Marco Gasperetti, Corriere della Sera 17/09/2013, 17 settembre 2013
«COSI’ INTERPRETIAMO IL CANTO DEL RELITTO». I TREDICI ESPERTI VENUTI DAL MONDO —
Davanti ai computer e con la prua della Concordia che come un quadro incongruo si allunga sulle finestre del container, i Tredici sono pronti a far partire l’operazione Concordia. Pochi istanti d’intesa poi è il Master, il comandante Nick Sloane, a dare il segnale. Sono le 9 e 2 minuti e il «Roc», la sala di controllo, si accende come un albero di Natale dopo tre ore di ritardo per una tempesta di fulmini che ha bloccato i test e ha costretto tecnici e ingegneri a scendere a terra. Adesso lavoreranno tutta la notte e forse solo all’alba la rotazione sarà completata.
Schermi a cristalli liquidi iniziano a mostrare danze strampalate di grafici, strani messaggi in linguaggio macchina, stringhe e sequenze di numeri. E questo caleidoscopio incomprensibile per i non iniziati ha anche una colonna sonora postmoderna: suoni e rumori di fondo che uno degli ingegneri analizza come un direttore d’orchestra. È il canto triste del relitto della Concordia, registrato da cinque microfoni ad altissima risoluzione installati sul ponte più alto della nave: stridori, tremori, cigolii, dai quali uno dei tecnici riesce a ricavare un linguaggio e sapere, per esempio, se la trazione dei cavi d’acciaio (che nel Roc continuano a chiamare corde) deve essere incrementata, diminuita o bloccata alcuni minuti per il giusto assestamento.
«Roc» è l’acronimo di Remote operating container, la sala dei bottoni del grande riassetto verticale, dove da ieri i tredici ingegneri (dodici uomini e una donna) si sono chiusi come in un convento per far diventare realtà un sogno tecnologico. Le loro preghiere laiche sono i gesti sicuri, quella calma unita alla giusta tensione, che aiuta a scegliere e a decidere, anche nei momenti più complicati non senza un pizzico di autoironia. Quando, prima del via all’operazione e della «blindatura» del Roc, il responsabile del progetto per Costa, Franco Porcellacchia, 60 anni, li ha salutati, c’è scappata anche una battuta perché qualcuno si è accorto di un piccolo corno infilato nella cravatta dell’ingegnere navale genovese. Porcellacchia non si è chiuso nel container piazzato su una piattaforma davanti alla prua del relitto. È uno degli uomini «dai piedi per terra», quelli che coordinano le operazioni da una seconda sala di comandi sul porto del Giglio e affronta i 400 giornalisti nelle conferenze stampa. Come Sergio Girotto, ingegnere di Micoperi (la società che ha vinto l’appalto) e ha organizzato l’operazione marina del progetto.
Nel «Roc» ci sono solo schermi, diagrammi di flusso, input e output. E naturalmente c’è lui, il «boss» Sloane, il senior salvage master. Ai suoi «ragazzi» ha già fatto una promessa: dopo che tutti avranno sollevato per bene quel relitto si prenderà due anni sabbatici e andrà a fare il giro del mondo con la famiglia. Se c’è qualcuno che si aggrega è il benvenuto. Prima però c’è la rotazione, lentissima. Che Mario Scaglioni, ingegnere navale, sta seguendo secondo dopo secondo. Lui è una delle «menti» dei cassoni laterali fondamentali per il riassetto verticale della nave che si riempiranno quando la rotazione arriverà a 20 gradi. Così, quando il computer gli comunica gradi 10, lui inizia a riepilogare tutti i calcoli, le proiezioni. E poco importa se ci sarà un’altra notte insonne.
Tullio Balestra, 63 anni, ingegnere con natali nella lombarda Val Chiavenna, considerato tra i migliori progettisti al mondo di piattaforme subacquee, si prepara al suo momento. Uno degli ultimi, ma fondamentale: il posizionamento del relitto sul fondale artificiale. Inken Fruehling, 29 anni, ingegnere navale di Amburgo sorride. Anche lei lavora a costruire «il letto del gigante». È l’unica donna nel «Roc» ed è orgogliosa di esserlo. Guarda il computer e poi la «cintola» della Concordia, quella parte corrosa che affiora lentamente dal mare durante l’operazione. All’alba, a scafo dritto, si sarà trasformata in una veste.
Marco Gasperetti