Federico Rampini, La Repubblica 17/9/2013, 17 settembre 2013
JANET, CANDIDATA IDEALE CONTRO LA STRETTA MA I BANCHIERI LE DICHIARANO GUERRA
NEW YORK — Non è bastato a Larry Summers essere nipote di due Nobel dell’economia (Paul Samuelson e Kenneth Arrow). Anzi, proprio la sua autostima traboccante lo ha tradito. L’ex segretario al Tesoro di Bill Clinton ed ex capo dei consiglieri economici di Barack Obama, ha dovuto ritirarsi dalla gara per la successione al vertice della Federal Reserve. Fin troppo facile, per i suoi avversari, dipingerlo come un arrogante, autoritario, inadatto a quel ruolo di “primus inter pares” che occorre svolgere in una istituzione federale come la banca centrale Usa. In pole position per succedere a Ben Bernanke ora rimane Janet Yellen, che sarebbe la prima donna a guidare la banca centrale più potente del mondo. Peraltro anche lei parente di un Nobel: suo marito George Akerlof. La Yellen a 67 anni ha speso gran parte della sua carriera dentro la banca centrale, essendo stata alla guida della Fed di San Francisco prima di diventare la numero due di Bernanke. Piace ai mercati, piace alla sinistra democratica, e non solo. La vera discriminante tra i due non è caratteriale ma politica.
Summers spaventava le Borse perché è considerato un “falco” monetario che avrebbe smantellato troppo rapidamente la politition di “quantitative easing” con cui Bernanke ha inondato l’economia di liquidità per favorire la ripresa. La sinistra democratica gli rinfacciava il suo neoliberismo, che lo portò a realizzare la deregulation finanziaria quando era alla Casa Bianca con Clinton negli anni Novanta. Tra i più accesi nel contrastare la sua candidatura, si è distinta Elizabeth Warren, paladina del consumatore e nemica di Wall Street, oggi senatrice del Massachusetts il cui voto potrà essere decisivo nella conferma della nomina. Perfino alcuni moderati, in seno al partito democratico, preferiscono di gran lunga la Yellen. «Il popolo americano — dice il senatore indipendente Bernie Sanders — ha bisogno di un presidente della Fed che voglia tener testa all’avidità, all’irresponsabilità, all’illegalità di Wall Street, non ha bisogno di un insider la cui deregulation ha preparato la peggiore crisi dai tempi della Grande Depressione».
Eppure, a cinque anni esatti dal crac di Lehman Brothers e dal panico che costrinse a salvare Aig, il potere politico di Wall Street è di nuovo temibile. La lobby dei banchieri sta facendo un tentativo in extremis per silurare la Yellen e rilanciare un candidato alternativo, più “comprensivo” verso gli interessi di Wall Street. Uno dei nomi è quello di Tim Geithner, ex segretario del Tesoro che portò a termine i salvataggi bancari iniziati negli ultimi mesi dell’Amministrazione Bush. In effetti la guida della Fed è diventata cruciale per il ruolo di vigilanza bancaria. Dopo la riforma Dodd-Frank, spetta alla Fed con ampia discrezionalità stabilire se una banca sia così grande da rappresentare un rischio sistemico; la stessa Fed ha una funzione di punta negli “stress test” che misurano la solidità dei bilanci bancari.
La politica monetaria resta però il terreno su cui si dispiega tutta la potenza di fuoco della Fed. Oggi e domani si tiene un atteso meeting, dal quale i mercati attendono un annuncio importante: l’inizio, molto graduale e soft, di un ridimensionamento del “quantitative easing”. La previsione è che la Fed annunci come prima tappa una riduzione da 85 miliardi a 65 miliardi, nell’ammontare mensile dei suoi acquisti di bond. L’incognita è sulle tappe future. E lì la nomina della Yellen a fine anno potrebbe fare la differenza. La numero due della Fed è convinta che l’obiettivo primordiale della politica monetaria in questa fase sia ridurre ancora la disoccupazione, farla scendere al 6,5% e possibilmente ancora più giù, verso il 5%. Il rialzo dei tassi può attendere a lungo, se prevale questa linea.