Emilio Randacio, La Repubblica 17/9/2013, 17 settembre 2013
OMICIDIO GUCCI, 18 ANNI DOPO TORNA IN LIBERTÀ PATRIZIA REGGIANI
MILANO — Diciassette anni, otto mesi e quindici giorni dopo. Tanto è passato dal suo clamoroso arresto, il 31 gennaio 1997. Ieri pomeriggio per Patrizia Reggiani si sono aperte definitivamente le porte del carcere. Libera. A diciotto anni dall’omicidio dell’ex marito, l’erede della griffe toscana Maurizio Gucci, raggiunto da tre colpi di pistola mentre entrava negli uffici della sua società in via Palestro, nel cuore di Milano.
Nel febbraio 2001 la Cassazione aveva scritto la parola fine su questa storia: condannata a 26 anni di carcere per omicidio la signora Reggiani, pene simili per i suoi quattro complici. Tra sconti per buona condotta, ne mancherebbero dunque (e ufficialmente) soltanto tre prima della «fine della pena». Ma in attesa che si arrivi all’ultima scadenza, il giudice di sorveglianza di Milano, Roberta Cossia, ha accolto l’istanza presentata dal legale della condannata, Danilo Buongiorno. In pratica, la pena viene sospesa, e nei prossimi mesi l’ex signora Gucci potrà andare a lavorare come consulente in una società di bigiotteria e accessori di moda, la “Bozart”. Alternativa al carcere che l’ex figlia del «re dei trasporti» Nando Reggiani, avrebbe potuto scegliere già due anni fa, ma che scartò con la sconcertante motivazione di «non aver mai lavorato e di non aver certo intenzione di cominciare ora». Meglio San Vittore, insomma.
Fino a ieri, le era concesso di lasciare il carcere il venerdì sera e rientrarvi due giorni dopo, oltre ad alcuni permessi premio durante la settimana. Ogni volta che usciva la signora veniva attesa dall’autista fuori dal carcere. E a mezzogiorno dei giorni di libertà, unico vincolo, doveva recarsi in un commissariato e porre una firma: un’assenza e il beneficio saltava.
Anche ieri pomeriggio, poco dopo le 16, davanti a San Vittore c’era l’immancabile auto scura in attesa della signora. Pochi chilometri appena, poi l’autista ha varcato un cancello di un’elegante villa a due passi dal Tribunale, in pieno centro. Ad attendere Patrizia Gucci, l’anziana madre e le due figlie, Allegra ed Alessandra. Per tutti questi anni, entrambe fermamente convinte dell’innocenza della propria madre.
Per risolvere il giallo sulla morte dell’erede di Maurizio Gucci, ci vollero ventidue mesi di indagini. La Criminalpol e il pm Carlo Nocerino, grazie alla confidenza di un detenuto, scoprono che dietro l’omicidio dell’imprenditore non c’è nessuna pista internazionale che porterebbe a un presunto debito non saldato in Giappone (questa era stata la prima ipotesi). Quell’agguato in stile malavitoso nasconde invece una squallida storia familiare (tesi confermata in tutti i gradi di giudizio), con una ex moglie ossessionata, accecata dalla gelosia. E disposta a tutto pur di non perdere lo status di «signora Gucci» e i relativi privilegi. Lo ha annunciato pubblicamente lei stessa. Patrizia Reggiani, durante una festa nei salotti milanesi — come ricorderanno in aula alcuni testimoni — , a voce alta avrebbe cercato qualcuno capace di uccidere il marito, per impedire che il cognome Gucci, dopo 18 anni di matrimonio, venisse portato dalla nuova compagna di Maurizio.
Così, all’alba del 31 gennaio 1997, Patrizia Reggiani finisce in carcere con l’accusa di omicidio volontario premeditato. Stessa sorte tocca alla maga e confidente, Pina Auriemma, l’arruolatrice dei sicari, i tre balordi che hanno messo in pratica il piano: Benedetto Ceraulo, pregiudicato ed esecutore materiale dell’omicidio, l’autista Orazio Cicala, e l’organizzatore Ivano Savioni. Tutti condannati in via definitiva.
Se la vicenda giudiziaria sembra definitivamente chiudersi, alcuni buchi neri restano aperti. Il portinaio dello stabile in cui fu ucciso Gucci, Giuseppe Onorato — ferito gravemente a una gamba — e l’ultima compagna dell’imprenditore, Paola Franchi, nonostante due diverse sentenze civile favorevoli, non hanno infatti mai ottenuto un euro di risarcimento. Oltre il milione la cifra spettante alla compagna. Duecentomila euro per il portinaio. Denaro che, però, non è mai stato versato. La causa? Secondo la difesa Reggiani, la donna dal momento dell’arresto non avrebbe avuto più un quattrino. A garantirlo, l’anziana madre, Silvana Barbieri, la stessa nominata tutrice del patrimonio di famiglia.