Interventi&Repliche, Corriere della Sera 17/09/2013, 17 settembre 2013
LA LEGGE SEVERINO
Quando, nello svolgimento di un’attività commerciale avente ad oggetto la vendita al minuto di prodotti surgelati destinati all’’alimentazione umana, si effettui la sostituzione dell’etichetta originaria indicante la data di scadenza già superata, del prodotto con altra recante data diversa e successiva, si realizza — dispone con formula tralatizia la giurisprudenza — il delitto di truffa e non quello di frode in commercio, allorchè proprio l’etichetta abbia motivato il consumatore all’acquisto. Al giurista e, più in generale, a colui che è aduso masticare, bene o male, di diritto, la massima giurisprudenziale richiama le polemiche che, non manca giorno, impegnano la discussione pubblica in merito alla applicabilità o meno della legge Severino al caso del parlamentare condannato ad una pena-superiore a due anni di reclusione- che la citata legge indica come condizione per la decadenza dalla carica parlamentare. La legge non è etichettata come disposizione sanzionatoria.
Etichettate sono invece le disposizioni presenti nel codice penale che prevedono, quale pena accessoria, l’interdizione, tra l’altro, dalla cariche elettive, diversamente modulata a seconda della tipologia e della gravità dei reati commessi. All’interdizione, che deve essere dichiarata, e solo, dal giudice penale nel contesto del procedimento suo proprio conseguirà per il condannato la condizione soggettiva, proprio quella indicata dalla Legge Severino, di ineleggibile. Ora da una buona parte dei parlamentari e della gente comune, in difetto di una etichettatura che ne rappresenti il contenuto, la legge Severino viene ricondotta a manifestazione, di certo lodevole, di una volontà del Parlamento attuativa del dettato costituzionale —art. 51 comma 1 Cost. — per il quale la legge ordinaria stabilisce i requisiti per l’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive. Da qui i proclami che ribadiscono che la legge è eguale per tutti, che è doveroso il rispetto del principio di legalità, ancora che occorre preservare lo Stato di diritto, esternazioni che commuovono, e non potrebbe non esserlo, il grande pubblico. Ma, al di là delle formule, il problema non è di così semplice soluzione. La Costituzione antepone alla trattazione dei rapporti politici quella dei rapporti civili, quella cioè che tratta delle garanzie della persona su cui si fonda lo stato liberale -democratico. E una delle garanzie della persona attiene alla tutela della sua libertà e dei suoi diritti fondamentali, quali il diritto di elettorato passivo, che non possono essere indiscriminatamente soppressi nemmeno da una legge, come indica la letteratura scientifica, che abbia un qualsiasi contenuto, tanto meno dalle norme che prevedono la soppressione di quei diritti in seguito alla commissione di reati. In questo caso è proprio il rispetto del principio di legalità costituzionale che preclude la retroattività della sanzione collegata direttamente alla commissione del reato, legalità costituzionale scolpita dall’art. 25 comma 2 Cost. per il quale la sanzione non può applicarsi se essa consegue a fatti di reato commessi anteriormente alla sua entrata in vigore. Ora la Costituzione impone alla legge il rispetto di sé. Tant’è che la legge vive di vita propria una volta promulgata, inserendosi nell’ordinamento costituzionale e comunitario che le conferisce il più vero significato, staccandosi dalle e quindi al di là, e al limite, contro le intenzioni di coloro che l’hanno deliberata, a pena di stravolgere le regole che fondano lo Stato di diritto che è stato l’impegno forte dei nostri Costituenti al fine di garantire una comune pacifica condivisione dei principi fondanti la nostra Repubblica.
Enzo Jannelli, Roma
magistrato