Concordia è costato «600 milioni di euro, ma l’importo aumenterà ancora», come ha detto l’amministratore delegato di Costa, Michael Thamm. L’importo finale delle operazioni di recupero è difficilmente quantificabile. Il porto di destinazione è una variabile fondamentale: sarà un porto italiano, e dunque vicino o un porto straniero, quindi lontano? In ogni caso, ha sottolineato lo stesso Thamm, una parte delle spese sarà coperta dalle assicurazioni. Infine, ha aggiunto: «Non ci preoccupa tanto l’aspetto finanziario quanto il ripristino dell’ambiente. Il nostro impegno è di riportare l’isola come prima».
Quale impatto sull’ambiente?
L’ultima fase del progetto prevede il ripristino dei luoghi del cantiere sull’Isola del Giglio. Verranno rimossi il falso fondale, le piattaforme, i pali dove sono ancorate le funi di tiraggio e riposizionate la flora e la fauna marina che c’erano prima dell’incidente. Per 5 anni l’ecosistema verrà infine monitorato. Si temeva che dal relitto uscissero 80 mila metri cubi di liquidi, invece le analisi dell’acqua al momento rientrano nei parametri. «L’intervento ha quasi azzerato l’impatto sul contesto ambientale - ha detto il ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando - La qualità delle acque è rimasta immutata».