Paola Piacenza, IoDonna 14/9/2013, 14 settembre 2013
QUEI POMERIGI CON BETTE DAVIS
LE VACANZE ERANO A CASA DEI NONNI. Una casa piena di vecchi vhs di film americani. I miei pomeriggi, da bambina, li passavo così». La cinefilia di Ginevra Elkann, nipote di Gianni Agnelli, sorella di John e Lapo, l’unica a non curarsi degli affari di famiglia («Non ho nemmeno la patente!»), nasce dunque tra un film di Bette Davis, Viale del tramonto e Donne, durante i quieti pomeriggi estivi. Precoce “movie buff”, divoratrice di film, come lei stessa si definisce, e oggi produttrice, ha appena inaugurato, alla settimana delle critica veneziana, l’inevitabile percorso dei festival per White Shadow, la pellicola diretta da Noaz Deshe e prodotta dalla sua Asmara Films. White Shadow, che si è aggiudicato il Leone del Futuro - Premio Venezia Opera Prima ’’Luigi De Laurentiis’’, racconta di una tragedia solo apparentemente locale. «Gli albini in Tanzania non muoiono, svaniscono» spiega Noaz Deshe che a Dar Es Salaam, la maggiore città del Paese, si trovava per insegnare cinema, quando è venuto a conoscenza del destino degli albini, uccisi e fatti a pezzi perché la superstizione vuole che le loro parti del corpo portino fortuna, braccati come il giovane protagonista del film che, dopo l’assassinio del padre, lascia la campagna per la grande città dove spera di riuscire a sottrarsi alla caccia.
MOLTE, E TUTTE ATROCI, le minacce. Stregoni che diffondono la cultura medievale del sacrificio umano, bracconieri disposti a tutto, ma anche la diffidenza e il disprezzo della gente comune: la vita dei 150 mila albini della Tanzania è «come quella di chi ha una taglia che pende sulla propria testa» spiega il regista.
«Quando Noaz mi ha mandato la sceneggiatura di White Shadow non abbiamo dovuto pensarci a lungo» racconta Elkann. «La sua era una doppia urgenza, raccontare una tragedia quasi completamente ignorata e farlo subito, senza aspettare che le grosse macchine produttive si mettessero in moto. La troupe sarebbe stata costituita dai suoi studenti, l’attrezzatura doveva essere leggera, per passare il più possibile inosservati». Nata a Londra nel ’79, dove è tornata a studiare e poi per uno stage alla Miramax che, insieme all’esperienza del set (è stata assistente alla regia per L’assedio di Bernardo Bertolucci), le ha dischiuso «il mistero del funzionamento della macchina del cinema», alla regia per il momento Ginevra Elkann non pensa. «Un mio compagno di scuola aveva scritto un film, aveva bisogno di un produttore e io sono subentrata. Mi è piaciuto e ho continuato a farlo, poi ho avuto due figli. Fare la regista è impegnativo...». Oltre all’Asmara, due anni dopo ha creato, insieme a Francesco Melzi d’Eril, un’altra compagnia di produzione e distribuzione, la Good Films che, dopo aver azzeccato il Leone d’oro l’anno scorso (Pietà di Kim Ki-duk), si è appena accaparrata uno dei film più interessanti visti quest’anno al Lido, Locke, di Steven Knight, uno straordinario one man show interpretato da Tom Hardy. «Tutti progetti importanti, secondo la nostra visione del cinema. Poi certo, ce ne sono alcuni che si impongono con forza. Non avevo mai sentito parlare della tragedia degli albini in Tanzania. Mi sono detta che la storia andava raccontata» spiega Elkann. «Quando poi ho raggiunto lì la troupe durante le riprese ne ho avuto la conferma. La Tanzania è di una bellezza incredibile. Una natura meravigliosa e un orrore tanto straziante! A Dar Es Salaam ci sono molti albini. Trovano rifugio in città perché nelle campagne sono esposti a maggiori rischi: lì la superstizione è più forte».
UN FILM CON PROTAGONISTI i bambini: erano contenti di raccontare un dramma simile a quello che vivono ogni giorno o ne erano spaventati? «Credo che, sia durante le riprese sia nel tono del film, siamo riusciti a introdurre un po’ di leggerezza» spiega. «Il protagonista è un ragazzo un po’ tenero un po’ gradasso che tra mille difficoltà finisce per innamorarsi di una non albina». Tra i produttori del film c’è anche Ryan Gosling. Aiuta avere il divo dietro le quinte? «Speriamo» sospira. «L’Italia è un mercato difficile per film come questo. Si può tentare una piccola distribuzione, per un pubblico mirato, con sottotitoli». Non che la cosa la spaventi: tra i prossimi progetti c’è anche quello di un regista iraniano cresciuto in inghilterra, Babak Jalali, di cui aveva prodotto l’opera precedente, Frontier Blues, girata in Iran: «Questo nuovo film si intitola Land e si svolge in una riserva indiana al confine tra Sud Dakota e Nebraska. È un film sulle condizioni di vita dei nativi americani che, nella nazione più ricca del mondo, vivono come nei paesi in via di sviluppo. Analfabetismo, alcolismo e disoccupazione lì hanno tassi che si riscontrano solo in Africa. Mentre i bianchi si arricchiscono vendendo loro l’alcol che li porta alla rovina».