Stefania Viti, D, la Rpubblica 14/9/2013, 14 settembre 2013
TOKYO GAME
Sulla Dogenzaka di Shibuya, il distretto dei divertimenti nel cuore pulsante di Tokyo, i game center chiudono soltanto a notte fonda. Quelli più grandi e famosi si affacciano sulla strada, altri si trovano dentro anonimi edifici che potrebbero contenere uffici o negozi. In Giappone, baluardo di una “game culture” che non ha eguali nel mondo, le giovani coppie si danno appuntamento anche qui, in questa sorta di luna park metropolitani dove l’affezione per l’altro sale col livello del gioco che si riesce a conquistare.
D’altra parte a Tokyo esistono le “arcade” del divertimento più scintillanti del mondo. Ogni anno i grandi giornali stilano le classifiche aggiornate dei migliori locali in cui andare a giocare. Anche in questo la capitale del Giappone è un’eccezione. In occidente, dopo un ventennio di popolarità, i game center sono stati spazzati via alla fine dei Novanta dalla nascita delle console. Nel Sol Levante, pure all’avanguardia dell’elettronica applicata al gioco, vecchio e nuovo continuano a resistere e prosperare. E le lucine colorate e intermittenti, cornice tipica dei locali, servono ancora a illuminare un’unica grande fantasia: giochi di tutti i tipi, da quelli semplici coi bracci meccanici, ai più sofisticati videogiochi, ai giochi di gruppo.
In Giappone il gioco non è un affare da ragazzi. Basta pensare alla storia del pachinko, il tipico gioco d’azzardo che consiste nell’inserire palline metalliche in una macchinetta automatica, per vincere un jack-pot se si ferma nel posto giusto. Nonostante il mercato abbia prodotto gli aggeggi più sofisticati, il pachinko resiste da oltre settant’anni. È sempre più o meno lo stesso, eppure persino nella piazzetta davanti alla stazione del più piccolo paesino di provincia del Giappone, il pachinko con il suo rumore assordante e le sue luci colorate continua a consolare la casalinga così come il nonno o lo studente universitario.
S’interrogò sul misterioso fascino che questo gioco esercita sui giapponesi già Fosco Maraini, che per trovare una spiegazione, nelle sue Ore Giapponesi andò a scomodare persino Buddha: «È difficile capire il fascino del pachinko” scriveva. «Non c’è dubbio che esso costituisca una fuga dalla realtà, una droga; ma solo un popolo fondamentalmente buddhista poteva accertare con gioia proprio questo specialissimo tipo di fuga».
Una fuga che il Giappone ha continuato a declinare con molti altri mezzi. Manga e anime la realtà hanno addirittura provato a ridisegnarla, attraverso le narrazioni del post-apocalittico e dei mecha (le storie che hanno robot come eroi). I Manga disegnati da Go Nagai, Otomo, Tomino e Sadamoto, non sono certo nati come “games” ma lo sono poi diventati, grazie a quello straordinario sistema che sa mescolare pop culture, tecnologia e mercato e che con la sua forza dirompente ha contagiato anche le culture occidentali, il “media mix”.
Il fiorente mercato giapponese del settore ha qui le sue radici. E i grandi sviluppatori internazionali dei videogiochi non potevano che nascere in Giappone, dove la tecnologia e la scienza sono stati vissuti per generazioni come una speranza. L’unica via praticabile per un mondo migliore. L’argomento solo apparentemente ludico dei games, reali e virtuali, s’intreccia inevitabilmente con la Storia. Se Jean-Marie Bouissou, nel suo bellissimo libro “II Manga”, ricorda che «la bomba atomica ha fatto scoprire ai giapponesi la potenza irresistibile della scienza, contro la quale nulla può», anche il pachinko venne inventato, alla fine della seconda guerra mondiale, mentre il popolo nipponico, esaurito dal confronto bellico e dai bombardamenti, doveva cedere per la prima volta nella sua storia a un occupante straniero e rinunciare a tutto. Fu allora che la macchinetta d’acciaio dal rumore assordante sembrò forse realizzare la sintesi perfetta tra «Buddhismo e industria! Il passato e il futuro!», come scriveva ancora Maraini.
Il futuro oggi si chiama sempre più spesso PS4 e Xbox One, che insieme ai giochi di nuova generazione saranno i protagonisti più attesi del Tokyo Game Show, (oTGS, come viene comunemente chiamata la più grande fiera di videogiochi del mondo), che aprirà i battenti il prossimo 19 settembre nella grande area espositiva di Makuhari Messe a Chiba, periferia a est di Tokyo.
Nel 2012 si sono superate le 220mila presenze e l’edizione di quest’anno non sarà da meno: l’area espositiva è stata ampliata, saranno inaugurati otto nuovi corner, parteciperanno all’evento 341 espositori di cui 153 esteri. Nonostante esistano altre grandi fiere internazionali di videogiochi come Gamescom a Colonia, in Germania e E3 a Los Angeles, il TGS per molte delle grandi aziende è la vetrina migliore per presentare le novità. È la ragione degli arrivi di massa degli appassionati per provarle in anteprima: solo da Taiwan, dicono gli organizzatori «siamo già a l00mila prenotazioni».
Sarà anche il posto giusto per misurare il livello di integrazione raggiunto da vecchi e nuovi modi di giocare, e dai generi – manga, anime, cinema, musica, letteratura – mixati e compressi nel pervasivo universo del “game”. «Games: Limitless Evolution», evoluzione senza limiti, come recita la locandina: il tema dell’anno non poteva che essere questo.