Bernardo Valli, La Repubblica 17/9/2013, 17 settembre 2013
ANGELA DI FERRO
È difficile ripudiare la mamma, e quindi i tedeschi si guarderanno bene dal licenziare domenica prossima Angela Merkel, designata spesso come tale: la “mutti”. La folta tribù dei biografi sostiene che la cancelliera riflette l’idea che molti suoi concittadini hanno di se stessi. E questi tedeschi si vedono ombrosi, frugali, impacciati e non troppo raffinati sia pure in una versione simpatica. Per questo si riconoscono nell’immagine pubblica di Angela Merkel, dove non si nota la minima traccia di presunzione, nonostante il cospicuo potere che è chiamata ad esercitare. Così si mostra la cancelliera e così ama vedersi la Germania: riluttanti entrambi a usare l’egemonia di cui dispongono e che di fatto si manifesta anche se non viene esibita.
È il caso di una società, e di chi la rappresenta, da sottoporre a uno psicologo, o a uno psicanalista, piuttosto che a un politologo. Certo, la storia conta. Pesa e influenza i comportamenti.
Laureata in fisica e a lungo ricercatrice nei laboratori di chimica, e ormai da decenni capace di sbaragliare schiere di politici incalliti, Angela Merkel si offre come un esempio di donna pratica, avvolta in un’aureola di candore. Un personaggio esitante, pensoso, che unisce pollici e indici delle due mani quando riflette davanti al paese che attende decisioni forse mai esplicitate. Quel gesto, raffigurato nei manifesti elettorali, è diventato un simbolo della riflessione. Il dubbio, l’incertezza risultano più rassicuranti della marziale sicurezza della Germania di un tempo. È lei che prepara le patate bollite al marito scienziato e che va a fare la spesa appena si libera della cancelleria, del Bundestag, di Putin, di Obama e dei tanti problemi d’Europa e del mondo. Tanta semplicità sembra il frutto di un accurato studio. Ma può anche non esserlo.
Con lei avremo ancora a che fare nei prossimi anni, durante tutto il mandato che domenica prossima i tedeschi le rinnoveranno. Ma la conosciamo e non dovremmo avere sorprese. Lei del resto non ce ne ha mai fatte. La sua espressione volutamente disincantata non nasconde segreti. Il suo segreto è di non averne. Di non avere un’ideologia precisa, settaria, cui rispondere. Sceglie quel che le sembra utile. Non importa la fonte. Nei due mandati alle sue spalle ha soprattutto gestito le riforme fatte una decina d’anni fa dal suo predecessore socialdemocratico, Gerhard Schroeder, che liberalizzò il mercato del lavoro. Quel che ci ha proposto o imposto Angela Merkel è un’Europa conservatrice, impegnata nella difesa della stabilità: dunque un’Europa a immagine della Germania già esistente.
Non c’è voto più europeo di quello tedesco. Non perché si sia parlato molto d’Europa durante la campagna elettorale. Ad eccezione del costo dell’aiuto alla Grecia, non se ne è quasi fatto cenno. Come se nella società politica tedesca fosse un tabù. Se si sfoglia il programma dell’Spd ci si accorge che all’argomento sono dedicate quattro pagine. E il socialdemocratico è il più europeista dei grandi partiti. Il programma cristiano democratico (Cdu) ne dedica soltanto una. Nessuno vuole provocare gli euroscettici in agguato.
In realtà pesa sulla questione europea, oltre un’eventuale reazione del partito antieuropeo (Alternative für Deutschland), la decisione della Corte costituzionale di Karlsruhe di bloccare ogni tentativo di trasferire ulteriori frammenti di sovranità all’Unione europea. Il margine di manovra dei politici, per quanto riguarda il processo di integrazione, è dunque ridotto. Un’inchiesta realizzata agli inizi del mese ha rivelato che i tedeschi sono per il mantenimento dell’euro in un piccolo numero di paesi che abbiano risanato le loro finanze. Insomma un’Europa ristretta a immagine e somiglianza, appunto, della Germania.
Se non c’è voto più europeo di quello tedesco è soprattutto perché la Germania, e quindi il suo parlamento, è il solo centro decisionale in Europa, in particolare fino a quando la crisi non sarà riassorbita. Per convincersi basta guardare il patto di stabilità, ispirato dalla “regola d’oro” inserita nel 2009 nella legge fondamentale tedesca, e i diversi altri provvedimenti di aggiustamento. Il declino dell’influenza francese, la crisi nei paesi del Sud, l’allineamento di quelli del Nord sulla Germania, hanno rafforzato l’influenza tedesca. Al tempo stesso va riconosciuto che per salvare la zona euro, la Germania ha accettato quel che gli sembrava inconcepibile: ad esempio l’acquisto illimitato d’obbligazioni sovrane da parte della Bce, che ha potuto realizzarsi nel settembre 2012 quando la Merkel sotto la pressione dei mercati, e l’intervento di Mario Draghi, ha dato via libera. In altre occasioni l’Europa ha proposto e la Germania ha deciso.
Il voto regionale bavarese, che domenica ha premiato i locali cristiano-sociali alleati dei cristiano-democratici della Merkel, ma ha punito i liberali membri dell’attuale governo, avvalora l’ipotesi di una futura terza edizione della grande coalizione. Al posto dei liberali, senza più deputati al Bundestag nel caso il 22 settembre non dovessero raggiungere il 5 per cento, potrebbero subentrare i socialdemocratici. Ma alla testa dell’esecutivo resterebbe Angela Merkel, e i socialdemocratici continuerebbero, come hanno fatto nella sostanza quando erano all’opposizione, a sostenere la politica europea della cancelliera. La quale cambierà in funzione della crisi. Non per slanci ideologici, che non sono la sua passione.